Siete disposti a pagare per far insegnare
ai vostri figli una seconda lingua straniera, a scuola? Magari
la stessa che prima delle riforma Gelmini era inserita nel programma? Il caso emblematico di una scelta sofferta
per non arretrare in qualità, dopo la cancellazione di ore e
sperimentazioni effetto della riforma Gelmini. E già oggi, di fatto, le
famiglie “pagano” le supplenze. (da L’Unità di Adriana
Comaschi )
Siete disposti a pagare per
far insegnare ai vostri figli una seconda lingua straniera, a scuola?
Magari la stessa che prima delle riforma Gelmini era inserita nel
programma? Ecco la domanda che quest’anno le famiglie hanno trovato sul
modulo di iscrizione - consegnato proprio in questi giorni - dello
storico liceo scientifico Righi di Bologna: 150 su 310 nuovi iscritti
hanno detto sì. Da settembre dunque ognuno di loro sborserà 100 euro
l’anno, oltre ai 120 che già pagano per attività diverse - pratica che
ormai è la norma alle superiori. Ed ecco il dilemma davanti a cui si è
trovato il preside: una «scelta politica», come la definisce lui,
sofferta ma inevitabile, fatta «per non svilire la qualità del nostro
istituto». Chiusa a fine marzo la raccolta delle iscrizioni alle
superiori, comincia dunque a disegnarsi la distanza tra le richieste,
le aspettative delle famiglie e le possibilità offerte agli istituti
dalla riforma Gelmini.Che alle superiori taglia le ore in tutti i tipi
di secondaria: da 36 a 32 nei tecnici e professionali, da più di 30 a
un massimo di 27 nei licei. Oltre a cancellare le sperimentazioni, che
erano ormai diffusissime. Compresa quella del bilinguismo, «una vera
anomalia - riflette il dirigente del Righi, Domenico Altamura -, come
abbiamo da subito segnalato al ministero. Sarebbe bastato portare
l’orario a 29 ore per metterci nelle condizioni di competere in
Europa», che del resto del bilinguismo a scuola ha fatto uno standard.
«Invece hanno preferito risparmiare ». Francese o spagnolo dunque
spariscono dall’orario. Altamura, già coordinatore dei presidi
bolognesi, però non si rassegna. Soprattutto quando vede la richiesta
dei genitori. E allora mette le mani avanti. «Noi speriamo che il
ministero cambi idea, e ci dia l’organico necessario» a garantire le
lingue insegnate in passato. Ma se così non sarà, «pagheremo noi.
Chiedendo un piccolo contributo ai genitori». Difficile però pensare di
poter assumere in proprio degli insegnanti, la strada più probabile è
quella di «una convenzione con enti accreditati presso i consolati
perché organizzino corsi facoltativi, al di fuori dell’orario base, per
i nostri studenti. A prezzi convenienti». Dallo studio di una materia
si passerebbe così alla frequentazione diun corso, tenuto non più da
docenti in graduatoria mada esterni. Ovvio che l’impostazione sarà
diversa: i corsi puntano tutto su conversazione, scrittura, traduzione.
Del resto, la riforma per le lingue (latino compreso) non prevede più
lo studio della «letteratura» ma di una più generica «cultura». È un
salto che spaventa molti, per il comitato bolognese Scuola e
Costituzione (che oggi presenterà un ricorso nazionale contro la
riforma) ad esempio è «un passo grave, si apre un baratro». Altamura
difende la sua via d’uscita e racconta così il bivio davanti a cui si è
trovato: «Potevamo dire, “non ci danno più niente dunque non facciamo
più niente”.Ma così avremmo solo finito per dirottare gli studenti su
scuole private. Oppure potevamo chiedere un contributo alle famiglie, e
mantenere alto il livello di qualità del nostro liceo pubblico: questo
è il nostro modo di difenderlo».
SEMPRE PIÙ SOLDI DALLE FAMIGLIE Un bel dilemma. Altri istituti hanno
scelto strade diverse, comunque non indolori. Un altro scientifico, il
Fermi, per salvare gli insegnamenti di lingue e i laboratori
scientifici, fiori all’occhiello delle precedenti sperimentazioni, ha
optato per una riduzione delle ore di latino, mentre educazione fisica
rimane con un’unica, simbolica ora a settimana. In attesa che gli
istituti abbiano un quadro chiaro di come cambieranno i loro curricula
intanto l’emergenza rimane quella del pagamento delle supplenze. Solo a
Bologna, le scuole avanzano dal ministero oltre 20 milioni di fondi
arretrati.Con conseguenze inevitabili: supplenze e ore eccedenti
(quelle che coprono assenze sotto i 15 giorni) non vengono retribuite,
oppure per farlo i presidi mettono mano ai fondi di Istituto.
Alimentati anche - e qui il giro si chiude - con i contributi chiesti
sempre più spesso agli studenti. «Di fatto - conclude Altamura - le
famiglie hanno già cominciato a pagarsi la scuola».