Come hanno fatto le Faer Oer e altre regioni
a statuto speciale, anche la Sicilia potrebbe stare meglio dicendo
addio all’Europa. Come? Lo spiega a BlogSicilia, Massimo Costa, docente
di Economia Aziendale presso l’Università degli Studi di Palermo.
Professor Costa, cos’è questa
nuova idea che ci propone? Non le sembra questa volta di esagerare con
il suo autonomismo?
So che con questa uscita mi farò molte, moltissime antipatie, nemici e
perdita di stima da parte di colleghi e amici e forse anche editori i
quali, credo, sinora mi hanno onorato del loro rispetto. So che non
sarò capito soprattutto oltre lo Stretto. Ma giunge anche un momento in cui uno
studioso ha il dovere di dire a chi studioso non è come crede che
stiano realmente le cose e quale sia la strada per uscirne.
http://oltrelostretto.blogsicilia.it/proposta-shock-via-la-sola-sicilia-dall%E2%80%99unione-europea/71290/
La mia idea è che non ha senso parlare di sopravvivenza economica (e
quindi anche sociale, culturale, demografica, etc.) della Sicilia
ovvero di “applicazione dello Statuto” dentro questa Europa. In questa
Europa sottolineo, dentro “questa” Europa, e non quella che poteva
avere in mente Altiero Spinelli o quella che ci hanno raccontato da
ragazzi, non è possibile alcuna autonomia regionale per la semplice
ragione che non è possibile neanche alcuna autonomia statale, né alcuna
democrazia. Il recente accordo sullo spossessamento delle potestà
fiscali e la loro messa sotto tutela delle istituzioni centrali europee
(e quindi, in buona sostanza, della BCE, e quindi ancora, in ultima
sostanza, delle spudorate oligarchie finanziarie che abbiamo ancora il
coraggio di chiamare “i mercati”) fa pendant con i due recenti colpi di
stato in Grecia e in Italia con i quali una casta inetta di politici ha
venduto il Paese, il “nostro” Paese, in cambio del mantenimento di
alcuni privilegi e di alcune rendite di posizione.
Ebbene in questo quadro io faccio una semplice catena di deduzioni
logiche che mi porta a dire che l’unica soluzione per la sopravvivenza
della Sicilia è soltanto la fuoriuscita unilaterale dall’Unione
Europea, magari dopo un plebiscito e magari dopo un negoziato, ma che
sia molto rapido e gestito con mano ferma e senza titubanze.
Da dove nasce questa catena
di deduzioni che dice Lei?
Non è pensabile che la Sicilia sopravviva senza che detenga una qualche
forma reale di autogoverno, poiché essa è un sistema economico
equivalente a quello di una qualunque media nazione europea. L’unico
possibile autogoverno che non metta in discussione l’unità politica
dell’Italia, e quindi l’unico praticabile senza spargimento di sangue,
è l’attuazione integrale e immediata dello Statuto del 1946. Ma lo
Statuto del 1946, dopo il Trattato di Lisbona, e ancor piú dopo il
recente accordo fiscale, non potrebbe che sopravvivere a brandelli, con
l’aggravante che le poche decisioni in cui gli stati continuano a
partecipare, sarebbero prese dall’Italia al posto nostro. In una parola
l’Europa oggi equivale all’azzeramento della nostra Autonomia e allora
bisogna scegliere: o schiavi in Europa o liberi in Sicilia e fuori
dall’Europa. Io consiglio vivamente la seconda opzione. Poi…
Ma, sa, a sentirla, con tutte
le titubanze che ci sono sullo Statuto, potrebbe venire anche di
gettare la spugna. Dicono che i Siciliani non sappiano autogovernarsi,
che vogliono privilegi oggi insostenibili, che comunque il dispositivo
di questo Statuto sia vecchio. Insomma, saremmo uno scandalo al sole e
lei difende l’idea dell’Autonomia sino al punto da volerla difenderla a
prezzo di un incredibile isolamento?
