L'ex premier
australiana Julia Gillard promuove l’agenda Global Citizen
sull’educazione come strumento indispensabile per aiutare i Paesi a
basso reddito e prevenire nuove crisi mondiali
Julia Gillard
A Taormina i leader del G7 si confronteranno per risolvere alcune delle
sfide più ostinate che il mondo fronteggia. Uno di questi temi urgenti
è la capacità dell’economia globale di dare speranza e opportunità a
tutti i giovani del mondo. Papa Francesco ci ha giustamente rammentato
che «abbiamo condannato i nostri giovani a non avere uno spazio di
reale inserimento, perché lentamente li abbiamo emarginati dalla vita
pubblica obbligandoli a emigrare o a mendicare occupazioni che non
esistono più o che non permettono loro di proiettarsi nel futuro».
La sfida che il Papa ha espresso a parole, è stata illustrata con
numeri dettagliati dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO).
Questa organizzazione, nel suo rapporto 2016 sull’occupazione
giovanile, stima che dopo anni di lento miglioramento, la
disoccupazione giovanile nel mondo è salita, nel 2016, oltre il 13 per
cento: 71 milioni di persone. La disoccupazione contribuisce ad una
maggiore instabilità che, secondo l’indice del disagio sociale
dell’ILO, tra il 2015 e il 2016 è cresciuta globalmente a livelli molto
più alti della media a lungo termine. La maggior parte delle regioni ha
rilevato un aumento dello scontento nelle proprie comunità. I maggiori
aumenti sono stati rilevati nel Medio Oriente e a seguire nell’Africa
subsahariana e nell’Asia orientale.
Come si è visto negli ultimi anni crisi e conflitti anche in parti del
mondo ritenute remote possono avere un impatto rilevante sulla
politica, l’economia e la sicurezza del mondo intero: si pensi ai
flussi record di profughi. Non è certo un fatto sorprendente che
persone senza speranza varchino confini alla ricerca di sicurezza,
opportunità e accesso all’istruzione per i propri figli in luoghi
nuovi. Guardando al futuro è facile immaginare un ulteriore
peggioramento di questi trend – disoccupazione, instabilità, migrazioni.
Le ricerche della International Commission on Financing Global
Education Opportunity indicano che entro il 2030 la tecnologia avrà
completamente trasformato il mercato globale del lavoro e i datori di
lavoro avranno bisogno di dipendenti con competenze di livello elevato.
Tuttavia circa la metà del miliardo e seicentomila giovani che uscirà
da scuola nel 2030 sarà priva delle competenze di base della scuola
secondaria. Tale disparità tra le competenze acquisite e quelle
richieste dal mondo del lavoro avrà una precisa distribuzione
geografica: nei Paesi a basso reddito solo un bambino su dieci riceverà
una preparazione scolastica pari a dieci anni di insegnamento
scolastico di qualità.
Alla base di questi dati si trova una varietà di problemi che vanno dal
mancato accesso a scuola ai bassi risultati di apprendimento.
Nonostante i progressi incoraggianti dell’ultimo decennio e mezzo, nel
mondo vi sono ancora 263 milioni di bambini e giovani che non
frequentano la scuola e centinaia di milioni di bambini che non
completano il ciclo educativo o frequentano scuole di qualità così
bassa che l’apprendimento ne soffre considerevolmente.
Le bambine risultano sproporzionatamente trascurate; questo frena
ulteriormente la potenzialità economica dei Paesi interessati. Nel caso
delle bambine, un anno in più di istruzione scolastica si concretizza
in un aumento dello stipendio, più in là nella vita, che può arrivare
fino al 20 per cento. Inoltre, le madri istruite tendono ad essere sane
e a crescere bambini sani.
Per noi che desideriamo evitare un futuro caratterizzato da
ineguaglianze e instabilità globale non resta che sperare che i leader
del G7 accolgano l’invito della Commissione per l’Istruzione a
investire considerevolmente di più di quanto non si faccia ora per
aiutare i Paesi a basso reddito a porre in essere dei sistemi educativi
di qualità. Sappiamo che si tratta di un cambiamento realizzabile dato
che vari Paesi in via di sviluppo, compresi alcuni tra i più poveri,
hanno fatto dei progressi considerevoli nell’ultimo decennio.
Un gran numero di questi Paesi ha aderito alla Global Partnership for
Education, di cui sono presidente del consiglio. Questa organizzazione
eroga fondi e assistenza tecnica per realizzare sistemi educativi ben
pianificati, aperti a tutti ed equi. Occorre sottolineare il lavoro
svolto dalla GPE che, in tanti e disparati ambienti, ha ottenuto
risultati pregevoli: maggior numero di bambini che frequenta la scuola,
maggior numero di studenti che porta a termine gli studi, maggiore
qualità e maggiore inserimento dei gruppi a rischio, comprese le
bambine. Inoltre, i Paesi partner della GPE ora dedicano una parte
maggiore delle proprie risorse all’istruzione.
Con la presidenza del G7 e, in senso più lato, con l’impegno assunto
nei riguardi dell’istruzione e il considerevole supporto alla GPE, il
governo italiano sta dando dei contributi che speriamo verranno emulati
da altri Paesi. In realtà, migliaia di giovani stanno già intervenendo
su GlobalCitizen.org, chiedendo ai leader mondiali di aumentare il loro
sostegno per la GPE. Il mondo non può permettersi di temporeggiare: la
sfida colossale della disoccupazione giovanile deve essere affrontata.
A Taormina, il G7 può svolgere un ruolo di animatore e catalizzatore
nell’assicurare che ogni bambina, bambino, ragazzina e ragazzino possa
guardare con fiducia a un futuro di lavoro e opportunità nel proprio
Paese natale.
Corriere della sera