L’altra sera, con la mia
amica, stanchi di girovagare per le vie del centro storico della città,
ci siamo seduti ai piedi dell’imponente monumento dedicato ad Arnaldo
da Brescia, nell’omonima piazza. Tutte le statue, spesso, richiamano
qualcosa della vita del personaggio che rappresentano, raccontano la
storia e il destino dell’uomo che fu. Anche questa statua, a guardarla
bene, la sua postura, la compostezza ieratica, la maestosa bellezza,
richiama, al contempo, qualcosa di oscuro e misterioso. Una figura
monacale, alta, imponente, con le braccia protese al futuro e lo
sguardo triste e severo, che mette, anche al più distratto osservatore,
uno stato d’inquietudine e di timore reverenziale. Qualcosa di magico e
di indecifrabile pervade la sagoma bronzea, tanto che anch’io ne sono
rimasto turbato da cotanto altezzoso e carismatico mistero. Chi
rappresenta il monumento?
Avvicinandomi alla base della statua, ho notato la scritta: “ad Arnaldo
– al precursore al martire del libero italico pensiero – Brescia sua
decretava tosto rivendicata in libertà – MDCCCLX”.
Ma chi era Arnaldo da Brescia? In quale epoca era vissuto e cosa aveva
fatto nella vita?
Arnaldo da Brescia è vissuto nel Medioevo, in uno dei periodi più
tristi e cupi della storia dell’Europa, in un clima di inquietudine e
di oscuramento, in tempi bui dominati da forze ostili e irrazionali.
Arnaldo da Brescia, considerato dall’età moderna un umanista
illuminato, un alfiere dell’anticlericalismo e martire della libertà,
con la sua fiera e decisa contestazione alle gerarchie ecclesiastiche,
da lui ritenute concubinarie e simoniache, fu il monaco che fece
vacillare le fondamenta teologiche della cristianità; l’uomo che, con
un’oratoria appassionata ed un animo coraggioso e limpido, provò a
curare le ferite sociali, prodotte da una chiesa corrotta e lacerata da
profonde divisioni interne.
Arnaldo nacque a Brescia, verso il 1100, dopo aver frequentato le
scuole conventuali della città si recò, ancora giovanissimo, intorno al
1122, a Parigi, alla scuola di Abelardo. Tornato a Brescia, venne
ordinato sacerdote e, in seguito, canonico regolare. Arnaldo, con la
sua grande eloquenza, avviò una poderosa battaglia contro il clero
simoniaco, la ricchezza della chiesa e il potere temporale dei papi,
scatenando le ire del pontefice e della gerarchia ecclesiastica locale.
Le continue prese di posizione del monaco bresciano favorirono la
nascita di un vasto movimento popolare e la formazione, attorno al
1135, di due opposte fazioni: gli “arnaldisti” o “poveri lombardi” e i
“vescovili” o “milites catholici”. Al concilio ecumenico, convocato a
Roma, nel 1139, da papa Innocenzo II, il vescovo di Brescia accusò
Arnaldo, riferendone le pericolose dottrine che professava e che
divulgava influenzando vaste aree del territorio lombardo. Il papa,
allora, ordinò “di far tacere quell’uomo”, autorizzando il presule
bresciano ad imporgli il silenzio. Arnaldo fu costretto a fuggire in
Francia, a Parigi, per unirsi ad Aberaldo. Successivamente, tornato in
Italia, partecipò alla cacciata del pontefice da Roma ed alla
costituzione del libero Comune, sostenendone il processo di autonomia
comunale. Il papa Adriano IV, dopo essere stato esiliato, approfittando
del momento di debolezza del Comune, propose un accordo con
l’imperatore Barbarossa, che tra le clausole prevedeva la consegna di
Arnaldo nelle sue mani. Si profilava la fine di Arnaldo. Il monaco,
infatti, venne catturato dall’esercito imperiale e consegnato al
prefetto di Roma il quale, dopo un processo sommario, nel 1155, lo fece
impiccare e ardere sul rogo e le sue ceneri disperse nel Tevere,
affinché i suoi resti non diventassero oggetto di venerazione.
Arnaldo, predicando la povertà evangelica del clero e il ritorno della
chiesa agli originari principi del vangelo, osteggiò il potere
temporale della chiesa e inferse un colpo letale ad una concezione
decadente e stantia di professare la fede. Il “suo messaggio chiedeva
un ritorno al vangelo, ma non conteneva deviazioni ereticali rispetto
all’ortodossia cattolica”, afferma lo storico Franco Molinari. La
radicalità delle sue idee erano diventate inaccettabili e pericolose
per la chiesa di Roma e come tali dovevano essere estirpate e
cancellate definitivamente dalla storia. Ma le idee non muoiono mai. La
sua figura, possente e limpida, è stata rivalutata, solo nel ‘700,
dagli illuministi, dai Giansenisti lombardi e dalla cultura laica
dell’800 che la indicò martire del libero pensiero ed eroe
anticlericale. Ma anche per molti studiosi e scrittori cattolici
contemporanei, Arnaldo, rappresenta l’antesignano del cattolicesimo
militante e moderno, contro i vizi e gli orrori del fondamentalismo
religioso. Anche se, ufficialmente, la gerarchia cattolica non lo ha
ancora riabilitato.
Ma nonostante aver “decifrato” il volto e la storia di quella statua
svettante nel cielo scuro della città, Arnaldo da Brescia mi suscita,
ancora, tanto sgomento e tristezza; un fremito di gelo e di paura mi
percorre la schiena. Una parola, più di tutte, mi martella la mente e
non mi dà pace. Una parola triste che in quei tempi bui veniva
trascinata, duramente, da bocca in bocca, e che faceva paura. Una
parola che tracimava nel cuore stanco dell’Europa medievale e che ha
segnato lo stile di un’epoca. Una parola che suscitava un sentimento di
terrore e di sgomento negli occhi di tutti. Una parola, oscura ed
esecrabile, che gettava sospetto e terrore. Una parola indefinibile che
marchiava a fuoco il destino degli uomini di quel tempo. Eresia! E che
cos’è l’eresia se non una nuova e dinamica visione del mondo, libera da
orpelli e da infingimenti. Un’idea avversa che nasce in silenzio e che
esplode e vive per il futuro. Eresia che diventa profezia. Forse
anch’io, in quel tempo, difficile e ostile, avrei fatto la stessa fine
del povero monaco bresciano, bruciato sul rogo per aver osato gridare
la verità.
Ma la storia dà torto e dà ragione. E la vittoria può venire anche dopo
otto secoli. La rivincita postuma di Arnaldo di Brescia e della sua
battaglia. La statua bronzea di Arnaldo da Brescia, nell’omonima piazza
della sua città, opera di Odoardo Tabacchi, fu inaugurata il 14 aprile
1882, nel periodo più duro dello scontro tra il nuovo Stato italiano e
la chiesa di Roma. Venne considerata come una rivalsa
dell’anticlericalismo, del positivismo, “delle magnifiche sorti e
progressive”, il trionfo dello Stato laico e della nascente nazione
italiana. Tra le numerose autorità presenti spiccava il ministro e
futuro presidente del Consiglio, Giuseppe Zanardelli, bresciano. Come
Arnaldo.
Angelo
Battiato (inviato speciale a Brescia)
angelo.battiato@istruzione.it