Ancora con questi luoghi comuni? Ma per favore! I Siciliani che non
sanno autogovernarsi sono quelli che hanno affidato per mezzo secolo ai
partiti italiani la loro regione pseudo-autonoma. Mi trovi una regione
autonoma in Europa, anzi nel mondo, che possa funzionare con gli stessi
partiti che stanno al centro. È quello il controsenso. Poi, è vero,
talvolta la lettera dello Statuto è “vecchiotta”, ma lo spirito, in
ogni sua parte, è chiarissimo ed attuale. Si tratta di adattare agli
istituti attuali un rapporto radicalmente confederale senza fare marcia
indietro su alcun punto di quell’impianto originale, che mantiene tutta
la propria validità. Ancora, non voglio proprio sentire parlare di
privilegi: con lo Statuto che l’Italia non ci ha fatto mai applicare,
non chiediamo piú niente a nessuno, tranne la perequazione
infrastrutturale. O anche questa è un privilegio? Ci si deve decidere:
o siamo italiani, e allora avere pari infrastrutture è un nostro
preciso diritto, o non lo siamo, e allora non solo di autonomia, ma di
indipendenza a questo punto si deve parlare. Quanto all’isolamento è
solo una leggenda metropolitana. Piú autonomi si è, piú ci
interfacciamo direttamente con il mondo esterno, meno sequestrati dal
mondo siamo.
Ma come funzionerebbe nel
concreto quel che propone?
Semplice, usciamo dall’Unione e da tutti i suoi obblighi, mantenendo a
termine la legislazione per evitare il caos. Niente piú direttive e
regolamenti che si applicano automaticamente, niente piú criteri di
convergenza e patti di stabilità, niente piú corridoi europei o
obblighi di fusione del nostro mercato nel grande mercato continentale
che ci vede per forza soccombenti: forse al limite si potrebbe pensare
anche ad una revoca dell’unione doganale e la creazione di una zona
franca di libero scambio al centro del Mediterraneo. In realtà, se c’è
buona volontà dalle altre parti, penserei ad un accordo simile a quello
della Norvegia, non a caso anch’essa produttrice di petrolio, cioè
dentro lo Spazio Economico Europeo e Schengen, ma fuori da tutto il
resto, Eurozona inclusa ovviamente. Anche se su questo punto il
discorso è un po’ complesso.
Ma è tecnicamente possibile?
Facciamo parte dell’Italia.
E sulle materie che spettano all’Italia, dalla grande politica estera
alle guerre, non metteremmo naso. Anche se lo Statuto – va ricordato –
persino su queste materie ci concede un diritto di proposta. Quindi,
tutt’al piú diciamo la nostra, ma lasciamo fare al Paese di cui
facciamo parte. Se l’Italia su queste materie, o su quelle comunque
statali, come i codici civile, procedurali e penale, vuole delegare in
tutto o in parte le proprie funzioni all’Europa, su quelle, solo su
quelle, seguiremo l’Europa anche noi, ma perché in essa vedremmo
l’equivalente dello Stato italiano. Su tutte le altre materie no,
decisamente no! Sulle competenze siciliane l’Italia non può, non
avrebbe mai potuto, delegare materie che non erano di sua competenza
alle istituzioni europee. Sulle materie a noi riservate dall’Autonomia
del 1946, decidiamo noi e basta!
E cosí non moriremmo di fame?
Solo se avessimo un’economia da esportazione di prodotti finiti
siciliani in Europa. Oggi abbiamo soltanto un’economia di rapina. Le
nostre risorse, in buona sostanza, sono degli altri, che le comprano a
quattro soldi. Domani dovrebbero pagarle. Non possono fare a meno delle
nostre risorse energetiche né della nostra posizione geografica. E
anche a beni culturali e ambientali, se li sfruttiamo bene, siamo messi
proprio bene. Siamo in una posizione di forza e di monopolio, ma
dobbiamo essere al di fuori del raggio d’azione della Commissione,
della BCE e di altri strozzini di professione.
Insomma propone le stesse
cose della Lega?
