Sembra piuttosto difficile sostenere che nelle prove
Invalsi non sia insito il concetto di performance e in tutta
l’organizzazione connessa anche il concetto di ciclo. Le prove Invalsi
possono fornire adeguati strumenti per valutare l’efficienza delle
scuole e dei dirigenti in relazione alle procedure e l’efficacia
dell’azione didattica in rapporto agli esiti.
Quest’anno le prove Invalsi sono diventate un momento importante per la
scuola italiana. Sia quelle per la scuola primaria, sia quelle per la
scuola secondaria di primo grado, sia quelle per l’esame di fine ciclo
valide ai fine della valutazione finale hanno mostrato un sistema
scolastico che avvia una misurazione oggettiva. Il Ministro ha poi
annunciato che le prove Invalsi si faranno anche nell’esame conclusivo
del secondo ciclo.
(Di S.Stefanel da http://www.educationduepuntozero.it/)
L’azione dell’Invalsi è stata interessante, ma non organica, e
l’appropriazione da parte dell’Invalsi di una parte del voto finale di
un esame di Stato è stata realizzata in forma impropria, dando alle
Commissioni un’indicazione che era un “ordine” e che non aveva
corrispondenza in alcuna norma di legge. Di queste cose si dovrà tenere
conto in futuro, perché se c’è una Commissione, questa deve valutare
tutto l’esame e non solo una sua parte, oppure se non lo valuta tutto
deve esserci una norma di riferimento preliminare, come succede negli
esami conclusivi del secondo ciclo in relazione al sistema dei crediti.
Tutto questo però credo possa aprire un dibattito sul rapporto tra
prove Invalsi e d.lgs 150/2009 (Brunetta) in rapporto al concetto di
performance valutabile. Il citato decreto rimanda sine die l’avvio
della valutazione della performance nella scuola e molti commentatori
stanno sostenendo che le singole istituzioni scolastiche non forniscono
performance valutabili nell’abito del decreto. In realtà mi sembra
piuttosto difficile sostenere che nelle prove Invalsi non sia insito il
concetto di performance e in tutta l’organizzazione connessa anche il
concetto di ciclo. In quest’anno scolastico si è assistito da un lato
alla valutazione di performance (le prove Invalsi) spesso scollegate da
qualsiasi dinamica di ciclo, nel senso che molte scuole non erano
pronte, non si sono preparate e non si sono interessate. Inoltre
diventa interessante verificare se l’esito della valutazione inciderà
in qualche modo sugli assetti futuri delle scuole e questo è proprio il
meccanismo che sta alla base del ciclo della performance, vista come
oggetto da valutare in funzione premiante, punitiva e orientativa.
Poiché si cercano in modo piuttosto “disperato” i metodi per valutare
le scuole e i dirigenti credo che le prove Invalsi possano fornire
adeguati strumenti per valutare l’efficienza delle scuole e dei
dirigenti in relazione alle procedure e l’efficacia dell’azione
didattica in rapporto agli esiti. Nelle scuole che dirigo (una Scuola
secondaria di primo grado con 700 alunni come titolare e un Istituto
comprensivo con 750 alunni come reggente) gli esiti sono stati
complessivamente buoni, anche perché comunque dirigo scuole del Friuli
Venezia Giulia che hanno un consolidato rapporto positivo con le prove
di valutazione di sistema. Ma le classi che hanno accettato e
sviluppato con coerenza le spinte che abbiamo dato allo svolgimento di
simulazioni, allo spostamento della didattica verso il meccanismo delle
prove e non dei soli prodotti didattici come sono i compiti e le
interrogazioni, alla disseminazione del lavoro serrato dei docenti
inseriti nei gruppi provinciali di lavoro, a un lavoro di rete sulla
certificazione delle competenze hanno avuto esiti decisamente migliori
e molto meno sorprendenti delle classi in cui hanno prevalso lo
scetticismo e la pigrizia.
Proprio perché siamo nell’ambito del ciclo della performance io penso
sia necessario non lasciare andare le valutazioni per conto loro, ma
integrarle velocemente e profondamente nel sistema. E questo è un
lavoro sulla performance che deve partire da settembre,
indipendentemente dalla sua valutazione.
redazione@aetnanet.org