Scritto da Mariella Spinosi - Giancarlo Cerini
sabato 08 luglio 2006
Un ordine del giorno ambizioso ed attraente, che ha convinto il Vice-ministro
dell’istruzione, Mariangela Bastico, a fermarsi a lungo ad “ascoltare” una voce
importante della scuola. È scaturito un interessante momento di partecipazione e
di dialogo tra operatori scolastici, esperti, rappresentanti politici e
amministratori locali, che potrebbe rappresentare uno stile nuovo di rapporto
tra scuola reale e scuola legale, tra la “base” degli insegnanti (spesso
destinataria in questi anni di riforme calate dall’alto) e vertice
politico-amministrativo (spesso tentato dalla scorciatoia delle riforme promosse
con la “forza della legge”).
Un convegno pubblico per raccogliere e condividere idee
S. Benedetto del Tronto 3 luglio 2006
Partiamo dal convegno pubblico svoltosi presso l’hotel Calabresi, con oltre 300
presenze: una vera tribuna per un confronto aperto tra il “popolo della scuola”
ed il “quartiere generale” nazionale e regionale dell’istruzione. Assieme al
Vice-ministro dell’istruzione Mariangela Bastico sono intervenuti l’assessore
regionale delle Marche Ugo Ascoli, il presidente della provincia di Ascoli
Piceno Massimo Rossi, l’assessore alla cultura e all’istruzione della provincia
di Teramo Rosanna Di Liberatore, il presidente dell’unione dei comuni della Val
Vibrata Nilde Maloni, l’assessore alla cultura e all’istruzione della provincia
di Ascoli Piceno Olimpia Gobbi, l’assessore alla formazione professionale Emidio
Mandozzi, l’assessore alla cultura e all’istruzione del comune di S. Benedetto
del Tronto Margherita Sorge, il presidente dell’IRRE Abruzzo, onorevole Antonio
Verini, il direttore dell’IRRE Marche Italo Tanoni, il presidente della
Fondazione Bizzarri Maria Pia Silla, oltre ai dirigenti delle associazioni
sindacali (Massimo Di Menna, Mario Guglietti, Gianfranco Cappello, Luisella De
Filippi) e professionali (Domenico Chiesa, Luciano Corradini, Gigliola Corduas,
Gregorio Iannaccone ed altri).
Tali presenze hanno dato, infatti, anche visivamente, il segno di un sistema che
si è fatto policentrico, dove non esiste più la “mitica” stanza dei bottoni, ma
dove ogni soggetto – il centro, la rete degli enti locali, le autonomie
scolastiche – dovrà assumersi in prima persona delle precise responsabilità. È
su questo tema che ha posto l’accento il sottosegretario agli affari regionali e
alle autonomie locali, Pietro Colonnella.
Sussidiarietà si coniuga allora con autonomia, ma anche con le nuove prospettive
per lo sviluppo “locale” (come ha ricordato Everardo Minardi, docente di
sociologia all’Università di Teramo). In questo contesto glo/cal la scuola può
diventare un soggetto promotore di cultura, di sviluppo, di innovazione,
mettendo a frutto le opportunità previste dalla autonomia che dovrà però
rifocalizzarsi sul curricolo scolastico e sui saperi fondamentali (questa è
stata una delle tesi di Franco Frabboni preside di Facoltà a Bologna).
Più autonomia, tuttavia, non significa far venire meno il ruolo di orientamento
e di indirizzo (magari più sobrio, più essenziale, ma proprio per questo più
incisivo) sui grandi obiettivi che la scuola dovrebbe perseguire. Se nei
prossimi mesi si lancerà l’idea di elevare l’obbligo di istruzione fino a 16
anni (come ha prefigurato Domenico Chiesa, presidente del Cidi), occorre
definire un quadro di norme fondamentali, di risorse, di formazione del
personale, da vivere non come vincoli, ma come punti di riferimento per la
progettualità della scuola.
Elevare di un biennio la cultura di tutti i ragazzi implica infatti un impegno
diffuso, sia del centro e sia delle periferie, ha ricordato l’assessore delle
Marche Ugo Ascoli. Ma implica anche che tali scelte siano sorrette da un
progetto culturale solido che vede tutta la scuola, fin dall’infanzia, impegnata
a rileggere la sua missione educativa, come ha ben precisato la parlamentare
europea Luciana Sbarbati.
Alle richieste di Mariella Spinosi, dirigente tecnica delle Marche e
coordinatrice del dibattito, di precisare le linee del governo, anche come
risposta alle attese e alle preoccupazioni delle scuole, in modo particolare
della scuola di base – la più “vessata” negli ultimi decenni – il Vice-ministro
dell’istruzione, Mariangela Bastico, ha posto l’accento sulla necessità di
rinnovare il metodo della concertazione, con gradualità, ma avendo un preciso
disegno di scuola della Repubblica (inclusiva, delle pari opportunità, della
cittadinanza). Insomma, un metodo tra utopia-progetto e “cacciavite” – come ha
argutamente precisato – dando conto (con molta serenità, per altro, e senza
spirito di rivincita) di tutti gli smontaggi e gli aggiustamenti che il Ministro
dell’istruzione sta apprestando con la tecnica del “cacciavite”.
È prevedibile che durante la prossima estate le controverse questioni del tutor,
dell’orario facoltativo, dell’anticipo, del portfolio, possano trovare una
diversa sistemazione normativa, mediante accordi contrattuali che chiameranno in
causa direttamente le rappresentanze sindacali.
Dopo anni di annunci roboanti su presunte grandi riforme, ha fatto capire la
Vice-ministro, è più conveniente lavorare in silenzio, quasi sottotraccia, con
un obiettivo apparentemente minimo, come il far funzionare al meglio la scuola
quotidiana, valorizzando il “buono” (le buone pratiche) che c’è ma spesso non si
vede.
L’attenzione ed il consenso del pubblico presente hanno probabilmente convinto
Mariangela Bastico che i primi passi del governo sono guardati con simpatia, che
il minimalismo gradualista piace di più del ritmo tambureggiante degli ultimi 10
anni che ha finito per disorientare e demotivare gran parte degli insegnanti.
Sembra risuonare il rassicurante ed italianissimo “Adelante, Pedro, cum judicio…”
.
Un seminario ad invito: 100 esperti a confronto sul futuro della scuola italiana
S. Benedetto del Tronto 3 e 4 luglio 2006
A San Benedetto del Tronto in contemporanea è stato realizzato anche un
seminario ad invito che ha ospitato esperti dell’istruzione e della formazione.
Provenienti da tutte le regioni d’Italia si sono incontrati presso l’hotel
Calabresi, per due giorni consecutivi (3 e 4 luglio) un centinaio di
“intellettuali” tra docenti universitari, rappresentanti delle associazioni
professionali e disciplinari, del mondo del lavoro, insegnanti, dirigenti… per
compiere una diagnosi sullo stato di salute della scuola italiana e delineare
una prima agenda delle questioni su cui intervenire per il miglioramento del
sistema educativo.
Nella sala degli “intellettuali” è risuonata con molta insistenza il tema della
prospettiva, del progetto, dei nuovi indirizzi culturali cui dovrebbe ispirarsi
la scuola italiana. Le analisi hanno potuto articolarsi, non solo rispetto a
quanto (non) è stato fatto nell’ultima legislatura (i mali della scuola italiana
sono più antichi della riforma Moratti), ma anche con una lettura in prospettiva
europea. Le scadenze di Lisbona 2010 (con i suoi impegnativi benchmarking) sono
dietro l’angolo ed il nostro paese sembra non produrre quello scatto necessario
per recuperare il terreno perduto.
C’è bisogno di riforma, anche se fatta in modo diverso, attraverso processi
condivisi, di partecipazione, di co-costruzione. Il desiderio di tutti gli
insegnanti è quello di trasformare la riforma da adempimento vissuto con
disagio, a “ballata popolare”: una narrazione (legislativa) che va incontro alla
gente, cui chiede non solo di ascoltare, ma di partecipare, integrare,
aggiungere, vivere da protagonisti.
È questa la metafora con la quale Giancarlo Cerini, dirigente tecnico
dell’Emilia Romagna, ha voluto raffigurare un modello di comunicazione a doppia
direzione, dal vertice alla base, dalla scuola all’amministrazione. C’è, dunque,
bisogno di riforma e di autoriforma: è vero che ormai il 75% dei ragazzi
italiani giunge al diploma secondario, ma è ancora troppo alta la quota di
dispersione, impressionante la promozione ottenuta con debiti formativi (quasi
il 40%, con il ritorno delle bocciature), l’affievolimento delle motivazioni dei
ragazzi, il deficit consistente nei li-velli di apprendimento, rilevato dalle
più recenti indagini internazionali.
Sembra emergere un problema di senso da recuperare, di valore da riconsegnare
all’istruzione, di incontro con la conoscenza come occasione di emancipazione e
di libertà.
La scuola, soprattutto quella di base, è ancora un ambiente di incontro sociale
tra bambini e ragazzi, di scambi, di convivialità e relazioni. È compito dei
docenti trasformare questo piacere di stare insieme in piacere di conoscere,
vivere, prendersi cura de-gli allievi non solo come accoglienza, tenerezza,
cordialità, ma come tutoraggio dell’apprendimento, costruzione del metodo di
stu-dio, stimolo all’autonomia cognitiva e relazionale.
