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Umanistiche: LA CHIESA E I PROCESSI A GALILEO

Rassegna stampa

Galileo e i processi

di Annibale Fantoli*

La Terra è un pianeta

Il punto di partenza dello scontro tra Galileo e la Chiesa cattolica è costituito dalle sue scoperte compiute mediante l'uso del cannocchiale nell'ultima fase del suo insegnamento all'Università di Padova (1609-1610) e proseguite negli anni successivi. Infatti, esse mettevano in crisi la tradizionale visione del mondo geocentrica, in cui l'interpretazione letterale di passi biblici che affermavano il moto del Sole e la quiete della Terra era divenuta indissolubilmente legata, a partire dalla scolastica medievale, alla cosmologia aristotelica e alla sua elaborazione matematica, tolemaica.

La scoperta del carattere montuoso della Luna metteva infatti in crisi la distinzione essenziale di natura tra il mondo dei corpi celesti e quello terrestre, sostenuta da Aristotele, mentre quella dei quattro satelliti di Giove andava contro l'altra sua affermazione della Terra come unico centro di tutti i moti celesti. Ciò eliminava due delle difficoltà fondamentali che avevano finora impedito l'accettazione della visione eliocentrica, proposta da Niccolò Copernico nella sua grande opera De Revolutionibus orbium caelestium (1543). La Terra poteva infatti essere considerata come un pianeta (come la Luna) e il mondo poteva avere un centro diverso dalla Terra (il Sole).

I filosofi aristotelici fanno appello alla Scrittura

I primi a reagire contro queste scoperte, rese note con la pubblicazione del Sidereus Nuncius (marzo 1610), furono i filosofi aristotelici, detentori dell'insegnamento della filosofia naturale nelle università dell'epoca. Dopo il fallimento dei loro tentativi di contestarne la realtà, essi cominciarono a fare appello alla Scrittura, le cui affermazioni erano chiaramente contro la tesi eliocentrica. Preoccupato di questa svolta teologica nella discussione, Galileo espose in una lettera a un suo discepolo, il benedettino Castelli, i motivi per cui a suo parere non esisteva una contraddizione tra l'eliocentrismo e la Scrittura, i cui passi apparentemente opposti all'eliocentrismo rispecchiavano solo il modo comune di parlare popolare.

Paolo V ammonisce Galileo

Venuta nelle mani di due domenicani del convento di S. Marco, a Firenze, Lorini e Caccini, una copia della lettera fu inviata dal primo a Roma, al S.Uffizio, per un giudizio teologico sul suo contenuto, e seguita da una formale denuncia contro Galileo da parte del secondo. Anche se il giudizio del teologo del S. Uffizio fu sostanzialmente favorevole a Galileo, questi decise di recarsi a Roma per scongiurare una possibile decisione della Chiesa contro la teoria copernicana. Ma le sue accese discussioni con gli avversari non fecero che preoccupare ancor più le autorità romane, già allarmate dalla pubblicazione, da parte di un teologo napoletano, Foscarini, di una difesa della conciliabilità del sistema copernicano con la Scrittura.

Il S. Uffizio decise finalmente di intervenire. Sulla base della qualifica della tesi copernicana come almeno erronea nella fede, data dagli esperti teologi, il papa Paolo V decise il 25 febbraio 1616 che Galileo doveva essere ammonito privatamente dall'influente cardinale Bellarmino ad abbandonare quell'opinione, mentre la Congregazione dell'Indice avrebbe emesso un decreto che dichiarava l'inconciliabilità dell'eliocentrismo con la Scrittura. Di fatto, Galileo fu ammonito il 26 febbraio e promise di ubbidire.

