MA CHE MUSICA, CHE MUSICA, CHE MUSICA… RIBELLE!

La musica non è esclusivamente "evasione" e attività artistico-creativa con il solo scopo dell'intrattenimento. Si fa musica anche per trasmettere idee e ideali e nella storia non sono mancati esempi di musicisti con un forte impegno sociale. Cantanti e cantautori sovente sono diventati fondamentali veicoli di trasmissione di valori e messaggi "politici".

di Giacomo Mottura

Oggi, sia sulla scena italiana che internazionale, sono presenti molti artisti impegnati in cause umanitarie: dalle battaglie per i diritti civili alle lotte di liberazione.
Un rapporto antico quello fra musica e politica, basti pensare a ciò che ha significato l'opera di Giuseppe Verdi durante il Risorgimento italiano. Un rapporto antico che tocca questioni delicate e apre dibattiti accesi. I musicisti sono infatti stati spesso "usati" a scopi politici, diventando simboli di cause a loro estranee; a volte, viceversa, si sono serviti di nobili ideali al solo scopo di incrementare la popolarità e la vendita dei propri dischi.

ll rock: strumento di protesta
Il rock è stato spesso vissuto dalle giovani generazioni come un qualcosa agli antipodi della politica ufficiale, musica di protesta contro il "sistema" e le regole che lo governano. Nel giugno del 1984, in un'intervista sul mensile "Rolling Stone", Bob Dylan, musicista folk considerato una delle voci più importanti del movimento di protesta degli anni Settanta negli Stati Uniti, sosteneva: "Penso che la politica sia uno strumento del Diavolo. Sia chiaro, penso che la politica uccida e non porti niente di vivo. La politica è corrotta, lo sanno tutti". Più recentemente il cantante italiano Max Gazzè ha dichiarato: "Non credo che dovrebbe esserci più rapporto tra musica e politica anche perché la politica non esiste più. Io sono un autarchico. Completamente. Non ho più ideali politici, quei pochi che avevo sono svaniti perché sono stati traditi da una serie di menzogne. Ormai la demagogia è arrivata a dei livelli mostruosi".
Insomma, la politica "uccide" e il rock è "la musica del diavolo". Eppure proliferano sempre di più band di "christian rock" e "christian music", come i Creed, i P.O.D. e gli Stryper: un modo per fare politica e proselitismo al suono di chitarre elettriche.
Ma le canzoni possono contenere un messaggio politico anche se non sono accompagnate da un attivismo vero e proprio, come nel caso di Manu Chao, musicista di successo affermatosi in maniera non convenzionale e divenuto, soprattutto in Italia, una bandiera del movimento no-global. Non a caso molti hanno azzardato un paragone impegnativo, quello con Bob Marley, per il suo carisma e per la scelta di schierarsi dalla parte delle minoranze e di chi lotta per un'ideale di libertà e uguaglianza.
La musica è stata utilizzata come forza di aggregazione politica, espressione di passioni ed emozioni sia di "destra" che di "sinistra". Due esempi italiani? Da una parte gli inni coloniali e di esaltazione dello spirito del camerata e della madre patria del ventennio fascista, dall'altra i canti operai di fine ottocento, attenti alla realtà quotidiana del lavoro e alle condizioni sociali del momento. D'altronde la musica è parte rilevante della cultura operaia non solo nel nostro Paese: si pensi alla diffusione dell'"Internazionale", ancora oggi cantata durante le manifestazioni, gli scioperi e le feste dei lavoratori.

Musica Nera
Fondamentale è stata la musica quale veicolo di comunicazione, di denuncia e diffusione di idee per il movimento di emancipazione della gente nera: il panafricanesimo. Il blues, il soul, il funky, il reggae, il jazz, l'hip hop e le altre dimensioni musicali derivanti dalla cultura "nera" sono stati veicoli fondamentali non solo per la trasmissione di un messaggio, ma anche per la creazione di un'identità e per l'espressione di un orgoglio lacerato da secoli di schiavitù, colonialismo e discriminazioni. Linton Kwesi Johnson, artista di origine giamaicana cresciuto a Londra negli anni Sessanta e Settanta, poeta e musicista di cultura socialista, non solo rende omaggio ai lavoratori ma si schiera apertamente dalla loro parte. Linton racconta, del periodo in cui militò nelle Black Panther: "All'interno delle Pantere Nere organizzammo un laboratorio di poesia. Cominciai recitando le mie poesie da solo, poi mi unii ad alcuni percussionisti chiamati Rasta Love. A volte ci esibivamo anche con un bassista o un sassofonista".