Le prossime riforme dovrebbero quindi essere soprattutto condizioni per favorire
l’esplicarsi al meglio del protagonismo delle scuole, degli operatori
(riconoscendo con più coraggio la professionalità) e delle virtù (piuttosto che
i vizi) dei diversi territori.
Gli “intellettuali” hanno continuato le analisi anche per tutto il giorno
successivo (4 luglio), suddivisi in 5 tavoli. Nel primo, dedicato al “progetto
culturale”, i lavori sono partiti da alcune domande essenziali: come riformulare
l’idea di curricolo, su quali indirizzi definire a livello nazionale, su come
far dialogare, oggi, i saperi con la vita dei nostri ragazzi. L’accento si è
posto sulla responsabilità degli insegnanti e sull’autonomia delle scuole, ma
anche sulla non emendabilità delle attuali “Indicazioni nazionali”. Si tratta –
è stato ribadito – di aprire una nuova stagione di ricerca nell’elaborazione dei
nuovi curricoli.
Nel tavolo dedicato alle “riforme ordinamentali” si è discusso con molta
vivacità sulla necessità dell’obbligo a 16 anni, senza trascurare le diverse
ipotesi di applicazione del principio: quella di un primo biennio nella scuola
superiore, come sembra emergere dallo stesso programma dell’unione (oggi
programma di governo: così è stato precisato dal Vice-ministro), quella di un
biennio integrato (la soluzione della legge regionale dell’Emilia Romagna), o
altre strade, volte a rafforzare le opportunità culturali e formative di coloro
che andranno a scegliere il percorso professionale.
Nel terzo tavolo, quello dedicato alle “professionalità” gli esperti si sono
chiesti, prima di entrare nel merito delle possibili soluzioni, come mai il
mestiere di “insegnare” è diventato oggi tanto difficile, ma anche se finalmente
si è nelle condizioni di prendere sul serio l’autonomia e gestire gli spazi di
flessibilità e di responsabilità. Valorizzare le professionalità d’aula,
documentare le esperienze dei docenti, guardare all’Europa e puntare sullo
sviluppo professionale enfatizzando la ricerca-azione, sono state queste le aree
individuate all’interno del gruppo, attraverso le quali percorrere la strada
verso il miglioramento della qualità dei “lavoratori della conoscenza”.
Il quarto tavolo si è occupato del tema “territorio e politiche del lavoro”.
Dall’analisi delle opportunità, per costruire un rapporto più stretto tra
territorio, autonomie, mondo del lavoro, è scaturita anche la domanda se un
federalismo, benché solidale, possa, di fatto, migliorare il benessere dei
cittadini. Si è discusso inoltre sul rapporto tra “finalità disinteressate” di
una formazione alta per tutti ed esigenze del mercato del lavoro, ma anche sul
significato di una cultura che sia veramente “utile” per sé stessi, per il
lavoro e per il Paese.
Infine, uno spazio a parte ha avuto la questione della “valutazione e
rendicontazione”, tema affrontato dal quinto tavolo. La domanda di partenza era
sulla possibilità reale di superare una valutazione che fino ad oggi ha creato
solo disagio per una valutazione come etica del rendere conto ed opportunità di
miglioramento. Ma si è posto anche il problema di come dovrebbe essere un
sistema nazionale di valutazione, sicuramente efficace e non contrastivo con le
finalità pedagogiche del fare scuola.
Si è parlato della necessità primaria di superare la pesantezza burocratica,
inasprita dall’ultima circolare sulla valutazione (84/2005), e di avviare,
specialmente per la scuola di base, una ricerca seria sulla “valutazione
autentica”, puntando sull’apprendimento piuttosto che sulla certificazione. A
ciò si aggiunge, però, (come è stato ribadito) l’urgenza di definire quadri di
competenze entro i quali poter orientare i percorsi di ap-prendimento e di
insegnamento verso le certificazioni, che si renderanno sicuramente necessarie a
partire dai 14 anni.
FRAMES: un progetto interistituzionale per far ripartire la scuola
Le due iniziative (Seminario ad invito e Convegno pubblico) si collocano
all’interno di un progetto particolarmente articolato, che riguarda un’ampia
serie di attività di studio e di percorsi formativi, denominato “FRAMES”:
acronimo di formazione, ricerca-azione, modelli educativi sostenibili, ma inteso
anche nella sua accezione semantica: “quadri, cornici, impalcature”.
Le ragioni del progetto risiedono nella considerazione di base che il nostro
sistema scolastico e formativo deve essere ri-pensato alla luce degli ultimi
eventi delle politiche nazionali ed europee e che la scuola che abbiamo non
riesce ad essere un fattore di crescita per il paese e per le persone. Per
trovare risposte efficaci alle nuove domande e alle nuove esigenze, appare
importante analizzare gli scenari aperti dalle ultime riforme, non solo da parte
dei decisori politici, ma anche da coloro che devono rendere concrete ed
operative le eventuali riforme (o aggiustamenti).
In tal senso il progetto FRAMES, che si sta mettendo a punto nelle regioni
Marche e Abruzzo parte dalla necessità di capire quali potrebbero essere le
linee di cambiamento e di costruire, nello stesso tempo, percorsi di studio e di
ricerca. Il progetto com-prende, infatti, una pluralità di iniziative che si
articoleranno in due filoni principali: il primo a carattere politico culturale
[FRAMES 1]; il secondo tecnico-professionale [FRAMES 2].
Entrambi i filoni si suddividono ulteriormente in attività (azioni, misure…)
diverse per finalità, tempi, destinatari e costi.
Le finalità generali sono quelle di contribuire a rilanciare un dibattito
partecipato e diffuso sulle politiche formative, di coinvolgere adeguatamente
diverse categorie di cittadini, direttamente ed indirettamente interessati alla
scuola, ma anche e soprattutto di contribuire ad avviare ricerche pedagogiche
approfondite, per capire come migliorare la qualità degli esiti formativi degli
studenti.
Le azioni progettuali si concretizzeranno attraverso i due filoni di ricerca
indicati:
FRAMES 1: Seminari di produzione (IDEE PER LA SCUOLA CHE VERRÀ);
FRAMES 2: Progetto di ricerca-azione (soprattutto sui temi degli APPRENDIMENTI,
COMPETENZE, VALUTAZIONE E CERTIFICAZIONE) Le azioni collegate sia al primo
filone (FRAMES 1) sia al secondo (FRAMES 2) sono tutte finalizzate ad attivare
continui pro-essi di miglioramento, e si articolano ulteriormente in più
tipologie: seminari, pubblicazioni di materiali, gruppi di discussione, convegni
mirati, costituzione di gruppi di ricerca-azione, incontri consulenziali, gruppi
di discussione…
Al progetto sono interessati diversi soggetti: le Scuole autonome, le Reti di
scuole (insegnanti, dirigenti e personale amministrativo…, Uffici scolastici
regionali), le Associazioni professionali e disciplinari, gli Enti locali
(Province, Comuni, Associazioni di comuni…), le Regioni, che dalla “Nuova
Costituzione” sono chiamate ad assumere precisi compiti di governo. Interessate
possono essere le Case editrici o le Fondazioni che abbiano nel proprio statuto
obiettivi analoghi.
Sono in fase di costituzione i gruppi di ricerca, mentre i primi incontri
operativi sono previsti a partire dal mese di settembre. È, inoltre, in via di
programmazione per il mese di ottobre, un convegno a carattere nazionale, sulle
stesse tematiche del seminario ad invito, rivolto non solo ai docenti e ai
dirigenti, ma anche agli studenti e alle famiglie.
11 luglio 2006
Ultimo aggiornamento ( martedì 11 luglio 2006 )
INVALSI: da strumento di controllo a strumento di lavoro (Frames)
Scritto da Marisa Bracaloni
venerdì 07 luglio 2006
INVALSI: da strumento di controllo a strumento di lavoro
Riflessioni e proposte sulle attività di valutazione nell’Istituto Comprensivo
Quali sviluppi possono dare le prove INVALSI all’insegnamento/apprendimento nel
primo ciclo?
Come sappiamo i motivi che hanno condotto a creare uno strumento apposito per la
gestione della qualità del sistema sco-lastico da parte del Ministero (e di
conseguenza anche da parte delle singole istituzioni scolastiche) sono scaturiti
dalle esperienze internazionali sulla valutazione scolastica, tra queste le
indagini OCSE, un progetto che da vari anni si occupa di valutare e confron-tare
i processi formativi internazionali (si tratta di una grande rilevazione
internazionale, prevalentemente centrata sulla capacità di comprensione della
lettura ma integrata da aspetti relativi alla matematica e alle scienze, nonché
alle cosiddette abilità trasversali, Cross Curricular Competencies, alla quale
partecipano 32 nazioni).
La valutazione in sede scolastica è sempre stata ritenuta importante per vari
motivi: per la sua funzione diagnostica (cono-scere il livello iniziale degli
allievi); per una funzione incentivante: sapere che il proprio lavoro sarà
sottoposto a giudizio spinge gli studenti a prepararsi con una maggiore cura,
infine una valutazione positiva costituisce un riconoscimento sociale, premia i
più me-ritevoli, assumendo, a fine corso, una funzione certificativa.