Urbano VIII, la pubblicazione del Dialogo e il processo

Dopo un forzato silenzio di sette anni, l'elezione al pontificato (1623) del suo antico amico e ammiratore, Maffeo Barberini, che prese il nome di Urbano VIII, fece rinascere nello scienziato la speranza che ci potesse essere un cambiamento nell'atteggiamento della Chiesa nei confronti del copernicanesimo. Anche se in occasione delle sei udienze che Galileo ebbe con il papa l'anno successivo egli restò deluso in proposito, riuscì almeno ad ottenere il permesso di presentare in un suo libro gli argomenti in favore delle due teorie opposte, quella aristotelico-tolemaica e quella copernicana, ma senza prendere posizione in merito.

Nacque così il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, finito nel 1630 e portato da Galileo a Roma per il permesso della stampa (l'imprimatur). Dopo lunghe trattative con i revisori, preoccupati per l'evidente favore dato da Galileo alla tesi copernicana, il Dialogo venne alla luce a Firenze al principio del 1632. L'arrivo delle prime copie a Roma verso la fine di aprile, causò una violenta reazione da parte degli avversari di Galileo, sdegnati che un libro così chiaramente in favore di Copernico (nonostante gli artifici retorici usati da Galileo per mascherare la sua vera intenzione), avesse potuto essere pubblicato, con un permesso ecclesiastico. Data l'amicizia di Urbano VIII per Galileo, a tutti nota, il sospetto più grave rischiava di ricadere sullo stesso Pontefice.

Venuto personalmente a conoscenza del libro, Urbano VIII affidò l'esame del Dialogo a una speciale commissione. Il parere di essa fu che di fatto Galileo aveva difeso la tesi copernicana. In più la scoperta negli archivi del S. Uffizio del documento che riportava l'ammonizione che Galileo aveva ricevuto da parte di Bellarmino, lo rendeva colpevole anche di aver taciuto su di essa, al momento di chiedere l'imprimatur. Sentendosi così doppiamente tradito nella sua fiducia verso il suo antico amico, Urbano VIII decise di convocarlo a Roma per essere sottoposto a un processo da parte del S. Uffizio.

Un "veemente sospetto di eresia"

Iniziato il 12 aprile 1633, esso si concluse con la condanna dello scienziato "per veemente sospetto di eresia" all'abiura di fronte ai cardinali del S. Uffizio, e alla prigione del S. Uffizio, subito dopo commutata negli arresti domiciliari, prima presso l'arcivescovo di Siena (grande amico di Galileo) e poi nella sua abitazione di Firenze, sotto rigorose condizioni che durarono fino alla morte dello scienziato (8 gennaio1642).

Anche se il gioco d'azzardo giocato da Galileo con la pubblicazione del Dialogo, fondato su un sovrastima del suo rapporto di stima e amicizia con Urbano VIII, contribuì alla dolorosa conclusione della sua lotta per la teoria copernicana, alla base di tale conclusione è da vedere l'errore dell'affrettata decisione presa nel 1616 da Paolo V di chiudere una discussione che le scoperte di Galileo reclamavano a buon diritto fosse lasciata aperta. Da questo errore derivò come logica conseguenza quello della condanna dello scienziato nel 1633, resa ancora più grave in base a una interpretazione dottrinale, in senso rigoroso, del contenuto del Decreto del 1616, da parte di Urbano VIII. Nel discorso dell'ottobre 1992 alla Pontificia Accademia delle Scienze, Giovanni Paolo II ha offerto, a distanza di trecentocinquanta anni dalla condanna di Galileo, un riconoscimento di tali errori.

*Ha insegnato (1963-1991) storia e filosofia della scienza in diverse università giapponesi. Attualmente è Adjunct Professor nel dipartimento di filosofia dell'Università di Victoria, Canada. Tra le sue pubblicazioni: Galileo. Per il Copernicanesimo e per la Chiesa (Libreria Editrice Vaticana, 2003. Tradotto in 7 lingue); Il Caso Galileo (Rizzoli, 2003); Gli Extraterrestri (Carocci, 2008).









Postato il Martedì, 19 maggio 2009 ore 00:05:00 CEST di Salvina Torrisi
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