È come se vivessero in Matrix: hanno un’identità pubblica, sono figli
diligenti, vanno a scuola. Poi si collegano al web, ed entrano in altri
panni: quelli dei cyberbulli. Un’identità virtuale dietro la quale
sfogano le pulsioni e i comportamenti più negativi, all’insaputa di
genitori e prof. Sono gli adolescenti milanesi: un’intera generazione
digitale cresciuta con un cellulare in mano e attaccata ai social
network, talmente sfuggente al mondo degli adulti che è stata oggetto
di una ricerca condotta da Occhi aperti, l’associazione presieduta da
Milly Moratti che con questionari anonimi ha analizzato la relazione
con la rete di 2785 studenti di cinque scuole medie e superiori di
Milano, età media 15,4 anni. E il quadro che ne emerge è deprimente. Il
99,1% usa internet a casa, e il 66% dichiara che mai una volta i
genitori danno un’occhiata ai loro profili sui social
network.
Hanno una marea di amici virtuali - ragazzini di 12 anni
che arrivano ad avere 500 contatti, quasi tutte persone che non
conoscono nella realtà - e sul web si scatenano: prendono di mira e
mobbizzano i compagni più deboli, diffamano, insultano, inviano
messaggi volgari, crudeli, minacciosi. Creano falsi profili, in cui
simulano di essere altre persone e danno il via a meccanismi di
bullismo o di stalking. Il 35% ha visto o sa di materiale pubblicato
online che denigra o umilia un docente, il 27% sa di studenti che hanno
pubblicato materiale che minaccia violenza. Uno su tre dichiara di
sapere di studenti che partecipano a gruppi online razzisti, omofobi,
nazisti. E tutto senza prendere coscienza della gravità delle loro
azioni. «Dalla ricerca emerge un uso improprio della rete - dice la
Moratti - un processo di deresponsabilizzazione e lo scollegamento
della vita reale». Commettono reati e non lo sanno. Per questo il
cyberbullismo è un fenomeno che sfugge alla magistratura: rasentano lo
zero le denunce alle procure dei tribunali dei minori.
(di Giammarco Oberto da http://www.leggo.it/ricerca.php)
redazione@aetnanet.org