Da circa una ventina di anni, in concomitanza alla qualificazione della funzione
dirigenziale, si ‘e sviluppata l’idea di “ efficienza” e si è parlato di
responsabilità in ordine ai risultati, alla quale e’ ovviamente connessa la
valutazione.
Come si è detto la valutazione e’ stata intesa come incentivo al miglioramento,
essa pertanto serve a controllare, a verifica-re se un meccanismo funziona
secondo le modalità prefissate e realizza gli scopi previsti. Dal 1970 in varie
parti del mondo e’ nato il dibattito sulla qualità dell’istruzione e la
valutazione esterna si inserisce in una prospettiva sistemica per valutare gli
effetti delle innovazioni nel campo dell’istruzione. Così è avvenuto da qualche
anno anche in Italia, da prima in modo sperimentale e facoltativo, poi in questi
ultimi due anni a livello nazionale e quindi con partecipazione obbligatoria per
il primo ciclo, tramite un Ente esterno denominato INValSI
In sintesi la valutazione esterna ha la funzione di:
valutare il raggiungimento degli obiettivi generali del sistema;
individuare i punti critici rispetto agli obiettivi stabiliti per porre in atto
azioni correttive e risorse mirate a un migliora-mento continuo del sistema di
istruzione
utilizzare parametri coerenti con quelli usati dai servizi di valutazione
comunitari e internazionali;
contribuire al miglioramento della qualità dei processi e degli esiti;
indurre all’autovalutazione le singole istituzioni scolastiche;
informare l’utenza del servizio erogato. Descriviamo ora gli strumenti usati
dall’INValSI (Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema dell’Istruzione)
per effettuare verifiche periodiche sui gradi di apprendimenti degli alunni e
sulla qualità complessiva dell’offerta formativa delle istituzioni scolastiche
Classi indagate per il primo ciclo
Le classi 2° e 4° della scuola primaria e classe 1° della secondaria di primo
grado
Discipline interessate
• italiano,
• matematica,
• scienze.
Nei risultati inviati alle scuole viene definita la media dei risultati
riportati dagli alunni e la deviazione standard a livello scolastico,
provinciale,regionale, nazionale
Nell'ambito della recente riforma del sistema scolastico, attuata dalla legge 53
del 2003, la definizione di standard delle competenze è la seguente: si tratta
dell'indicazione di un livello minimo di conoscenze, sia teoriche che pratiche,
che lo studente dovrebbe raggiungere e padroneggiare alla fine dell'anno: in
parole povere cosa l'allievo saprà e cosa saprà fare. Il traguardo è fissa-to
dal MIUR (il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca) e
rappresenta il punto di partenza per la programmazione didattica dei docenti e
per la valutazione finale degli alunni.
Per la 2a classe scuola primaria
Prova d’italiano (un racconto seguito da 14 quesiti a scelta multipla, 3
alternative)
• Comprensione particolare del testo;
• Comprensione globale del testo;
• Ortografia;
• Morfosintassi;
• Lessico;
• Organizzazione logico-semantica.
Prova di matematica (16 quesiti a scelta multipla, 3 alternative)
• Numero: scrittura e lettura di numeri; riconoscimento di regole; risolvere un
problema scegliendo le operazioni opportune;
• Geometria: riconoscere e denominare figure geometriche; individuare punti in
una quadrettatura.
Prova di scienze (10 quesiti a scelta multipla, 3 alternative)
• Elementi di metodo sperimentale;
• Uomo- ambiente;
• Viventi- non viventi.
Per la 4a classe scuola primaria e 1a secondaria
La prova d’italiano (2 testi stimolo, uno narrativo e uno espositivo
informativo, seguiti da 15 quesiti a scelta multipla per ciascun testo, 4
alternative)
• Comprensione particolare del testo;
• Comprensione globale del testo;
• Lessico;
• Ortografia;
• Nozioni fondamentali di morfo-sintassi;
• Organizzazione logico-semantica.
La prova di matematica (28 quesiti a scelta multipla, 4 alternative)
• numero: conoscere i numeri naturali e i numeri decimali e sapere operare con
essi, scrittura posizionale dei numeri; conoscere e sapere applicare le
proprietà delle operazioni; conoscere la nozione di frazione, saperla utilizzare
come opera-tore; risolvere un problema scegliendo le operazioni opportune;
• Geometria: riconoscere, denominare e descrivere figure geometriche piane;
individuare e denominare vari tipi di angoli; calcolare per conteggio aree e
perimetri di semplici figure, data l’unità di misura;
• Misura e dati: conoscere il sistema metrico decimale e saper effettuare
semplici conversioni tra un’unità di misura e un’altra; stimare la misura di
oggetti comuni; scegliere l’unità di misura più adatta per un determinato
oggetto da misurare.
La prova di scienze (28 quesiti a scelta multipla, 4 alternative)
• Elementi di metodo sperimentale;
• Uomo/ambiente;
• Trasformazioni;
• Viventi/non viventi
L’Invalsi richiede anche la compilazione di due questionari di sistema,
somministrati per via informatica. Il primo riguarda le caratteristiche
organizzative, funzionali, dati generali, sviluppo del servizio scolastico; il
secondo l’integrazione scolastica
ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE PROVE
1. Difficoltà
Viene riscontrata una esagerata difficoltà dei test, specie se si considera che
le prove sono riferite ai programmi dell’anno precedente. Facciamo un esempio:
all’inizio della classe seconda della scuola primaria un bambino dovrebbe essere
in grado di sa-pere leggere in 30 minuti un racconto di circa 35 righe, più 42
enunciati (distrattori), scegliendo tra di essi quello più adatto alla do-manda
Per i bambini all’inizio della classe quarta della scuola primaria (in 45
minuti) addirittura due racconti di circa 75 righe,più 120 enunciati scegliendo
la risposta corretta e più precisa
Queste attività presuppongono mettere in atto abilità complesse legate a :
- conoscenze linguistiche e logico-matematiche e scientifiche
- capacità diagnostiche (reperire, trattare e utilizzare dati)
- capacità di scegliere tra più risposte quella più completa
2. Obiettivi
Nella pubblicazione delle soluzioni,viene anche indicato l’obiettivo specifico
di riferimento,
quindi nel corso degli anni viene monitorato lo stesso obiettivo, ma con
difficoltà crescente
Nello sviluppo del curricolo verticale di istituto invece si tende ad ampliare
la capacità relativa ad un obiettivo, più che ap-profondirne la complessità
Ad esempio, una competenza relativa alla lingua scritta potrebbe essere: "Alla
fine della quarta classe, gli studenti dovreb-bero saper raccontare una
storia(testo narrativo) e descrivere una persona (testo descrittivo).
Sviluppando ulteriormente queste cono-scenze, un successivo standard in
verticale potrebbe essere: "Gli studenti dovrebbero sapere riassumere,
manipolare un testo narrati-vo e riconoscere una descrizione soggettiva da una
oggettiva di cose, animali e persone".
Inoltre nutro alcune perplessità sul fatto che una sola domanda possa dimostrare
con sicurezza se l’obiettivo e’ raggiunto o no? Tanto per fare un
esempio:suddividere una sola parola in sillabe può dimostrare che gli alunni
hanno acquisito le regole della suddivisione della parola in sillabe e che
quell’obiettivo e’ stato raggiunto?
Infine non vanno dimenticate le Competenze chiave approvate dalla Commissione
europea il 21-12-2005 per conseguire la realizzazione personale, la
partecipazione attiva e per migliorare l’occupabilità che però entrano solo in
parte nelle prove nazionali :
- capacità di comunicare nella lingua madre
- conoscenza di due lingue straniere
- acquisizione di competenze di base matematiche, tecnologiche e scientifiche
PROPOSTE
Formazione
Si rileva la necessità di formare i docenti non solo per la somministrazione dei
test,ma anche per la lettura dei risultati
Un progetto d’Istituto
Alcune proposte per creare un progetto di Istituto a cui diamo il nome
provvisorio di “Un cruscotto per viaggiare in Euro-pa”
Il termine metaforicamente attribuisce alla scuola l’immagine di una
straordinaria macchina da corsa in grado di raggiungere livelli di performance
estremamente alti.
Ogni automobile sportiva, tuttavia, possiede un cruscotto con una serie di
indicatori che consentono, per esempio, di man-tenere la prestazione nel tempo,
oppure ridurre il rischio di danni al motore o alla struttura: l'indicatore
della temperatura dell'acqua e del livello dell'olio, per esempio, consentono di
prevenire la fusione del motore.
Analogamente l'Istituzione scolastica, per raggiungere gli obiettivi che si
prefigge, deve costantemente tenere sotto controllo alcune variabili
fondamentali come le performances degli alunni, le gestione delle risorse, la
soddisfazione dei bisogni e delle richieste degli utenti e così via.