Il rock impegnato
Il rock, dagli anni ottanta in poi, ha in parte abbandonato la sua veste di "colonna sonora" delle rivolte generazionali degli anni Sessanta e Settanta. Oggi sono piuttosto i concerti umanitari che sono entrati a far parte dell'esperienza collettiva di centinaia di milioni di persone. Uno dei primi esempi è quello dei progetti internazionali del "charity rock" (rock caritatevole) e del "political rock", nati dalla collaborazione di Bob Geldof, Lionel Richie e Quincy Jones, e approdati nei due spettacolari concerti svoltisi in contemporanea a Londra (Wembley Stadium) e a Philadelphia (JFK Stadium) il 13 giugno 1985, con 160 nazioni collegate via satellite. Successivamente vengono organizzate la campagna per il Sud Africa e per la liberazione di Nelson Mandela, e la campagna per i diritti umani in America Latina. Con Amnesty International si inaugura la solida e duratura joint-venture del "cartello rock" contro la fame nel mondo, per i diritti e per la tutela dell'ambiente: in seguito a queste esperienze Bono e gli U2 si impegnano per la pace in Irlanda, Bruce Springsteen canta per i sindacati del New Jersey e Tracy Chapman per i neri del Bronx.
Diversi sono i livelli di coinvolgimento e di partecipazione, diverse le maniere di interazione tra musica e politica. La maggior parte degli artisti raccontano, nelle loro canzoni, il proprio mondo e le proprie esperienze, e possono quindi esprimere punti di vista personali anche a livello politico. Il chitarrista e cantante americano Ben Harper ha recentemente dichiarato: "Il mio compito è quello di osservare il quotidiano, occhi spalancati e orecchie aperte. Di conseguenza quel che scrivo mira a stimolare consapevolezza, a spingere la gente a porsi delle domande, a esortare il cambiamento, a cambiare le risposte". Ma c'è anche chi si schiera in prima fila nelle manifestazioni e pensa che la lotta per i propri ideali sia una componente significativa della propria arte, come ad esempio Zulù, il cantante dei napoletani 99 posse. C'è chi presta la propria immagine per campagne di sensibilizzazione o chi offre prestazioni gratuite per scopi benefici, devolvendo gli incassi dei concerti per cause umanitarie. Infine, c'è chi entra a far parte integrante della "macchina politica", come la leggenda della musica brasiliana Gilberto Gil, che oggi è ministro della cultura del suo Paese.
Anche se, come sostiene Eddie Vedder dei Pearl Jam "una canzone non fermerà mai una guerra" e sebbene il rapporto tra musica, mercato e politica non sia sempre lineare, l'opinione pubblica mondiale non sembra rimanere insensibile alle parole pungenti e al messaggio implicito della musica di tanti artisti. Dopotutto, per le celebrazioni ufficiali dell'indipendenza dello Zimbabwe, il 18 aprile 1980, venne organizzato al Rufaro Stadium di Salisbury, la capitale del nuovo stato, un concerto di Bob Marley and the Wailers. Decine di migliaia di contadini ammassati gremirono lo stadio insieme alle autorità locali e al principe Carlo d'Inghilterra, non solo perché l'anno precedente il re del reggae aveva inciso e dedicato una canzone in omaggio alla lotta per la liberazione del Paese, ma anche perché, con il suo carisma e i suoi messaggi, aveva scosso le coscienze dell'opinione pubblica internazionale ed era diventato un paladino della libertà della gente di colore e delle minoranze oppresse di tutto il mondo.