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Costume e società: LA7 ha dedicato una serata speciale a Stato di paura, il film in presa diretta dedicato al

Rassegna stampa

“Stato di paura” in via Anelli Qui l’integrazione è fantasia
 PADOVA - La7 trasmette domani il documentario che testimonia la vita dentro e fuori dal ghetto cittadino
 
 Rosanna Scardi
 Check point di polizia, sirene spiegate a ogni ora del giorno e della notte, cittadini armati di kalashnikov che nel tempo libero si esercitano al poligono di tiro e una recinzione di acciaio lunga ottantaquattro metri e alta tre che separa gli immigrati dai vecchi residenti, i cattivi dai buoni. Sembra di guardare un documentario girato in Palestina, che ritrae il muro di ferro costruito dagli israeliani già ai tempi della prima intifada per isolare i palestinesi. Oppure di assistere a un film d’azione ambientato nel Bronx, il ghetto nero di New York, famoso per essere uno dei quartieri più malfamati al mondo. Invece, la situazione è reale, documentata in presa diretta, e si svolge in Italia. La città, militarizzata, è Padova. Il ghetto si estende sul quartiere Stanga, che comprende via Tonzig, via Confalonieri, via Venezia, dove si tiene il mercato, e via Anelli, la via del muro.
 A mostrare le immagini è Stato di paura, documentario firmato da Mauro Parissone e Roberto Burchielli, in onda domani sera su La7, anticipato, alle 20.30, dallo speciale dibattito Otto e mezzo con Giuliano Ferrara e Ritanna Armeni (ospiti il ministro Paolo Ferrero, Gianfranco Bettin del Consiglio regionale veneto, i giornalisti Magdi Allam e Marcello Veneziani, la senatrice di FI Maria Elisabetta Alberti Casellati e Tiziana Caponio). L’hanno girato nella città veneta, tra ottobre e gennaio, due videoreporter dell’agenzia H24: Michelangelo Severgnini e Ahmine Lemnaouer.
 «L’estate scorsa ho appreso dai giornali una notizia passata quasi in sordina - spiega Parissone - e cioè che l’amministrazione comunale aveva deciso di costruire un muro per isolare le case dove vivono gli immigrati, quasi tutti musulmani. Mi sono detto: ma se ci fosse stato Berlusconi al governo, e non Prodi, e un sindaco leghista, e non Zanonato, chissà che casino ci sarebbe stato. Così abbiamo deciso di mostrare cosa succede: dentro e fuori dal ghetto».
 E, infatti, i protagonisti di Stato di paura parlano con l’accento dei paesi del Maghreb o della Nigeria (a queste due etnie, che spesso entrano in conflitto tra loro, creando problemi di ordine pubblico, appartengono i 1.500 ghettizzati) e con la cantilena tipica padovana.
 «Per loro siamo come animali», è quello che dicono i “reclusi”, mentre le immagini mostrano fogne a cielo aperto, sporcizia e degrado inimmaginabili nella società occidentale. «Io non volevo spacciare o fare del male alla gente, ma sono stato costretto. Nessuno dà un lavoro a un tunisino senza permesso di soggiorno», racconta un altro abitante del ghetto, quasi dispiaciuto del suo “mestiere” e senza paura di mostrare il volto. «Ci hanno obbligati a stare qui per impedire, in caso di retate, che qualcuno di noi possa scappare. Siamo in carcere», racconta un altro extracomunitario che però ammette di vivere «bene» in una terrazza, senza riscaldamento tanto da indicare, fiero, il suo palazzone. Ce n’erano sei, abitati, ma dopo l’ultimo sgombero ne sono rimasti tre. La maggior parte degli inquilini spaccia, si prostituisce, delinque per vivere. «È droga che viene dalla malavita italiana, non dall’Africa, e noi siamo solo pesci piccoli», si giustifica un pusher.
 Il ghetto è una città dentro la città dove vivono donne, bambini, neonati e ci sono una moschea, due ristoranti, uno arabo, l’altro nigeriano, parrucchiere, ecc... «L’integrazione? È pura fantasia - spiega il coautore del documentario -. Come si vede nel filmato sono due mondi che non riescono a convivere. E il muro è una cosa poco sensata. Anzichè arginare il problema l’ha spalmato su tutto il quartiere Stanga». E a farne le spese sono, oltre ai cattivi, emarginati, i buoni. Fuori, a parlare sono i padovani che si sono riuniti in un Comitato anti ghetto. «A organizzare le ronde - precisa Parissone - sono due signori: uno di Forza Italia, l’altro di An. La Lega non c’entra quasi nulla». Mostrano gli appartamenti che espongono tanto di tariffari per le prestazioni sessuali a pagamento. «Questo condominio è come il quartiere a luci rosse di Amsterdam - spiega un signore -. L’ultima volta che l’hanno sgomberato, hanno portato via 130 donnine. Vede, là dietro, quel palazzo rosso è la caserma dei carabinieri e a pochi metri c’è l’abitazione del comandante dei vigili urbani». I padovani si sono quasi tutti armati: hanno calibro 22, magnum, revolver. «Mi sono entrati in casa quattro volte - racconta uno di loro -. Questa è gente che non scherza e non ci pensa due volte a farti fuori. E io ho moglie e tre figli. Secondo lei cosa dovrei fare?». Le donne non possono affacciarsi alle finestre: «Sembra che li controlliamo - spiega una signora -. Io razzista lo sono diventata da quando vivo nella paura». Un ragazzo dal giardino precisa che la recinzione l’ha dovuta mettere lui «perché mi urinavano nel giardino - dice -. Ma io non mollo. Questa è la terra dei nostri padri e non me ne andrò mai».
 Sullo schermo scorrono anche le immagini degli sbarchi a Lampedusa, la porta d’ingresso per l’Europa. Si vedono i volti degli immigrati, sbiancati dalla salsedine, con negli occhi l’orrore di chi ha visto morire i propri amici.
 Il documentario sarà trasmesso anche da Al Jazeera. «Perché il problema è internazionale, riguarda la politica dell’immigrazione. Molti extracomunitari vanno poi in Germania, Austria, Olanda - è la riflessione di Parissone -. Ci sono ghetti a Sassuolo, Brescia, Torino, come in tutte le città d’’Europa». Ma alcuni, appena recuperati dal mare, chiedono una sola cosa: come si fa per andare a Padova? Perché lì sanno che c’è un pezzo di Tunisia, Marocco, Egitto, Nigeria. E se non riusciranno a trovare un lavoro onesto, poco importa. Finiranno a spacciare per strada. In una delle tante vie Anelli.
 Due reporter hanno vissuto per tre mesi tra pusher e prostitute. Parissone, coautore del film: «Il problema è internazionale. Va rivista la politica sull’immigrazione»
 [Data pubblicazione: 01/04/2007] 
 Dal sito del Corriere della Sera