Schematicamente il progetto si basa sulle proposte cosi articolate
Un gruppo tecnico ristretto della valutazione è composto da:
• Coordinatore
• Docenti di varie discipline
• compiti
• Esame sistemico dei risultati per una congruente azione della didattica
• Riflessione interna alla scuola sul proprio operato, utilizzando parametri che
le forniscono il suo posizionamento rispet-to agli standard nazionali e
internazionali
• Scambio informazioni tra scuola e Invalsi
• Costruzione degli indicatori di criticità
• Organizzazione di un archivio
• Suggerimenti per la costruzione del curricolo di istituto
Attività dei singoli docenti – Programmazione a livello di classe
• Valutazione delle prove e confronto con i programmi adottati
• Esercitazioni
• Verifiche agli alunni secondo il modello Invalsi
• Recupero
• Prove dei tempi per esecuzione di attività
Laboratorio di ricerca-azione
• Attività con gruppi di alunni centrate su materiali affini a quelli usati per
le prove invalsi
• Creazione di prove a diversi livelli di difficoltà
• Gestione dei tempi
• Sviluppo dell’ attenzione e concentrazione
Focus group
Composizione:dirigente, dirigente amministrativo,referente di istituto,genitori,
docenti, alunni, altre figure ritenute utili ai compiti
Pensiamo ad un gruppo di discussione all’interno della scuola in cui sono
rappresentate tutte le componenti dell’istituto per evidenziare gli aspetti per
i quali possono essere necessarie azioni di miglioramento
Rapporti con le famiglie in una visione collaborativa :troppo spesso la famiglia
viene vissuta come risorsa, come ostacolo, come cliente, quasi mai come partner,
occorre invece “cominciare a sviluppare forme di reale scambio di partenariato “
Conclusioni: quali riflessi possono avere le prove nazionali in un istituto
comprensivo?
Curricolo
I risultati possono costituire oggetto di studio sul curricolo verticale di
scuola dando a quest’ ultimo un significato preva-lentemente formativo delle
competenze
Curricoli basati su standard nazionali, essenziali, fondamentali, graduali
- In tutte le proposte trova molto spazio l’attenzione all’educazione
linguistica,
finalmente compresa come trasversale a tutti i saperi e non più compito
esclusivo dell’insegnante di Lingua 1 anche per quanto concerne il suo uso nei
diversi ambiti disciplinari;
- Scoperta delle discipline e della loro struttura interna,uso di un nuovo
linguaggio non più improntato a conoscenza su base assertiva(questa cosa e’
così…queste sono le caratteristiche), ma anche su ciò che non e’…(negazioni)….
- Attività di programmazione, integrazione, flessibilità di obiettivi,
contenuti, metodi, tecniche
Progetti e attività
Un’offerta formativa che presti attenzione ad impiegare le risorse dove è
necessario, che osservi gli aspetti critici e incre-menti quelli efficaci
Competenze cognitive
Comprensione lettura
Capacità di individuazione: comprende tutta l’area del riconoscimento di
elementi linguistici e testuali
Analisi
Capacità di analisi: comprende l’area della ricerca di elementi in contesto, di
relazioni interne al testo, all’organizzazione testuale.
Riflessione
Capacità di riflettere sul testo
Osservazione
Capacità di prestare attenzione e memorizzare le informazioni e i dati
Velocità di lettura e di calcolo
Capacità di lettura fluida, scorrevole, rispettosa delle pause che danno senso
alla frase
Verifica e valutazione
Capacità di esprimere un parere sulle caratteristiche del testo esaminato
Capacità affettive
Atteggiamenti nei confronti del compito di apprendimento, interesse e
motivazione ad apprendere
Capacità relazionali
Variabili legate al processo di socializzazione agli atteggiamenti assunti a
livello di scuola
Competenze Disciplinari
Capacità di leggere, riconoscere, trasformare, tradurre, riferire, scrivere,
manipolare, sintetizzare tipi di testo
• testo regolativo
• testo argomentativo
• testo narrativo
• testo scientifico
• testo problema
– Capacità di riconoscere, rappresentare e risolvere problemi
– Padroneggiare abilità di calcolo orale e scritto
– Operare con figure geometriche, grandezze e misure
– Utilizzare semplici linguaggi logici e procedure informatiche
– Riconoscere e descrivere fenomeni fondamentali del mondo fisico,biologico,e
tecnologico
– Orientarsi e collocare nello spazio e nel tempo fatti e eventi
Ultimo aggiornamento ( venerdì 07 luglio 2006 )
Spunti di Paolo Calidoni per la discussione nel tavolo di lavoro del
seminario Frames
Scritto da Paolo Calidoni
giovedì 06 luglio 2006
Spunti di Paolo Calidoni per la discussione nel tavolo di lavoro,
tratti da interviste in corso di stampa sulle riviste L’Educatore e Il Maestro/aimc.
A – Professionalità , autonomia e curricoli
D.: … quali sono, nel panorama della ricerca didattica attuale, le idee- guida
che potrebbero orientare i processi di innovazione nei prossimi anni?
R.: Nel panorama della ricerca didattica si trovano diverse tradizioni ed
orientamenti, che rimandano a diverse concezioni della scuola, dell’insegnamento
e del rapporto con la ricerca. Ad esempio, l’orientamento ‘evidence-based’
suggerisce di fondare i processi sull’evidenza empirica della ricerca
sperimentale e della rilevazione degli apprendimenti (PISA); quello ‘reflective’
indica la strada delle comunità di pratiche professionali e l’interazione
pratica-ricerca; quello ‘emancipatorio’ propone lo smascheramento dei
condizionamenti che guidano le pratiche per liberarsene ed agire con più
responsabile consapevolezza; e questi sono solo i principali, i mainstream.
Ritengo che tutti siano, insieme, rilevanti e parziali. Ognuno offre un punto di
vista e lenti/sguardi che permettono rappresentazioni di profili diversi; ma
–inevitabilmente- non è in grado di restituire la complessità dell’evento
didattico. È quindi necessario tenerli presenti tutti, per muoversi in modo non
steoreotipato o riduttivo. Dopo lustri di innovazione che non hanno posto al
centro la risorsa costituita dalla professionalità degli insegnanti, penso che
le idee-guida del neo-professionalismo ‘reflective’ –che prediligo- potrebbero
essere utilizzate per orientare un circuito virtuoso, capace di andare oltre le
secche del conflittualismo tra slogan.
D.:Con l’autonomia si è a suo tempo enfatizzato il passaggio dal programma al
curricolo, mentre una idea-chiave dell’attuale riforma è il passaggio dal
curricolo di scuola ai piani di studio personalizzati. Quali possono essere nei
prossimi anni gli orientamenti per la progettazione dei percorsi di
insegnamento/apprendimento?
R.: La domanda indica come ‘passaggi’ degli orientamenti ministeriali quelli
che, dal punto di vista pedagogico-didattico, sono aspetti/dimensioni di una
progettazione dei percorsi di insegnamento/apprendimento a ‘regola d’arte’
professionale. Certo, queste dimensioni hanno avuto sottolineature diverse nel
tempo anche nella riflessione e nella pubblicistica professionale e scientifica,
anche internazionale, ma la contrapposizione o la linearità evolutiva (o
involutiva -?-) sono semplificazioni riduttive, slogan, schematismi
propagandistici che trascurano la complessità e multiplanarità
dell’evento-percorso formativo e della progettazione e accompagnamento
professionale dello stesso. Le presentazioni contrastive possono essere utili a
scopi didascalici, per mettere in evidenza specificità e sfumature, ma diventano
‘gabbie’ e stereotipi quando assumono carattere prescrittivo e ri-educativo. Per
dirla con una formuletta retorica, si può buttare anche il bambino, insieme con
l’acqua sporca; fuor di metafora: non valorizzare/utilizzare/far crescere
competenze professionali già disponibili per sostituirle con nuovi schematismi
(tipici dei principianti). Si tratta, allora, di orientare la progettazione
riprendendone il significato etimologico e profondo: pro-iacere, che significa
‘gettare oltre’, andare al di là. Innanzitutto, dei riduttivismi sloganistici,
per ‘immaginare’ percorsi d’insegnamento/apprendimento significativi oggi per
chi vi partecipa, affinché possano continuare nel corso della vita.
D.: In questi anni è diventata centrale la questione dell’apprendimento. Cosa
comporta quest’ottica per l’azione didattica dei docenti?
R.: Anche in questo caso, anzitutto, c’è da evitare il riduttivismo del pendolo
e della contrapposizione tra insegnamento e apprendimento, per cogliere e
gestire la complessità dell’interazione tra l’uno e l’altro come risorsa ed
opportunità. E c’è da riprendere la lezione dei classici dell’educazione
popolare e del ‘novecento didattico’ che oggi trova conferma con l’impiego delle
nuove tecnologie; con le parole di Pestalozzi, ‘cuore, mente e mano’ ovvero:
emozioni, cognizione, corpo che operano in inte(g)razione in contesti sociali e
di artefatti (la ‘casa’ di Gertrude) oggi sempre più tecnologici. In altre
parole, l’azione didattica dei docenti consta nella ‘costruzione, conduzione,
valutazione’ di ambienti di apprendimento in cui si impara facendo esperienze
significative insieme. Non mancano esempi. Le classi-aule e le scuole che
alunni, genitori e insegnanti ricordano positivamente nel tempo funzionano così,
anche se non sempre si esibiscono come ‘good/best practices’ on-line, ma si
trovano soprattutto nelle narrazioni di casi, come –ad esempio- oggi, in Italia,
il progetto ’A scuola senza zaino’ animato da Marco Orsi e molti altri della
‘maggioranza silenziosa’ delle mastre e dei maestri che amano lavorare con i
bambini-ragazzi accompagnandoli nel loro percorso formativo e umano, senza
troppe definizioni.
