Il provveditore di Como ha proposto di sostituire i quadri con colloqui
individuali
MILANO
- La scuola discute, e si divide, sui tabelloni di fine anno. Umiliazione
pubblica o presa di responsabilità? Il caso innescato dalla proposta del
provveditore di Como, Benedetto Scaglione, di sostituire i tabelloni di fine
anno con colloqui individuali fa riflettere educatori e docenti. "Troviamo un
metodo più umano - aveva detto il provveditore, contrario alla derisione a cui
sono sottoposti i ragazzi di fronte alla fotografia del loro rendimento
scolastico -, che tenga conto della fragilità dei giovani di oggi. In una
società competitiva come la nostra ogni bocciatura è considerata un fallimento.
Rendere pubblici i voti non serve a nulla, se non aumentare la frustrazione".
A preoccupare Scaglione non è solo la privacy, ma il continuo confronto che gli
studenti fanno fra loro. "Un paragone che, se non è accompagnato da una corretta
spiegazione, rischia di ferire i più deboli".
Il suo è solo un suggerimento - la normativa obbliga le scuole ad esporre i voti
-, rivolto a chi le leggi le scrive, di archiviare una volta per tutte quell'appuntamento
da brivido che gli studenti aspettano con ansia e trepidazione. Un'idea accolta
con stupore dalla maggior parte dei presidi.
"Frustrazione? - si domandano in tanti -. La scuola è già fin troppo protettiva
verso i ragazzi. Eliminare anche il rito conclusivo non li abitua ad affrontare
le difficoltà della vita". "Le classifiche fanno parte del gioco - spiega Fulvio
Scaparro, psicologo -. Dal momento che i risultati non sono più una sorpresa, è
giusto che gli studenti possano fare dei confronti. Anche questo serve per la
loro formazione".
Per il dirigente del liceo Tasso di Roma la proposta è assolutamente
fallimentare: "Così i ragazzi non cresceranno mai più - commenta Achille
Acciavatti -. Le valutazioni finali mettono gli studenti di fronte alle loro
responsabilità". "Tenere gli studenti sotto una campana di vetro significa non
prepararli alle delusioni - gli fa eco il preside del liceo Berchet di Milano,
Innocente Pessina -. Invece di eliminare gli ostacoli, insegniamo loro a
superarli".
Anche per il numero uno del Vittorio Veneto di Milano, Michele D'Elia, a
risentirne sarebbero soprattutto i giovani: "Togliere i voti danneggia prima di
tutto gli studenti. La scuola è diventata troppo facile e i ragazzi si sono
indeboliti". E ancora, Bruno Cicchetti, del liceo Fermi di Genova: "È una
proposta un po' retrò in una scuola che ha una altissima percentuale di promossi
e dove non esistono più gli esami di riparazione".
Alcuni presidi suggeriscono addirittura di tornare al vecchio metodo, con le
insufficienze ben in vista (oggi si nascondono dietro un sei con asterisco): le
lettere a casa - per avvisare della bocciatura - e la censura dei voti sono solo
una modo per "indorare la pillola a giovani che vivono nella bambagia".
"Ma che bambagia - sbotta lo psicologo Gustavo Pietropolli Charmet, contrario
alla pubblicazione dei quadri -. La bocciatura è un castigo micidiale, di fronte
al quale un professore non può disertare scaricando la responsabilità al bidello
che attacca i tabelloni alle bacheche. Al contrario i colloqui sarebbero una
corretta presa di responsabilità. Il castigo della bocciatura è un rituale
importante in cui i docenti tirano fuori tutto il loro potere occulto. Spiegare
ai ragazzi perché dovranno ripetere l'anno non è un comportamento protettivo,
anzi, può essere molto faticoso". Il problema è che spesso, spiega Charmet, i
giovani non capiscono il motivo della valutazioni. "E non hanno nessuno con cui
prendersela - aggiunge Fabio Sbattella, professore di psicologia all'università
Cattolica -. Davanti ai quadri i ragazzi si deridono a vicenda e spesso
finiscono per virare verso atteggiamenti illeciti come la droga per superare la
frustrazione".
"Discutere con i ragazzi è sempre un bene - prosegue la preside Mariagrazia
Meneghetti del liceo Beccaria di Milano -. Non sempre, anche quando i voti sono
buoni, loro comprendono i nostri giudizi". Ma solleva un ulteriore questione:
"Come si fa incontrare tutti in una scuola con 1200 studenti? L'idea è
interessante, ma difficilmente applicabile".
di TERESA MONESTIROLI (10 giugno 2006)