L' Inchiesta di Santoro e i Talebani di Casa Nostra

Dobbiamo ringraziare Michele Santoro e Maria Grazia Mazzola perché ci hanno fatto sentire meno soli nella denuncia dei predicatori d' odio che pullulano in gran parte delle moschee d' Italia e della violenza contro le donne musulmane, che è una vera emergenza nazionale sottovalutata dalla classe politica. E dobbiamo ringraziare la telecamera nascosta, vera protagonista dell' inchiesta di Annozero andata in onda giovedì sera. Attraverso quella telecamera finalmente possiamo osservare la realtà dell' estremismo islamico nel nostro Paese per quella che è, senza mistificazioni. L' unica realtà obiettiva senza la quale non è possibile la verità. Comprendendo le differenze e prendendo atto delle incompatibilità. Perché soltanto se si parte dalla verità che si fonda sulla realtà, allora diventerà possibile immaginare un percorso di autentica integrazione dei musulmani all' interno dei binari invalicabili dei principi e dei valori fondanti dell' identità nazionale italiana. Questo è il senso dell' insegnamento generale di Benedetto XVI, che è stato deformato e criminalizzato dopo il discorso di Ratisbona. Così come dovrebbe essere il fulcro della deontologia professionale del giornalismo. Le immagini di Annozero sono un documento per tutti coloro che vogliono vedere in faccia la realtà e mi auguro che lo faccia soprattutto chi ha incarichi di responsabilità e nel governo, i politici che sono preposti a legiferare, i magistrati a cui spetta far rispettare la legge e le forze di sicurezza che tutelano l' ordine pubblico. Perché ciò che emerge è semplicemente sconvolgente: all' interno del nostro Stato di diritto si annida uno Stato teocratico, che ha la sua roccaforte nella rete delle moschee dove si indottrinano i giovani in crisi d' identità al culto della guerra santa contro i cristiani e gli ebrei, rifiutando strenuamente l' integrazione nella società italiana; dove si accredita e si esercita una concezione maschilista e violenta del rapporto con le donne, legittimando e praticando i matrimoni poligamici. E sarebbe veramente ora di smetterla, da un lato, di dar vita alle ennesime commissioni d' inchiesta nell' attesa di risultati che confermino quanto si sa già e, dall' altro, di continuare a negare l' evidenza per non violare l' integrità dell' ideologia buonista che immagina la convivenza come la sommatoria delle diversità. No signori di destra e di sinistra, non sono più sufficienti le chiacchiere e non è affatto vero che tutte le culture, le religioni, le ideologie e le civiltà sono uguali a prescindere. Dopo l' inchiesta di Annozero, che segue un' altra importante inchiesta di Corrado Formigli trasmessa da SkyTg24 lo scorso primo febbraio dal titolo «Un velo fra noi», dovrebbe essere arrivato il momento di agire. In un modo molto semplice: facendo applicare, con estremo rigore, le leggi esistenti e esigendo, senza mercanteggiamenti, il rispetto dei principi e dei valori comuni. Cominciamo con il mettere fuorilegge tutte le associazioni islamiche che fondano questo Stato illegale che mina il nostro stato di diritto. Chiudiamo le moschee e le madrasse trasformate in covi di Al Qaeda e in centri di indottrinamento alla Jihad. Cacciamo i predicatori d' odio stranieri e sanzioniamo severamente gli apologeti del terrore nostrani. Assicuriamo ogni forma di tutela possibile per prevenire e sottrarre le donne musulmane alla violenza fisica e psicologica. Investiamo nell' emancipazione e nel riscatto delle donne musulmane, tramite l' alfabetizzazione e l' educazione culturale, civile e professionale. Facciamolo subito, prima di scoprire che i talebani non li dobbiamo combattere in Afghanistan, bensì a casa nostra. www.corriere.it/allam