B- Innovazione organizzativa
D.: Attualmente l’orario delle attività didattiche nella scuola primaria viene
definito integrando i tre segmenti della quota obbligatoria, della quota
facoltativo-opzionale e dell’eventuale quota per le attività di mensa e dopo
mensa. Qual è secondo voi il “tempo necessario” nella scuola primaria? E’
opportuna a questa età la quota facoltativa? In quale altro modo potrebbero
essere stabiliti i criteri per definire il tempo scolastico nella scuola
primaria?
R.: I criteri che si adottano evidenziano e rimandano a una concezione; in
questo caso, del tempo e della scuola. Una concezione istruttivista, funzionale
a trasmettere/costruire le conoscenze/competenze mette al centro gli
insegnamenti/apprendimenti misurabili e tutto il resto diventa accessorio ed
eventuale, indipendentemente dall’età degli alunni. Guardando, invece, a bambini
e ragazzi che vivono l’esperienza significativa della scuola, come ambiente di
apprendimento, di relazioni e di vita, allora i criteri cambiano. Semplificando,
sono vita, relazioni e apprendimento le dimensioni degli ambienti/tempi
educativi strutturati; con mix e priorità che cambiano in rapporto alle età
degli educandi e dei contesti e progetti famigliari e sociali. Quindi, il tempo
necessario nella scuola primaria è tale da comprendere le dimensioni indicate,
con spazi ampi di scelta ed autoorganizzazione –possibilmente al di fuori di
rigidi schematismi di quote-. Insomma, un tempo-scuola anche –e soprattutto-
‘posto/casa dei bambini/ragazzi’, oltre che servizio ed istituzione, accanto ad
altri (famiglia, parrocchia, sport ecc.) ma non meno significativo.
D.: L’idea del gruppo docente di modulo è andata progressivamente trasformandosi
nel corso degli anni: dagli esiti dei monitoraggi degli anni novanta
all’autonomia fino alla situazione attuale. Quale può essere il modello
organizzativo di riferimento per i prossimi anni?
R.: L’organizzazione è frutto della combinazione tra le risorse disponibili ed
il progetto educativo -la direzione che orienta l’azione-. Risorse e progetto,
nel contesto dell’autonomia e della contemporanea cultura della sussidiarietà
neo-comunitaria, sono frutto della convergenza di diversi soggetti e livelli. Si
tratta, quindi, di trovare un punto di equilibrio tra molteplici tensioni, in
cui la condivisione dell’intenzionalità educativa sia realizzata da una chiara,
funzionale, efficace ed efficiente distribuzione dei compiti e delle decisioni.
La disponibilità di risorse e competenze –anzitutto quelle professionali dei
docenti- rimanda a responsabilità politiche internazionali, nazionali,
regionali, locali. Anche il progetto educativo, come abbiamo visto, chiama in
causa responsabilità diverse, anzitutto educative (in primis i genitori e la
comunità –latu sensu-) e professionali. L’organizzazione spetta, invece, a chi
dispone delle competenze tecniche del caso, ai professionisti (insegnanti,
middle-managment, dirigenti, consulenti). Ai politici ed all’amministrazione
spetta definire le risorse; ai professionisti l’organizzazione, nell’ambito ed
in funzione di un progetto formativo condiviso. Se l’autonomia non è una parola
vuota, l’organizzazione per decreto –che ha fatto più danni che bene,
irrigidendo in schematismi l’insegnamento- potrà essere, finalmente, un ricordo.
C- Valutazione
D.: … ritiene possibile misurare, verificare e valutare una competenza? Se sí,
con quali strumenti? Se no, quali possono essere gli elementi da tenere sotto
osservazione nella valutazione dei percorsi formativi per capire se il cammino
di ogni ragazzo verso la/le competenze sta procedendo?
R.: E´ possibile, anzi è condizione e scopo essenziale della rel-azione
didattica riconoscere il valore (valutare) di ogni ragazzo e farlo crescere.
Tutto il resto è strumentale e, in quanto tale, opportuno e limitato. Le
verifiche degli apprendimenti (es.: prove INVALSI), l´auto e co-documentazione
del percorso formativo (es.: portfolio), l´affrontare situazioni autentiche e
quotidiane che comportano l´uso di conoscenze ed abilitá scolastiche (es.:
valutazione delle competenze funzionali, come PISA) sono tutte operazioni
rilevanti se restano quello che sono: strumenti.
D.: Il portfolio esiste nelle esperienze internazionali da una ventina d’anni.
Quali possono essere le prospettive di questa pratica nella scuola italiana?
R.: Il portfolio si è reso necessario ed esiste come contrappeso di valutazione
autentica in sistemi basati sull’impiego generalizzato e continuo di test per la
verifica degli apprendimenti. Ed anche in quei contesti non è esente da critiche
e difficoltà d’implementazione (come dimostra anche la lenta diffusione del
portfolio europeo delle lingue). Comunque, è concepito, proposto ed utilizzato
come strategia professionale di sollecitazione ed accompagnamento
dell’autoconsapevolezza; non è stabilito per decreto (legittimato da quale
norma?) che i docenti devono eseguire/compilare, per di più in un sistema che
solo dai PP dell’INVALSI in poi comincia ad utilizzare il testing. Si tratta,
quindi, anzitutto di farne una pratica (non un adempimento) professionalmente
utile, nella tradizione di accompagnamento che si è consolidata con
l’impostazione formativa che la valutazione nella scuola elementare italiana ha
da tempo acquisito. Valorizzandone gli aspetti di autenticità, già presenti in
molte pratiche didattiche (non quelle amministrative) della continuità, e di
partecipazione attiva dei bambini-ragazzi e dei genitori alla costruzione di
consapevolezza del ‘curriculum’ (vitae et studiorun) e dello
sviluppo/acquisizione di competenze in corso.
D.: … Da un lato la competenza, elemento complesso e non ´pesabile´, dall´altro
esigenze di certificazione che corrono su standard di prestazione. Come ritiene
di possano conciliare? Competenza e prestazione sono assimilabili?
R.: Nel linguaggio corrente competenza e prestazione si richiamano
reciprocamente, appartengono al medesimo lessico: chi è competente eroga
prestazioni, ci rivolgiamo ai competenti per avere prestazioni. Ma questa è la
logica dello scambio, che non basta per rappresentare e comprendere la relazione
educativa, che si basa su –o almeno implica e comprende- la vitale dinamica (non
´pesabile´) del dono. Si tratta, come suggerisce Sergiovanni, di chiarire il
rapporto e la prioritá tra la dimensione della scuola come ´lifeworld´(mondo
della vita) e ´systemworld` (mondo delle regole), entrambe necessarie e
legittime. A condizione che la seconda non schiacci la prima. Oggi che le
tecnologie rendono sempre piú facili la verifica, la rilevazione, la
documentazione e la certificazione, possiamo e dobbiamo farne degli strumenti e
concentrare attenzione e sforzi per riprendere e rilanciare il senso della
scuola come esperienza di vita, non di passaggio/scambio obbligato per
raggiungere risultati e certificazioni da parte dell’alunno, della scuola e
dell’insegnante.
Ultimo aggiornamento ( giovedì 06 luglio 2006 )
Un preambolo per la scuola
Scritto da Franco Frabboni
lunedì 03 luglio 2006
Un preambolo per la scuola
Apriamo con un saluto caloroso e un augurio di buon lavoro al nuovo primo
inquilino di Viale Trastevere, Giuseppe Fioroni. E plaudiamo ai suoi primi atti
simbolici e pedagogici: la presenza a Barbiana per legittimare Don Lorenzo
Milani a stella cometa di una scuola democratica, solidaristica e di alto
profilo formativo; la reintroduzione identitaria di “pubblica” all’istruzione
del nostro Paese; lo stop alla Riforma della scuola secondaria della Moratti.
Dopo cinque anni di stallo, riprende finalmente il mare il veliero della scuola
italiana lungo le rotte che lo porteranno all’isola (che non c’é) intitolata
alla scuola delle Riforme: il “plurale” segnala l’opzione per un continuo e
progressivo suo rinnovamento e respinge la logica del “singolare” (la Riforma)
che ha costretto la scuola a strappi e a discontinuità ad ogni cambio di
compagine governativa. Navigando sulla rotta delle Riforme, il veliero della
scuola chiede al Ministro Fioroni alcuni cieli azzurri necessari per
attraversare i mari di questo terzo millennio.
Per solcare i quali, l’imbarcazione delle Riforme (anche per rendere trasparenti
e plausibili le necessarie “negoziazioni” con il centro/destra sui prossimi
provvedimenti legislativi) dovrebbe alzare al vento tre vele (un Preambolo) per
garantire un viaggio sicuro all’ “idea” di scuola del centro/sinistra. In
proposito, suggeriamo al Ministro della Pubblica Istruzione di impegnare il
Parlamento a dibattere un Preambolo della scuola che possibilmente raccolga il
consenso delle voci più democratiche e di maggiore sensibilità culturale che
siedono nei banchi dell’opposizione. Il che significa illuminare, insieme, un
limbo di valori pedagogici - “metapolitici”: inamovibili da qualsiasi Governo -
posto in un cielo al di sopra delle nuvole, al riparo dalle instabilità
legislative.
