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Umanistiche: Testimonianze del ''calvario'' di Alda Merini:''Io per avere questa fede dovrei sentirmi amata...''.

Redazione
Per tornare alla Merini, bisogna sottolineare che il suo psichiatra, al quale circa trent'anni fa lei ha indirizzato le lettere ora pubblicate, è lo stesso Gabrici che ha scritto la prefazione al libro. Ha 94 anni e ricorda il "caso". Scrive: "Nel caso Merini, probabilmente, quei sintomi spaventavano le famiglie: forse, non sapendo come cavarsela, la portavano in istituto. Ricordo, però, che cercai sempre di non farle oltrepassare il mese di osservazione, in modo da rimandarla a casa senza rilasciare la diagnosi definitiva di malattia che avrebbe autorizzato, per legge, a trattenerla in ospedale". Lo psichiatra la curava con Penthotal, che provocava l'addormentamento "e la successiva liberazione emotiva di contenuti dal profondo che erano utili a fare emergere sia cariche istintive represse sia immagini emotive del subcosciente, radice profonda di molti disturbi nel campo delle nevrosi". Insomma, niente violenze (la Merini aveva subito elettrochoc) ma "narcoanalisi". Gabrici l'ascoltava, facendo sentire alla Merini di essere "umana", degna d'attenzione finalmente. Questo "amore" spingeva la poetessa a tornare alla creatività e, nel contempo, a salire in superficie, recuperando forme e spazi di libertà, dal groviglio mentale in cui era rimasta imbrigliata.

Alda Merini aveva già raccontato tutta la sua storia in L' altra verità. Diario di una diversa (Rizzoli, 2006). In questo libro la novità sono le lettere scritte all'epoca dei ricoveri al medico/amico, diventato confidente e persona da amare, ritrovate e accompagnate da un gruppo di poesie dello stesso periodo. Le lettere/confessioni, con l'ausilio delle poesie, tratteggiano il processo di "liberazione" dai fantasmi e dagli orrori della poetesa che lentamente ritrova la vena creativa e la guarigione o, meglio, la tranquillità emotiva. Scrivere poesia, per Alda Merini è diventato lo strumento per uscire dal buio, di riscoprire la luce, di acquistare la consapevolezza che il dolore è parte dell'uomo. La scrittrice, a un certo punto, fa sapere che "se il dolore è esaltazione, allora posso dire che tutto il genere umano è in questo stato e il mio dolore, il mio lutto per la morte della mia coscienza è il dolore di tutta la nostra povera comunità umana". E ancora: "Non ho fiducia nei medicamenti, no, glielo dico con franchezza, perché in questi mesi non mi sono più rallegrata...". La fede potrebbe essere molla di guarigione, ma "Io per avere questa fede dovrei sentirmi amata...". Chi dovrebbe amarla? Il marito, lontano, insensibile, che lei ama profondamente "nonostante la sua ignoranza". Ed è lei stessa a suggerire al medico il percorso possibile per arrivare alla guarigione: comprenderla e spingere perché lei possa recuperare l'amore del marito. "Solo mio marito, con un cenno, un assenso, un atto di comprensione potrà guarirmi ed è proprio in questa direzione che io vorrei dirigerla. Solo lui potrà, se vorrà, essere il mio medico, altrimenti la mia fine è già segnata. Se vuole aiutarmi è in questo senso che deve muovere la sua abilità". E ancora, verso un'altra direzione, anch'essa fondamentale: "rendere interessante un ammalato ai suoi stessi occhi è una cosa davvero importante, è il cominciamento della sua guarigione e questo Freud l'aveva capito benissimo". Le poesie che accompgnano le lettere - testimonianze del "calvario", del desiderio di morire "in modo completo, piena di fede, di fervore, di bellezza... come se mi abbandonassi sull'erba in un fervoroso atto d'amore" - sono quasi tutte poesie d'amore o verso un uomo o verso la Vergine Maria o verso Cristo, o verso un amico. Propongo di leggere i due testi seguenti:

Ora che ti ho perduto

Ora che ti ho perduto veramente
con quali rime canterò all'ingrato
che mi ha mossa gemente alla follia.
Dove andrò a rilavare queste vesti
inondate d'amore, neanche un nume
pù mi vorrebbe tanto sono scesa
dal mio cumulo ardente di preghiere.
Nulla più che mi basti e piango e rido
come una folle sopra la mia stele.


Prima che si concluda

Prima che si concluda questo amore
lascia che io ringrazi il mio destino
per il bene assoluto che m'ha dato,
per la fame dei sensi, per l'arsura
che mi ha preso alla gola. Prima di andare
lascia che ti riporti sul cammino
dove giungesti o mio sanato amore
così divino e immobile e lontano
ch'io non oso toccarti. Addio, mai Nume
fu più profondo e grande , mai d'altezze
tali giunsi al confine. Addio mio inganno
Alda Merini

Da Lettere al dottor G. (Frassinelli, 2008)



Non sono queste due poesie che possono riassumere il senso di questa corrispondenza clinica/amorosa. (Con amore, nel momento in cui apprende che uscirà dall'istituto, scrive: "addio dottore, caro buon dottore che non ha mai capito nulla e che non crede nella cattiveria umana... addio, amico, confidente, benefattore, insigne animo forse frustrato come il mio"). Il "caso" Merini un giorno potrà essere studiato come esemplare per la fuoruscita dalla follia non violenta. E non si potrà non tener conto che è strettamente connesso con la creatività, con l'estro poetico. E, al contrario, chi studierà la letterarietà delle opere della Merini non potrà evitare di rapportarla alla sua alterazione psichica che un "buon dottore" ha saputo placare e indirizzare verso il recupero della capacità creativa della paziente.

Alla fine, resta da dire che l'uscita dalla follia è dovuta all'amore, al desiderio e alla forza di amare della donna. Il medico, da parte sua, ha avuto l'intelligenza di ascoltare l'amore, senza caderci dentro (avrebbe commesso un errore e un danno). L'amore smuove il mondo, lo sappiamo. E l'amore può smuovere anche i grumi dell'esistenza e può illuminare perfino il buio della mente. Amore, amore, amore. Quasi sempre le poesie della Merini, dall'inizio alla fine, sono e saranno poesie d'amore. Con un verso naturalmente ritmico. Grazie alla sua e perizia nel fare poesia orale (al telefono o di persona, mentre chi ascolta scrive; mi è accaduto spesso di assistere a simili scene), che non cambia rispetto a quando scrive sulla carta. Quello che colpisce è la sua prolificità. Certo, ci sono anche poesie d'occasione non molto riuscite. Ma nel contesto della sua opera completa, sono irrilevanti. Un caso unico, credo.








Postato il Domenica, 14 dicembre 2008 ore 20:02:42 CET di Maria Allo
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