Allam Magdi

dal blog di Dacia valent riportiamo

L'Odio
Domani succederanno cose brutte. Io lo so, e voglio che anche voi lo sappiate. Succederanno a Torino.
Domani il Corriere della Sera, forse dalla mesta rubrica di Magdi Allam, si produrrà in una difesa della trasmissione di Santoro e Ruotolo e Vauro e Travaglio.
E questo dovrebbe far capire, quantomeno a Marco Travaglio e a Vauro Senese, quanto sia crudele quello che è stato inflitto alla comunità. Lo spero, davvero.
Voi sapete quanto questo blog sia faticosamente musulmano. L’uso disinvolto delle metafore, l’uso spregiudicato del linguaggio più crudo spesso, l'abuso sconsiderato delle iperboli, beh, mi pare possano essere considerati buoni indizi, no?
Questo blog racconta di dubbi. Sono una credente balbettante. E voi non sapete quanto io invidi la serena, granitica certezza di altre ed altri musulmani che conosco, che si abbandonano, lasciandosi scorrere sulla pelle la vita scandita da parole che a malapena capiscono, senza chiedersi il perché.
Io di domande ne ho a milioni. Di risposte praticamente nessuna. La religione codificata è per me, appunto, un codice e in quanto tale, mi piace violarlo, spesso, sperando di non farmi beccare. Una specie di amico, quello più strano che ho, mi ha detto che LUI con Dio ci negozia "Faccio questo e magari quell'altra cosa non la faccio per un mese, k Buddy?". Ecco, credo che forse anche io sono un po' così.
Ma c’è una cosa che io so. E so di non essere l’unica a saperla.
So che è da idioti pensare che Dio non abbia altre parole all’infuori di quelle che si leggono sul Corano. Ne ha milioni, tutte meravigliosamente nuove, tutte meravigliosamente umane. Non ci chiede di adattare la nostra vita ad un codice rigido, no. Ci ha dato la libertà di curiosare e di usare di quelle lettere per costruire un alfabeto che si rinnovi insieme a noi, e scrivere nuove sillabe e nuove parole e nuove frasi che diano lo stesso messaggio, ma lo dicano con le nostre voci di oggi, le voci di noi che viviamo in questo mondo che è cambiato, ci sta lasciando indietro e a cui rischiamo di non avere più nulla da donare. Allah non è per nasconderci, ma per spingerci allo scoperto. Allah non è per consolarci, ma per stimolarci. Allah non ci canta una ninna nanna ma ci da la sveglia. Allah è uno e Mohamed è il suo Profeta.
Torniamo a domani. Domani Sandro Ruotolo, che io ricordo diverso (santo cielo, Sandro, quando è che sei diventato così, quando ti sei perduto, accidenti?????), forte del sostegno di Allam e del Corriere della Sera ha annunciato che una troupe di Annozero sarà di nuovo a Torino.
A rastrellare poveri immigrati che pur di dimostrare di non avere nulla da nascondere, apriranno loro le povere porte dei garage o scantinati che questo stato tollerante ci concede come luoghi di culto, e si faranno fregare da qualche furbetto che sulla loro pelle si costruisce una carriera.
Tutto il casino sollevato dalla trasmissione di Santoro è una triste bufala, lo sanno tutti. Anche quelli che ci stanno costruendo su paginate intere in questi giorni.
Un inverecondo baraccone dove Stagionate Cartomanti a Rotelle, attrici disoccupate assunte per fingere di essere donne marocchine segregate ma con una dizione da Actor’s Studios, maniache marocchine e ex gruppettari diventati guru mediatici, hanno ferito scientemente, freddamente e crudelmente la mia gente.