Quali vele dovranno gonfiarsi lassù, in alto, dando spinta al veliero diretto
sull’isola della scuola delle Riforme? Ne azzardiamo tre.
La vela culturale. - Sul primo pennone del veliero delle Riforme prende vento la
vela che porta i colori europei della società della conoscenza. A Lisbona/2000
l’Unione dei quindici ha scosso il Pianeta con questo avvertimento. Se il
ventunesimo secolo non investirà sul tandem “educazione-istruzione” rischierà
moltissimo: sia di allargare la forbice tra umanità colta (ricca) e incolta
(povera), sia di rinunciare al ruolo di sentinella a difesa del soggetto-persona
(irripetibile e inviolabile) contro l’incubo del soggetto-massa (manipolabile e
omologabile). I tam tam portoghesi alzano dunque al cielo una teoria della
scuola che eleva la conoscenza a irrinunciabile risorsa economica e sociale. E’
un capitale economico, perchè l’affidabilità e la competitività del sistema
produttivo di un Paese dipendono sempre di più dalla sua conoscenza diffusa,
dalla sua scolarizzazione di massa: “non-uno-di-meno”. E’ un capitale sociale,
perché la conoscenza concorre alla costruzione di una persona equipaggiata di
valori civili: la coscienza democratica, la costruzione di un mondo solidale,
giusto, pacificato.
La vela democratica. - Sul secondo pennone del veliero delle Riforme prende
vento la vela che porta i colori dell’inclusione: possibile soltanto in una
scuola pubblica e gratuita. Nemica numero-uno della scuola dell’inclusione è
indubbiamente la sua versione aziendalistica, che introduce surrettiziamente il
clima tossico della competitività: niente cooperazione, niente solidarietà,
niente co-costruzione delle conoscenze. Soltanto rivalità cognitiva e
conseguente deriva individualistica e privatistica. La vela democratica spinge
su rotte ben diverse. Verso una scuola “aperta” alla molteplicità delle culture
e dei valori dell’ambiente, partecipata dai genitori e dalle forze sociali,
progettata e condotta collegialmente dagli insegnanti, disponibile
all’inserimento e all’integrazione delle diversità (disabili, altre etnie).
La vela formativa. - Sul terzo pennone del veliero delle Riforme prende vento la
vela che porta i colori del non-solo-scuola. Questa, accredita i tanti luoghi
della formazione extrascolastica, nella consapevolezza che le conoscenze
intercettate “fuori” godono oggi di una maggiore durata cognitiva rispetto a
quelle raccolte tra i banchi della classe. Di qui la necessità di perseguire
l’alleanza - nel nome di un sistema formativo integrato - tra la scuola
dell’Autonomia e, con la regia delle Regioni, le agenzie intenzionalmente
formative del territorio: la famiglia, gli enti locali, il privato sociale, il
mondo del lavoro, le chiese. Un patto pedagogico che assicuri per 365 giorni
l’anno un rapporto di “scambio” formativo tra la scuola e i beni/opportunità
culturali del territorio, secondo linee di complementarità e di interdipendenza
delle reciproche risorse educative.
Per concludere. Tre bandiere al vento sopra le nuvole: portano i colori della
conoscenza, dell’inclusione e del sistema formativo integrato.
Scheda informativa. Scuola dell’infanzia e anticipi
Scritto da Giancarlo Cerini
lunedì 03 luglio 2006
Scheda informativa. Scuola dell’infanzia e anticipi (!?)
Negli ultimi anni le politiche sociali per l’infanzia si sono rivolte verso
soluzioni “privatistiche” di sostegno alle singole famiglie (il bonus bebè) e le
loro scelte personali (il bonus scuola), mettendo in ombra la dimensione
“sociale” ed istituzionale degli interventi.
Ha prevalso il richiamo alla centralità della famiglia, con la motivazione –in
sé accettabile - di responsabilizzare i genitori verso l’educazione dei figli,
accompagnati da una più diretta iniziativa della comunità, dei gruppi, delle
formazioni sociali di base, piuttosto che delle istituzioni pubbliche. Possiamo
parlare di sussidiarietà (che è indice di autonomia e di autogoverno), ma che
non può tradursi nella rinuncia ad un intervento pubblico forte, perché
considerato intrusivo ed invasivo.
La scuola dell’infanzia italiana è un punto di forza del sistema educativo: una
scuola frequentata da oltre il 96% dei potenziali utenti, vissuta come “primo
giorno di scuola” dai genitori (a prescindere dalle condizioni di lavoro), con
una sua solidità istituzionale, con un curricolo triennale, un progetto
educativo visibile e socialmente apprezzato per i bambini dai 3 ai 6 anni.
Il principio della “generalizzazione” (e della connessa “qualificazione”) appare
troppo debole. Oggi c’è una domanda inevasa di scuola dell’infanzia, sono
ricomparse le liste d’attesa. E’ necessario affermare il concetto di diritto
all’educazione a partire dai tre anni: un diritto soggettivo, perfetto ed
esigibile, che non può essere subordinato a risorse, liste, disponibilità di
posti (come livello essenziale di prestazione (LEP), di cui parla la
Costituzione).
La scuola dell’infanzia è spesso la prima struttura ove avviene l’impatto con i
nuovi “cittadini”, spesso provenienti da altri paesi. Questo dato implica un
forte ripensamento nelle scelte educative, nei curricoli (si pensi alla
condizione di bilinguismo imperfetto), nei rapporti con i genitori, negli stili
relazionali, di vita nell’alimentazione. Problemi per noi inediti, che possono
trovare nelle sezioni di scuola dell’infanzia un “laboratorio” di ricerca,
utilissimo per tutti i livelli scolastici successivi.
Dai tre ai 6 anni le differenze (di cultura, religione, disabilità, ceto
sociale) possono essere accolte in un contesto educativo che offre ampio spazio
al corpo, agli occhi, alle mani dei bambini, dove la parola degli adulti
accoglie, accompagna, non si sovrappone ma aiuta le non-parole dei bambini a
trasformarsi in linguaggi, codici, alfabeti, condivisi e compresi dalla comunità
degli apprendenti.
Occorre accantonare le Indicazioni nazionali (2004), riconfermando l’idea di una
scuola dell’infanzia ambiente di vita, relazione, apprendimento: un contesto
altamente motivante, caldo, corporeo ed affettivo, da cui fare scaturire
“situazioni di apprendimento” (piuttosto che artificiose “unità di
apprendimento”) in cui la mediazione culturale dell’insegnante (la sua sapiente
regia) diventa l’elemento che fa co-evolvere le esperienze dei bambini verso una
prima organizzazione “riflessiva” delle conoscenza.
Ci sono due anticipi (molto diversi): quello a 5 anni verso l’elementare; quello
a 2 anni verso la materna.
Per i bambini di 5 anni occorre smontare l’ansia da anticipo dei loro genitori
(specie al Sud): si generalizzi l’istituto comprensivo come “ambiente educativo
di apprendimento”, si offrano buone scuole dell’infanzia ovunque, si elabori un
curricolo verticale dai 3 ai 14 anni, si costruisca un vero contesto di
“continuità”: la questione anticipo cadrà da sé, vincerà la qualità del progetto
educativo offerto a tutti i bambini, anticipatari e non, da una scuola su
misura, personalizzata.
Per l’anticipo sotto i tre anni sembrano esserci valide alternative a portata di
mano. Ma accogliere bambini di due anni e mezzo (poi vedremo qual è la struttura
più adatta tra nido, prematerna, materna) comporta una riorganizzazione degli
ambienti, dei tempi, dei servizi, un diverso rapporto numerico adulto-bambini,
una professionalità più fine e attenta alle loro esigenze, un contesto educativo
molto più simile all’asilo nido, piuttosto che alla scuola materna. La scuola
può accogliere bambini al di sotto dei tre anni, ma, appunto, per farlo
correttamente, deve assomigliare molto di più ad un nido, come succede in
Emilia-Romagna, dove in base ad una legge regionale sono state istituite
particolari sezioni “pre-materna” per bambini dai due ai tre anni, con criteri e
standard di funzionamento particolari. A certe condizioni anche la scuola
statale potrebbe sperimentare soluzioni di questo tipo, ma ha bisogno di risorse
adeguate, di tempi lunghi, di una progettazione educativa appropriata.
C’è bisogno, in definitiva di adottare scelte politiche, amministrative,
organizzative, coerenti con la cultura dell’infanzia che si è espressa in questi
decenni in Italia; se c’è questa convinzione non sarà difficile trovare le
soluzioni concrete e le risorse necessarie per una “buona” scuola dell’infanzia.
L’autonomia scolastica: da rifocalizzare
Scritto da Giancarlo Cerini
lunedì 03 luglio 2006
L’autonomia scolastica: da rifocalizzare
L’autonomia della scuola nasce e si sviluppa quasi in contemporanea con il
cambiamento della forma statuale della Repubblica italiana. E’ vero, avevamo
cinque Regioni (e due Province) con poteri legislativi “speciali”, ma oggi è
tutto il sistema dei poteri pubblici ad essere in movimento.
Con la legge 59/1997 è nata l’autonomia scolastica, ma poi sono arrivati i
decreti legislativi 112/98 e 233/98, il nuovo Titolo V della Costituzione (legge
cost. 3/2001), mentre è stata bocciata nel recente Referendum il testo di una
nuova Costituzione, con la c.d. devolution. Le “periferie” sembrano prendersi la
rivincita sul “centro”, anche in materia di istruzione. C’è di che preoccuparsi
per l’unitarietà del sistema scolastico nazionale.
