«Erano tempi belli, splendidi, quando
l’Europa era un Paese cristiano, quando un’unica cristianità abitava
questa parte del mondo plasmata in modo umano; un unico, grande
interesse comune univa le più lontane province di questo ampio regno
spirituale». Queste sono le celebri frasi introduttive di uno
degli scritti programmatici più influenti del primo romanticismo
tedesco, cioè del frammento Cristianità o Europa di Novalis, scritto
nel 1799.
Una concezione del tutto particolare e del tutto nuova del passato, del
presente e del futuro affiora dal suo suggestivo testo. Quanto al
passato dell’Europa, esso viene immerso con il tono nostalgico delle
favole in una luce che sa di età dell’oro; soprattutto il Medioevo
appare retrospettivamente come un’epoca contraddistinta da una
cristianità omogenea. Invece il presente è descritto in modo
estremamente critico. In esso regnerebbero l’egoismo, un razionalismo
soffocante e interessi materiali detterebbero legge. La causa
principale di questa triste situazione e di queste perdite sembrerebbe
risiedere nella secolarizzazione dell’Europa.
Quanto più desolato è il quadro del presente dipinto da Novalis, tanto
più luminoso è lo sguardo gettato sul futuro. Egli prevede l’avvento di
uno Stato europeo sovranazionale, che sarà tenuto insieme da un
cristianesimo rinnovato, supererà la sua divisione confessionale e, con
spirito cosmopolitico, non escluderà altre parti del mondo, ma inviterà
alla pacifica convivenza. Molto importante è qui per lui il fatto che
questo cristianesimo rinnovato non sarà più «irreligiosamente chiuso
entro confini statali» , ma saprà mantenere la propria distanza dagli
interessi di ogni singolo Stato.
Vale la pena di chiedersi brevemente come vadano giudicate oggi le tre
affermazioni fondamentali di Novalis. L’Europa è stata mai
omogeneamente cristiana? Oggi essa è completamente secolarizzata? Il
suo futuro sarà il futuro di un cristianesimo rinnovato, oppure il
cristianesimo emigrerà dai suoi confini?
Alla prima domanda mi pare che si debba rispondere con un chiaro «no».
Nessuno oggi contesta più l’ininterrotta importanza della religione
ebraica nella storia europea. E neppure l’islam è diventato una parte
dell’Europa solo con l’immigrazione di manodopera nel corso degli
ultimi decenni, ma ha al contrario una lunga storia europea soprattutto
nella penisola iberica e nei Balcani. Inoltre, pratiche e idee
religiose precristiane continuarono a rimanere vitali fin nel tardo
Medioevo, soprattutto in vaste parti dell’Europa settentrionale e
orientale. La cristianizzazione di alcuni Paesi, per esempio della
Lituania, ebbe luogo solo nel XIV secolo. L’assimilazione del
cristianesimo ha continuato a essere influenzata per lungo tempo, forse
fino a oggi, dalla specifica religione precristiana della popolazione.
Gli antichi politeismi (soprattutto quelli greci e romani) non hanno
fatto sentire il loro influsso solo una volta nella storia europea
della religione e della cultura, cioè nel Rinascimento , ma hanno
rappresentato una continua fonte di ispirazione o una sfida.
Parlare di un cristianesimo unitario significa, inoltre, perdere di
vista la sua intrinseca eterogeneità. Dalla Riforma protestante e dalla
conseguente divisione della Chiesa in poi, il carattere drammatico del
rapporto tra le diverse forme di cristianesimo è divenuto evidente. Più
importante nel nostro contesto è il fatto che non sia stata solo la
Riforma protestante ad avere la conseguenza non voluta del pluralismo.
La separazione tra la cristianità ortodossa e quella latina era
avvenuta già secoli prima. Inoltre, nel Medioevo la Chiesa latina fu
caratterizzata da una notevole molteplicità interna e dovette far di
continuo fronte ai cosiddetti movimenti ereticali. E, infine, l’avvento
dell’«opzione secolare» (Charles Taylor), cioè la crescente possibilità
di disporre di immagini del mondo indipendenti dalla fede religiosa,
costituisce un passo in avanti sostanziale nella direzione del
pluralismo, dato che la reazione alle nuove immagini secolari del mondo
può imprimere a sua volta un’ulteriore spinta verso nuove
secolarizzazioni oppure rendere le persone più disponibili ad adottare
tradizioni religiose orientali – neppure in questo caso, quindi,
abbiamo a che fare solo con la secolarizzazione.
Bisogna perciò immaginarsi l’Europa come un continente indubbiamente
ricco di tradizioni di pluralismo religioso. L’Europa, si potrebbe dire
in maniera riassuntiva, non è stata mai unitariamente cristiana, così
come del resto il cristianesimo non è stato mai solo europeo. Quando ci
si lascia prendere dall’entusiasmo per un Occidente cristiano, si
dimentica facilmente che il cristianesimo non solo non ha avuto origine
in Europa, ma anche che all’inizio esso si diffuse attraverso
molteplici vie, alcune delle quali poste ai margini estremi dell’Europa
o che conducevano lontano da essa (Armenia, Georgia; i copti; la
diffusione verso l’India o dei nestoriani fino in Cina). Non è un caso
che, oggi, nell’epoca della globalizzazione del cristianesimo, si
prenda maggiormente coscienza di questa storia dimenticata o «perduta».
Alla seconda domanda – se l’Europa sia ormai ampiamente secolare –
dobbiamo rispondere oggi affermativamente con più sicurezza di quanto
non si potesse fare al tempo di Novalis. Guardando indietro rimaniamo
sorpresi nel notare come, attorno al 1800, lo spirito del tempo vedesse
la religione sulla difensiva in diverse parti d’Europa. La situazione
odierna è estremamente eterogenea. Oggi l’Europa è effettivamente molto
secolarizzata in alcuni Paesi e, fatte poche eccezioni, anche nei Paesi
più secolarizzati parti consistenti della popolazione appartengono a
raggruppamenti religiosi, condividono verità di fede e partecipano
almeno occasionalmente a pratiche e riti religiosi.
Quanto al futuro, azzardo con grande prudenza alcune previsioni:
soprattutto le dissoluzioni – ma anche le nuove formazioni – di
ambienti animati da uno spirito religioso e la grande importanza della
migrazione verso l’Europa per la situazione religiosa del continente.
Ovviamente, altrettanto importante è anche il revival religioso in quei
Paesi postcomunisti, in cui è possibile constatarlo (Russia, Romania).
Va sottolineato il fatto che la messa in discussione dell’idea che la
modernizzazione conduca necessariamente alla secolarizzazione dischiude
senza dubbio nuove possibilità alla fede. In ogni caso, il futuro
dell’Europa non sarà, nei prossimi decenni, il tempo di un rinnovato
cristianesimo, anche se si dovesse arrivare a tale rinnovamento. Il
futuro dell’Europa sarà un futuro multireligioso; ed esso dovrebbe
essere caratterizzato da una nuova reciproca apertura dei credenti e
dei non credenti, posto che essi concordino circa gli orientamenti
fondamentali, in fatto di valori, dell’universalismo morale.
Avvenire.it