Non so voi, ma io quella casa di ringhiera - dove tante donne, di ogni colore e religione si lanciavano da un ballatoio all’altro, con sorrisi teneri e spietati, le storie di serafica violenza che vivevano (o avevano vissuto) grazie a mariti bastardi, incapaci di ricordare che le mani servono per lavorare ed accarezzare - l’ho sentita casa mia.
Quella ragazza piccola - col sorriso gengivato che si schermiva di fronte alla pseudo Giovanna d’Arco che quasi le urlava in faccia la sua condanna, non del marito violento, ma di lei (si, proprio della piccolina) – l’ho sentita figlia, sorella, madre.
Quell’ometto bigotto - che passa la sua giornata a pregare e a credere che Dio non abbia altre parole di quelle che ha imparato a pronunciare da bambino come le pronunciava suo nonno, che apre orgoglioso la sua piccola bottega della fede e si lascia mettere in croce da una redazione di sciacalli - non mi è più affettuoso antagonista, ma mi è figlio, fratello, padre.
Ma è davvero così difficile, per alcuni, credere che il vero viaggio della scoperta non consiste nel cercare nuovi paesaggi, ma nel cercare nuovi occhi1?
Ecco, domani, queste persone, così piccole, così povere, così indifese, così ansiose di essere amate, così dannatamente fragili, ecco, saranno ferite di nuovo. E tutto per il nulla degli ascolti e degli sponsor.
Domani, la mia gente soffrirà. E io, odierò.
Dacia Valent

Certo, i problemi all’interno della famiglia musulmana ci sono. E sono belli grossi. Ma si risolvono all’interno della famiglia musulmana, con una maggiore consapevolezza delle donne dell’effettivo peso del loro bagaglio di diritti.
Non demonizzandoci.
Non rendendo inutile il faticoso lavoro di costruzione di un substrato culturale/rivendicativo che si sta percorrendo tutte e tutti insieme.
La criminalizzazione della comunità musulmana funziona, in termini di ascolto televisivo. Spararsi uno show, dove mettere sul banco degli imputati, o meglio alla gogna, un’unica comunità per atteggiamenti - deprecabili, criminali e stronzi - che sono condivisi dagli uomini del pianeta, è però un’operazione mediatica di una sconcezza incommensurabile.
Soprattutto quando fatta su persone che non hanno difesa. Bisogna essere molto, ma molto, pezzenti per farlo. Molto più delle povere persone che espongono al pubblico ludibrio con tutti i loro difetti, generati dall’esclusione sociale e della disperazione culturale.
A me, la ragazza proletaria sorridente con l'hijab esibito come povera bandiera di una storia che le viene negata, che rassegnata diceva che se il marito la menava una ragione c'era, ha fatto tenerezza. D'altro canto, il troione intellettuale fintodemocratico che fingeva di indignarsi, non l'avrei fatta accoppiare nemmeno con il mio cane.
Ecco, la nostra giustificazione è questa. Mi piacerebbe sapere quale è la loro.
Giovedì 29 marzo, alle 21 su Rai 2, è andata in onda la visione da sinistra della nostra comunità. Ad Annozero. Il tandem Santoro/Ruotolo ha brandito le solite donne mascherate che raccontano di quanto l'Islam abbia loro fatto del male.
Mentre guardavo affascinata questa specie di incidente stradale televisivo, mi sono accorta che le uniche donne in burqa che si vedono in Italia sono giornaliste alla ricerca di scoop e marocchine televisive che - seppur segregate per anni da malvagissimi eredi del Profeta, che negavano loro l'inalienabile diritto al mascara e quello fondamentale alla minigonna - parlano un italiano impeccabile, privo d'accento.
E mentre le tapine parlano con voci rotte, la redazione trasmette un messaggio subliminale all'avido (di diritti propri e di doveri altrui, naturalmente) pubblico italiano di sinistra: "siamo costretti a "travisarle" per non farle riconoscere dal marito violento in televisione". Anche se raccontano con dovizia di particolari fatti raccapriccianti, certo, ma che le rendono riconoscibili proprio - e solo - al perfido energumeno.
Parrebbe quasi che dopo "l'editto bulgaro", Michele Santoro voglia concorrere per una fatwa musulmana. Cicca cicca Miché, se per Prosperini siamo disposti a spendere 10.000 euri per fargli spiaccicare una torta in faccia, con te ci si limiterebbe ad una pizza. Ben data. O al canonico totò sul culetto.