Ma io dico per davvero, non per acchiappare voti. Del resto per la
cosiddetta “Padania” va detto che non è cosí facilmente separabile
dall’Europa. Si tratta di due cose completamente diverse. E, con
l’occasione, mi lasci dire una cosa. Tutto questo va fatto per salvare
la democrazia e la libertà, anche quella di mercato, quella vera
intendo. Quello che mi preoccupa nella deriva di questi mesi è che gli
unici avversari dell’anarco-liberismo usurocrate imperante, travestito
da liberalismo, non siano veri liberali e democratici, ma, di volta in
volta, comunisti ortodossi, nazifascisti, nostalgici dell’antico
regime, fanatici religiosi, e altri poco credibili nemici della
modernità. E invece siamo noi gente comune che ci dobbiamo ribellare,
non solo in Sicilia, e pur sempre nel nome di quei valori che sono
scritti nella Costituzione repubblicana, vero monumento di civiltà
giuridica che stiamo archiviando un po’ troppo in fretta.
Chi ci guadagna in sostanza
da questa proposta in Sicilia?
In una battuta? Tutti quelli che oggi protestano piú fortemente, ma
anche i tanti infelici che non hanno piú nemmeno la forza di
protestare. Gli studenti che assaltano le banche sappiano che, con una
nostra banca pubblica e regionale, la moneta emessa sarà sociale e gli
istituti di credito con sede in Sicilia saranno assoggettati ad un
nuovo regime etico, piú vicino all’uomo e lontano dalla speculazione
globale. I produttori e i coltivatori oggi affamati dal brokeraggio
globale sappiano che i loro prodotti arriveranno nei supermercati
siciliani e saranno competitivi sul mercato esterno. Insomma, coltivare
i campi o fare impresa, diventerà finalmente conveniente. Gli
autotrasportatori pagherebbero finalmente meno il carburante, ma cosí
anche tutti noi. Con la defiscalizzazione che ci potremo permettere
attireremo investimenti e occupazione. Gli imprenditori pagheranno meno
tasse, gli studenti e i giovani troveranno lavoro in Sicilia, i
pensionati e i lavoratori dipendenti avranno una busta paga piú
pesante. Insomma ci guadagneremmo tutti, tranne gli speculatori esterni
e qualche potere forte nazionale.
Ma non è una proposta un po’
“separatista”? Non potrebbe proporre, come fanno in tanti oggi, più
semplicemente l’uscita dell’Italia intera dall’Eurozona o addirittura
dall’Unione Europea?
In tanti? Veramente mi sembra che, a parte alcune voci eccentriche,
l’attuale governo, direttamente nominato dall’Europa, cioè dai soliti
“mercati”, abbia al più qualche fronda ma pochi veri dissensi. Veda,
l’Italia non è solo “troppo grande per fallire”, è anche “troppo grande
per uscire” dall’Europa. La sua uscita sarebbe un cataclisma al quale
né l’Europa, né l’Euro sopravviverebbero, e con queste, con ogni
probabilità nemmeno il mondo occidentale come lo abbiamo conosciuto
sinora. Per la Sicilia, invece, è molto diverso: si tratta di una
regione transfrontaliera e insulare, una marca di confine che può e
deve ritagliarsi condizioni particolari se è nel proprio interesse,
senza che questo traumatizzi l’economia mondiale. Diversamente, se
siamo cosí importanti e centrali, allora facciamola valere questa
centralità una volta per tutte nei tavoli che contano, anziché essere
dileggiati e umiliati un giorno sì e l’altro pure.
Potrebbe comunque restare un
po’ odioso agli altri italiani il fatto che i Siciliani tentino una via
di fuga da soli…
Non credo le cose stiano così. Se la Sicilia esce dall’Unione Europea
va incontro ad un vero e proprio boom economico che presto dovremmo
decidere addirittura di raffreddare. Questo contagerebbe immediatamente
il vicino Sud Italia, con la definitiva sconfitta della sempiterna
Questione Meridionale. Per l’Italia tutta sarebbero maggiori redditi
tributari, sia per quei pochi che dalla Sicilia prendono la via del
Continente, sia per quelli prodotti nel Sud, senza parlare della
vicinanza di un nuovo mercato in espansione. Una vera frustata di
salute all’economia del Paese. Tutto ciò le sembra poco? Certo, se la
sudditanza semicoloniale del Sud, o il dualismo strutturale
dell’Italia, devono essere assunti come dogmi, allora il tutto può
sembrare eversivo. Ma di eversivo oggi vedo la continua discriminazione
dei Siciliani che, da 150 anni, sono cittadini di serie C, persino
dietro quelli di serie B del Centro-Sud.