Il riconoscimento “costituzionale” dell’autonomia della scuola può rappresentare
una garanzia di stabilità e di solidità del “sistema-scuola”: le sue prerogative
in materia culturale, didattica, organizzativa non potranno essere compresse dai
poteri “locali”; lo stesso Stato dovrà limitare i suoi interventi alle “norme
generali”, ai “livelli essenziali delle prestazioni”, ai principi generali. Ci
aspetta un dimagrimento “legislativo” dal centro, che non dovrà però essere
sostituito dalla “bulimia” delle assemblee legislative locali.
La scuola non può essere regolamentata troppo nei dettagli, ne soffrirebbero
l’incipiente autonomia e la sua stessa capacità di iniziativa. La scuola cambia
(si spera, in meglio) non perché ci sono leggi che impongono le riforme, ma
perché si creano condizioni favorevoli al cambiamento (motivazioni,
partecipazione, formazione, soddisfazione personale, incentivi). L’autonomia è,
dunque, un contesto organizzativo e professionale per “incubare” le innovazioni.
L’autonomia in questi anni è stata vissuta prevalentemente come un evento
“istituzionale”, un fatto di carattere giuridico e normativo, sollecitato e
voluto soprattutto dal mondo esterno (il mercato, il territorio, le istituzioni)
per mettere la scuola al passo con i tempi, modernizzarla. Insomma, quasi due
parti in commedia: da un lato una società in rapida trasformazione (veloce e
rock), dall’altro la scuola con i suoi tempi lunghi (quasi sull’orlo
dell’obsolescenza). Questa rappresentazione è ingannevole perché non tiene conto
che la scuola richiede tempi lunghi e disinteressati, il suo compito è quello di
formare identità, memoria, saperi persistenti
L’autonomia non può essere l’assunzione di un modello “aziendale” per
raggiungere l’efficienza delle procedure (spesso i bollini qualità si sono
limitati a questo), ma è innanzitutto un processo di natura culturale e
professionale, che riguarda la possibilità di svolgere un insegnamento “ben
fatto” e quindi socialmente apprezzato. Deve prevalere nei docenti una
dimensione etica, ovvero la capacità di assumersi responsabilità in prima
persona nel delineare i criteri “qualitativi” del proprio lavoro.
Ecco perché, prima ancora di pensare a modifiche nell’organizzazione didattica
(dei tempi, degli spazi, dei gruppi-classe) è indispensabile porsi domande
approfondite sul significato e sulle motivazioni pedagogiche che stanno alla
base delle scelte organizzative. Cos’è l’apprendimento? Come si facilita? Come
si interviene in caso di difficoltà? L’autonomia è dunque, prima di tutto,
riscoperta di un’autonomia di ricerca e di sviluppo, cioè la riconquista di uno
spazio aperto per una riflessione approfondita sulle caratteristiche dell’evento
insegnamento-apprendimento.
Tutto questo, in senso lato, potrebbe essere definito “modernizzazione della
cultura scolastica”, che non significa riduttivamente utilizzo di nuove
tecnologie, ma costruzione di “ambienti integrati di apprendimento” presidiati
da professionisti preparati e motivati. In qualche misura, questo tipo di scuola
richiede anche l’emergere di una leadership “distribuita”, cioè il
riconoscimento di un gruppo trainante in ogni istituto (che faccia staff con il
dirigente scolastico) che sappia però far crescere la partecipazione e la
professionalità di tutti (il senso di appartenenza alla scuola autonoma ed il
benessere dell’organizzazione).
L’autonomia delle scuole implica che lo Stato definisca gli obietti di
apprendimento, gli standard di funzionamento, le discipline fondamentali, gli
orari obbligatori di ogni ciclo scolastico e soprattutto quel “nucleo
essenziale” di conoscenze che rappresenta i livelli essenziali delle prestazioni
in materia di diritti civili e sociali che devono essere assicurati su base
nazionale. Il massimo dell’autonomia richiede la preventiva definizione di uno
“zoccolo comune” di conoscenze, competenze e regole di comportamento da
assicurare a tutti i cittadini: una base di equità, su cui innestare la ricerca
delle eccellenze (Documento Thelot, 2005).
In questo scenario, nei prossimi anni, si potrà consolidare l’autonomia solo se
non sarà interpretata come moltiplicazione di progetti di carattere integrativo
o facoltativo. Nella fase “pionieristica” ha spesso prevalso l’idea che si
potesse realizzare l’autonomia aggiungendo alcune attività al curricolo
(ampliamento ed arricchimento dell’offerta formativa), magari organizzando
percorsi innovativi, ma del tutto facoltativi.
Autonomia organizzativa e didattica non significa necessariamente incrementare
l’offerta di tipo aggiuntivo, ma piuttosto reinterrogarsi sul “core” curriculum,
sui compiti formativi della scuola, sulle competenze da raggiungere, sugli
obiettivi formativi che si intendono realizzare attraverso le discipline
scolastiche.
L’autonomia, in questa ottica, è la capacità di costruire una buona
ambientazione didattica per favorire l’incontro degli allievi con la conoscenza
ed i saperi, che rappresentano i materiali culturali necessari per promuovere
processi cognitivi, abilità, linguaggi. Ecco perché serve innanzi tutto
l’autonomia di ricerca, attorno alle discipline, ai curricoli, alle didattiche
(in sintesi “£al fare scuola”).
Scheda informativa: scuola primaria
Scritto da Giancarlo Cerini
lunedì 03 luglio 2006
Scheda informativa: scuola primaria
La domanda che ci dovremmo fare è: in che misura il decreto legislativo 59/2004
(sul primo ciclo) e le allegate transitorie Indicazioni nazionali (oltre che due
anni di sperimentazioni e il piano di formazione veicolato dall’Indire) abbiano
modificato l’impianto culturale ed organizzativo della scuola di base italiana.
Una sintesi superficiale dei diversi monitoraggi compiuti (MIUR, Invalsi, Irre,
USR, ecc.) ci fa dire che un terzo delle scuole italiane ha adottato il modello
ufficiale della riforma con lievi scostamenti (ma quasi come adempimento
dovuto), un terzo è entrata nei dispositivi giuridici con notevole autonomia
(funzione tutoriale condivisa, orari unitari, ecc.); un terzo ha fatto
resistenza “attiva” o “passiva” ignorando le indicazioni normative.
Sembra prevalere una situazione di disorientamento, di sfiducia, di “fai da te”,
ove prevalgono spinte localistiche e professionali (di diverso segno), piuttosto
che una riflessione condivisa sull’identità della scuola di base oggi, sul suo
stato di salute, sulle sue prospettive.
Ancor prima dovremmo chiederci se la scuola di base italiana (materna,
elementare, media) avesse bisogno di una ristrutturazione radicale (pensiamo
all’anticipo, alla figura del tutor, agli orari facoltativi) del suo assetto
pedagogico ed organizzativo. Detto in altri termini: qual è il giudizio che
diamo della scuola di base pre-riforma Moratti (cioè della scuola costruita
attraverso le riforme ed i programmi degli anni ’80) e quali sono i “nuovi”
problemi che la scuola di base dovrebbe affrontare?
Dobbiamo rileggere il concetto di alfabetizzazione di base (funzionale), aperta
al recupero degli alfabeti cognitivi e di quelli affettivi. Al centro può stare
la parole “apprendimento”, con il corredo di teorie cognitiviste e
costruttiviste, che implicano la attiva partecipazione del soggetto ai processi
di acquisizione della conoscenza. Oggi si dà una versione spesso idealizzata,
centrata sull’idea di “persona” e di “responsabilità” nell’apprendimento degli
allievi (v. il voto in condotta…). Affiora anche una critica latente alle teorie
costruttiviste considerate non affidabili e poco produttive.
L’idea di personalizzazione che emerge dai documenti elaborati nel corso degli
ultimi anni sembra avvallare un’idea rinunciataria del ruolo dell’istruzione
scolastica, che si limiterebbe a prendere atto di capacità, attitudini,
vocazioni e talenti degli allievi (termini che si leggono nelle Indicazioni del
2004) proponendo per ogni soggetto un diverso percorso, un diverso standard di
apprendimento, un diverso esito. La sfida della personalizzazione si vince
insieme in classe (con un curricolo per la classe), trasformandola in una vera e
propria “comunità di apprendimento”, attenta alle differenze, secondo una
tradizione pedagogica assai cara alla scuola elementare.
Si rischia di dimenticare che l’apprendere a scuola è un’impresa che implica
l’attiva collaborazione tra allievi e docenti (al plurale), condizioni adeguate
di organizzazione dei contesti educativi (pensiamo al ruolo non solo sussidiario
delle nuove tecnologie), una più forte sensibilità dei docenti in materia di
processi di apprendimento. In mancanza, i poteri forti della classe
(consuetudini, abitudini, routines, libri di testo) sono molto più vischiosi di
qualsiasi prescrizione di legge e si prenderanno una facile rivincita. Occorre
ripartire dalle effettive pratiche didattiche e non dalle procedure di
programmazione se si vuole fare una scuola che metta al centro del suo progetto
la parola apprendimento.