Ma state tranquilli, signore e signori, popolo intero. Le cose sono finalmente cambiate. Il Michele da Salerno è tornato in città, e - deo gratias - metterà tutte le cose al loro posto. Scovando notizie e fornendoci sorprendenti storie e ancor più sorprendenti esperti e testimonial.
nella top ten del sionista che non deve chiedere. Mai.

In università, ai tempi in cui Michele Santoro era un maoista puro e duro, lo ricordano come un ragazzone con la testa grossa e ricciuta, un po’ sfigato e dall’ascella lacrimogena. Le ragazze del collettivo studentesco si divertivano a tenerlo seduto su un bottiglione di seltz. Ma, lui, beh, lui non se ne curava. Era impegnato, appunto, a servire il popolo.
Pare gli avessero promesso un pompino. Quando scoprì che non ne avrebbe beneficato, ecco, credo che sia stato proprio quello il momento in cui nacque il Michele Santoro che conosciamo oggi: quello in grado di avvincere una platea televisiva per ore e metterla nel culo ai compagni ed alla gente perbene. Non per cattiveria, ma perché è nella sua natura di nullità giocherellona.
Si racconta che, quello storico giorno, parlò per circa tre ore (una specie di Fidel Castro del cazzo, va detto) in un’aula magna zeppa di junkies che si riunivano per ascoltarlo, un po' come oggi, per spiegare quanto il pompino (che nessuna si era peritata di elargirgli) fosse una bieca e malefica espressione di servilismo al capitale nonché una decadente pratica borghese.
Questo due di picche, comunque, fruttò al movimento un decisivo passo in avanti nella teorizzazione dei rapporti di genere.

Il nostro Michele aderì a questa ulteriore oscura corrente del pensiero maoista: in fondo, chi meglio di lui avrebbe potuto rappresentare il paradigma del bravo militante che, con mano ferma e veloce, da tutto se stesso a se stesso?
La lunga auto-frequentazione sessuale finalmente fece breccia nel cuore di Michele: gutta cavat lapidem sed etiam kleenex consumit. Lui, oggi come oggi, si ama. Non poco, ma tantotanto.
Il baraccone messo su, ad Annozero, è una specie di Bagaglino nobilitato dall’aura di sinistra delle persone che vi si producono, con tanto di figume, solo che vestito.
Vi si trova anche un Vauro che è riuscito nell’immane compito di diventare una vignetta vivente molto più triste di quelle che ci regalava anni fa (non è che sta diventando un tristone, è che si sta disegnando così) ed un Travaglio (che di sinistra sinistra proprio non è), che svolge il suo mestiere di certificatore dei mali della comunicazione altrui, e mai di chi lo paga.
Marco Travaglio – raggiunto al cellulare – se l’è cantata prima del gallo dicendo che lui tiene solo una piccola rubrica e che non è responsabile delle scelte (cazzate) della redazione. E per chi non si ricordasse Norimberga, era un po' che quello che dicevano i gerarchi nazisti quando li accusavano di aver eseguito un po' troppi ordini malandrini.
E poi c’è lui, il Michele. Bello come il sole e sfarzoso quanto una madonna in processione, brillocco compreso.
Il suo stile di conduzione ricorda molto gli attori del teatro elisabettiano quando recitavano nei panni di una donna: gestualità esagerata, scatti napoletani delle mani per sottolineare concetti di una banalità rattristante: “Da oggi dovrete ascoltare il popolo” (suppongo sia la versione riveduta e corretta del suo motto giovanile).

Guardate che è un arte, eh?
Certo, capisco che ci siano ancora persone che ritengono che bisogna fare la rivoluzione per il popolo, anche se si dovesse farla contro il popolo. I maoisti, appunto.
Ma prendermela nel culo da uno che non è riuscito nemmeno a farsi fare un pompino “politico” da una baffuta movimentista negli anni ’70, mi pare francamente dequalificante.
Essere una dandy come me, significa non doversi mai chiedere scusa. E qui non c'è alibi che reggerebbe.
Dacia Valent
 









Postato il Martedì, 03 aprile 2007 ore 13:45:14 CEST di Salvatore Indelicato
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