
La storia mi ha subito preso. Il protagonista è “F”, studente venticinquenne di origini abruzzesi, che, rincorso dal tempo e sovrastato dal ticchettio degli orologi che segnano tutti un orario diverso, si ritrova imprigionato nei lunghi corridoi dell'Università degli Studi di Teramo. La giornata universitaria di F, nell’incoerente e claustrofobico scorrere delle ore in uno spazio vuoto e immobile, diventa metafora di un vissuto comune a molti studenti italiani di oggi: una dimensione temporale distorta dell’esperienza universitaria li travolge e li intrappola in percorsi formativi senza sbocco, che si prolungano indefinitamente. Le ore scorrono incessanti, così come incessanti risuonano delle lancette dei mille orologi discordanti nella mente di F.
Bene bene, che titolo dare a questa storia? Ho ragionato: si parla di un mondo in cui le cose vanno male per colpa di una distorsione del tempo… è una specie di distopia cronologica… è una distocronia! Eureka! In un sol colpo avevo sfornato un elegante neologismo e mi guadagnavo un posto ufficiale nella troupe!
Agoravox