Punti di attenzione
Tempo scuola e tempo pieno
Il tempo scolastico si trova al centro di un delicato equilibrio tra domande
delle famiglie, aspettative della scuola, esigenze degli allievi. La sintesi non
può essere affidata alla sola domanda esterna (facoltativa) dei genitori,
occorre una regia educativa. In questa ottica il tempo dovrebbe essere
“unitario” (stesso tempo per tutti), con flessibilità interne (opzionali)
affidate semmai alle scelte degli allievi, non dei genitori. In un percorso
verticale, come quello possibile in un istituto comprensivo, le attività
opzionali dovrebbero emergere gradualmente come “segno” di una progressiva
capacità degli allievi di “appassionarsi” ad alcuni aspetti della loro
formazione e di sceglierli.
Il gruppo-classe però, per quasi tutta la durata del primo ciclo, dovrà rimanere
largamente unitario. In questo disegno coerente, già presente nella riforma del
1990, emerge la variante “tempo pieno” come opzione forte dei genitori (e della
scuola), come “icona” dell’innovazione. E’ un modello certamente da rispettare,
ma da “rileggere” nelle sue coordinate pedagogiche.
Team docente e funzioni tutoriali
La condivisione professionale all’interno di un’equipe sembra essere uno dei
frutti più stabili della riforma degli anni ’90, fortemente cementata dalle due
ore settimanali obbligatorie di progettazione (non a caso esistenti solo nella
scuola elementare). Il disagio verso la figura del tutor “unico” (imposto dal
decreto 59/04) nasce dalla percezione di un’offesa subita, anche se poi non sono
mancate soluzioni di comodo (come, ad esempio, la funzione di tutor affidata in
base alla graduatoria dei perdenti posto…).
Occorre comunque far evolvere i modelli organizzativi troppo frammentati (spesso
tipici del modulo), assicurando unitarietà, continuità, coerenza delle
soluzioni. La questione tutoriale, affidata all’autonomia delle scuole, potrebbe
agevolare la ricerca di funzioni di coordinamento interne al team, di tempi di
insegnamento più distesi, di relazioni non frettolose con gli allievi, con il
massimo della condivisione tra i docenti di ogni equipe e nel rispetto di valori
professionali fortemente vissuti.
Il porfolio
Occorre superare il portfolio inteso come strumento “amministrativo” di
valutazione degli allievi. Va perciò lasciato all’autonoma ricerca di ogni
scuola, come strategia di documentazione e riflessione partecipata degli allievi
sui loro processi di apprendimento, in un’ottica prettamente formativa e
didattica, con i genitori esclusi dalla sua “compilazione”. Potrebbe trattarsi
di uno strumento molto leggero, un incentivo alla “metacognizione”, senza
effetti predittivi o di “certificazione” del contesto sociale di appartenenza
degli allievi.
Così si risponde anche alle sollecitazioni del Garante della privacy. Poi
bisognerà riaprire il discorso della certificazione “pubblica” dei risultati
scolastici, dei criteri da utilizzare, del valore legale degli strumenti da
utilizzare, del rapporto con le molteplici forme di valutazione che sono
“piovute” sulla scuola. E’ necessario inaugurare una diversa stagione della
valutazione: più sobria, più formativa e meno intrusiva nella vita delle nostre
classi.
Scheda informativa: Gli istituti comprensivi
Scritto da Giancarlo Cerini
lunedì 03 luglio 2006
Scheda informativa: Gli istituti comprensivi
Gli istituti comprensivi (strutture organizzative che raggruppano in una unica
entità giuridica amministrativa i plessi di scuola dell’infanzia, elementare e
media di un territorio omogeneo) rappresentano circa il 45 % delle istituzioni
scolastiche di base del nostro paese (3.500 istituti comprensivi, diffusi in
tutte le regioni italiane, con alcune province interamente organizzate per
comprensivi: Trento, Pisa, Aosta, ecc.).
Si ipotizza (v. programma della coalizione di centro-sinistra) una diffusione
degli istituti. Diffusione può far pensare ad una progressiva generalizzazione,
piuttosto che ad una estensione del modello per tappe forzate entro un certo
periodo di tempo. La scelta della verticalizzazione, comunque, in base alla
normativa vigente, è una competenza esclusiva di Regioni, province e comuni (Dpr
233/1999).
L’istituto comprensivo non è solo una soluzione organizzativa, ma evoca un
progetto, un’ambizione pedagogica riassumibile nelle idee di scuola di base,
continuità educativa, curricolo verticale. La sua estensione dovrà essere il
frutto di una progettualità sostenuta da incentivi, piuttosto che una scelta
burocratico-gestionale.
Possiamo individuare tre generazioni nella storia degli istituti comprensivi,
nati nell’ambito della legge 97/1994 sulla tutela delle zone di montagna:
l’emergenza territoriale (la scuola per i piccoli territori, per le aree deboli,
per la montagna);
il progetto pedagogico (come scelta voluta dai docenti, in chiave sperimentale,
per un ripensamento del curricolo e della professionalità docente);
il dimensionamento per l’autonomia (come articolazione di scuole autonome di una
“certa” consistenza per favorire autonomia gestionale, didattica,
organizzativa).
La ripresa di un “movimento” per i comprensivi, una quarta stagione, dovrebbe
far tesoro delle prime tre stagioni, per cogliere il possibile valore aggiunto
dell’Istituto comprensivo, la sua anima progettuale.
Il comprensivo può salvaguardare le identità delle tre scuole che si alleano
(idea corretta di “discontinuità”), coordinandole in un progetto coerente. Il
progetto che accompagna ogni allievo è verticale, la professionalità si esplica
anche in reti orizzontali sul territorio omogenee per livelli scolastici
(emblematico è il caso della scuola materna, che non può isolarsi nel
comprensivo, ma deve “vivere” nella dimensione 0-6 di un’area territoriale.
Riassumiamo il valore aggiunto dell’istituto comprensivo:
scuola della comunità (una rete di scuole omogenee, in orizzontale e verticale,
rappresenta una risorsa per il territorio (città, vallata, quartiere, ecc.), una
elemento del suo capitale sociale, una risorsa per la sua coesione; occorre,
allora, che il dimensionamento sia “sensato”, sia per dimensione (non troppo
grande, non troppo piccola), sia per omogeneità e contiguità territoriale; lo
strumento necessario è l’accordo di programma (o il patto territoriale);
scuola del curricolo verticale: la scuola come ambiente di apprendimento, come
struttura che agevola la ricerca sui saperi disciplinari, sulle competenze
trasversali (life skill), sul valore formativo delle discipline. Lo strumento
necessario è il dipartimento disciplinare per gli insegnanti (in verticale);
scuola dell’autonomia ritrovata: l’istituto comprensivo può essere un contesto
organizzativo coerente, in cui vengono assunte decisioni comuni e coordinate in
materia di organizzazione (orari scolastici, tempi distesi, classi-laboratori,
formazione in servizio dei docenti, investimento di lunga durata sulla
partecipazione dei genitori). Lo strumento è il ripensamento delle opportunità
dell’autonomia (prendere sul serio l’autonomia).In sintesi, l’istituto
comprensivo è uno spazio professionale che invita i suoi “abitanti” a rimettersi
in discussione, ad assumersi responsabilità comuni sull’educazione di una
generazione di ragazzi.
Sul piano istituzionale (politico) fare “comprensivo” significa “fare comunità”;
l’istituto è un frutto della governance territoriale; deve prevalere il gusto
dell’autogoverno, dell’assunzione di responsabilità; ci deve essere uno stile,
un metodo di lavoro; percorsi fortemente condivisi, in un fitto dialogo con gli
operatori scolastici.
Dieci anni di esperienza ci dicono che molti nodi non sono stati affrontati con
adeguata attenzione e richiedono condizioni di quadro nazionale. Occorre evitare
che dell’istituto comprensivo resti un’immagine di sovraccarico amministrativo,
comunicativo, esistenziale, per gli operatori scolastici (un fattore di stress
soprattutto per i dirigenti).
Punti di attenzione:
superare la diversità di condizione giuridica del personale docente con scelte
contrattuali coerenti (ad esempio in materia di orari di servizio, di impegni
collaterali, ecc.);
contenere il sovraccarico amministrativo e gestionale della dirigenza e della
segreteria (unificando profili di atti amministrativi, potenziando il supporto
gestionale ecc.);
armonizzare il dimensionamento, equilibrandolo piuttosto verso la soglia minima
prevista (500 alunni), piuttosto che quella massima (900 alunni), per mettere in
evidenza la dimensione di convivialità inter-professionale dell’istituto;
mettere a disposizione uno stock di nuove presidenze per favorire processi di
equo dimensionamento e di generalizzazione; l’idea guida, comunque, non è il
numero, ma il “bacino ottimale” per la scuola di base di un territorio omogeneo;
avviare l’organico funzionale, a partire dal completamento delle cattedre in
verticale, valorizzando il concetto di prestito professionale;
sperimentare una diversa articolazione interna dei curricoli, attraverso il
modello dei bienni integrati, con ipotesi 4+4, come riscoperta del valore
formativo della secondarietà;
utilizzare lo strumento della legge 440 per finanziare l’autonomia di ricerca
delle scuole (ad es. il dipartimento disciplinare).