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Alternanza Scuola Lavoro: Alternanza Scuola/Lavoro

Redazione
L’alternanza scuola-lavoro è stata introdotta formalmente nel sistema di istruzione con l’art.4 della legge n.53 del 2003 e definita nelle sue norme generali con il Decreto Legislativo del 15/4/2005 n.77 “come modalità di realizzazione dei corsi del secondo ciclo, sia nel sistema dei licei, sia nel sistema dell’istruzione e formazione professionale” per assicurare conoscenze e competenze “spendibili nel mercato del lavoro”. La 107/2015 ha quantificato l’esperienza dell’alternanza per i licei in 200 ore al triennio e in 400 ore per i tecnici e i professionali. Tale attività che di norma si svolge durante l’anno scolastico, “puo’ essere svolta durante la sospensione delle attività didattiche”. Che sia necessaria per tecnici e professionali, mi pare che sia indiscutibile, ma l’estensione generalizzata a tutti gli indirizzi di studio sa di opzione ideologica, di assunzione dogmatica dell’aziendalismo come modello formativo; sembra un gesto di sottomissione culturale al mondo economico, un altro segno del prevalente economicismo degli orientamenti in materia di riforme scolastiche.

Che poi si possa realmente produrre alternanza con 400 ore in un triennio mi sembra improbabile; più correttamente si dovrebbe parlare di stage. Dovrebbe dirsi alternanza se i tempi di lavoro e di formazione fossero pressochè uguali e se si andasse dalla scuola al lavoro e viceversa con un percorso strutturato e condiviso tra azienda e scuola con un’attività in continuità tra teoria e prassi, quale che sia il punto iniziale. Non mi pare che sia quello che sta succedendo, anche se si auspicava che si potesse, per gli alunni che l’avessero scelto, realizzare l’intero percorso dai 15 ai 18 anni in alternanza tra azienda e scuola.

C’è da dire anche che iniziare l’esperienza dell’alternanza al secondo anno dei professionali, per la stragrande maggioranza degli alunni ancora anno di obbligo scolastico, utilizzando parte delle ore della personalizzazione, mi pare un’esagerazione, perchè come sempre si raccomanda i periodi di apprendimento mediante esperienze di lavoro devono essere articolate secondo criteri di gradualità e progressività, tenendo conto degli obiettivi formativi dei diversi percorsi degli indirizzi di studio.

A parte l’insufficienza strutturale dell’alternanza non mi pare esatto dire che serva a incrementare le opportunità di lavoro; puo’ servire certamente a sviluppare la capacità di orientamento degli studenti, qualora fosse un’esperienza felice. Le vere finalità sono: correlare l’offerta formativa allo sviluppo culturale, sociale ed economico del territorio; realizzare un organico collegamento delle istituzioni scolastiche e formative col mondo del lavoro e la società civile.

Contrariamente a quello che ha pensato l’amministrazione l’alternanza, anche così limitata nei tempi, non è un’esperienza facile da realizzare, senza adeguati supporti logistici, senza personale appositamente formato, senza aziende che rispondano ai requisiti dimensionali e professionali per un’attività di formazione. Fare esperienze degradanti, come è stato denunciato, non è stato per tanti alunni un’eccezione. Non è solo questione di carta dei diritti e dei doveri, e nemmeno di registro delle imprese idonee (peraltro quante sono innovative per processi e prodotti e sicure? Quante in grado di ospitare una classe intera?).

E’un problema di rigorosa programmazione didattica. I periodi di alternanza vanno progettati, attuati e valutati passo dopo passo, con l’alta vigilanza della scuola, altrimenti è meglio fidarsi dei propri reparti di lavorazione, delle proprie aziende agricole, dei propri ristoranti. Una buona capacità di iniziativa e un buon rapporto con la società e il territorio con i propri mezzi opportunamente utilizzati si puo’ dare agli alunni molto di più di tante esperienze di alternanza raffazzonate alla meno peggio, perchè bisogna farle ad ogni costo.

Il ricorso intensivo alle attività di alternanza senza un alto controllo epistemologico sui vari momenti del rapporto tra teoria e prassi puo’ condurre alla banalizzazione dei saperi, all’impoverimento degli apprendimenti, ad una complessiva preparazione professionale soggetta a facili deperimenti e potenzialmente non adeguata a seguire e a confrontarsi con gli sviluppi tecnologici dell’apparato produttivo.

Michele Pellerey a proposito delle esperienze di alternanza ricorda che tra esperienza in azienda e interventi formativi nelle scuole va attivata una vera e propria circolarità: l’apporto conoscitivo offerto nei luoghi di formazione deve trovare riscontro nelle esperienze lavorative e le esperienze lavorative devono trovare spazio di riflessione critica e di consapevolezza progressiva all’interno degli interventi delle scuole.
Quante esperienze di alternanza hanno avuto queste caratteristiche?
Questo è il vero problema.

Raimondo Giunta








Postato il Venerdì, 26 ottobre 2018 ore 09:00:00 CEST di Nuccio Palumbo
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