In ogni caso non resta
improponibile che una semplice Regione possa uscire dall’Unione?
Guardi che non saremmo la prima. Già la Danimarca, che conta due
regioni a statuto speciale, lí si chiamano “Contee”, le ha viste uscire
entrambe, una dopo l’altra, dall’Unione. La Groenlandia, che è rimasta
“PTOM”, cioè appartenente ai “paesi e territori d’oltremare”, associati
all’Europa con un regime di scambi “post-coloniale”, o forse dovrebbe
dirsi “neocoloniale”, piú o meno come le ex-colonie europee, oggi
chiamate ACP (paesi dell’Africa, Caraibi e Pacifico). Ma anche le Faer
Oer, che sono uscite del tutto e senza tanti complimenti. Ci sono le
Isole del Canale e l’Isola di Man, formalmente piccole corone in unione
personale con il Regno Unito, di fatto sue piccole regioni a statuto
speciale, che nell’Europa non sono mai entrate, come Gibilterra, del
resto. E si potrebbe continuare: ci sono le regioni “ultraperiferiche”,
che stanno dentro ma solo a metà, come le Canarie ad esempio, che sono
fuori dalla linea doganale europea; poi ci sono eccezioni fiscali di
ogni sorta, per regioni insulari come la Corsica, o di montagna come il
Galles, o transfrontaliere o artiche. A quanto pare l’unica regione
derelitta per cui non è possibile alcuna deroga in modo assoluto sembra
essere proprio la Sicilia.
Vuole dire che in questa
Europa la legge “non è uguale per tutti”?
Certo che no. Quando, tempo addietro, la Sicilia tentò di usare
l’autonomia fiscale scritta nel suo Statuto, che è legge
costituzionale, il Commissario Mario Monti bloccò ogni iniziativa in
tal senso, bollandola come “aiuto di stato”. Ora che simili potestà
sono accordate a regioni come la Navarra o la Catalogna o la Scozia,
ovviamente non parla nessuno. Tutti i cittadini europei saranno eguali
davanti alla legge, ma di certo i Siciliani lo sono meno degli altri.
E con la moneta come la
mettiamo?
Beh, tanto per cominciare la Sicilia potrebbe accontentarsi di emettere
una moneta complementare regionale, che però abbia valore legale
all’interno del suo territorio, in doppia circolazione con l’euro.
Questa moneta, emessa da una Banca Centrale Regionale in totali mani
pubbliche, ed emessa totalmente a beneficio del Governo siciliano,
emanciperebbe da sola la Sicilia dallo strozzinaggio europeo. Per
liberarci del tutto dell’Euro, invece, o del “pizzo” del Dollaro per
gli scambi internazionali, i tempi non mi sembrano maturi. La Sicilia
oggi è ancora debole, e forse deve accettare i compromessi di una
sovranità limitata. Nondimeno l’Italia ha il dovere restituire alla
Sicilia le riserve auree confiscate al Banco di Sicilia nel 1926 e da
quelle si deve ripartire per costituire delle riserve auree e valutarie
autonome, con le quali cominciare a giocare la nostra piccola partita,
di stato regionale autonomo, peraltro come già previsto dallo Statuto
del 1946, che voleva proprio che la Sicilia gestisse in autonomia le
proprie riserve.
Ma cosí perdiamo i fondi FAS
e in genere tutte le misure strutturali dell’Europa.
Che in tanti anni hanno creato solo assistenzialismo e mai vere
infrastrutture allo sviluppo. Del resto l’intermediazione italiana su
questi fondi si è rivelata cosí pesante da renderli del tutto vani.
Credo però che sarà interesse dell’Europa, almeno in parte, negoziare
con noi alcuni aiuti di carattere infrastrutturale sotto forma di
cooperazione allo sviluppo, esattamente come si fa con i paesi
decolonizzati. Con la differenza che ancora noi ci dobbiamo
decolonizzare. È del tutto inutile fingere di essere in Assia, quando
siamo praticamente nel Maghreb; rischiamo di restare sospesi con il
peggio di entrambe le condizioni: quella di essere e quella di non
essere in Europa.
Insomma una Sicilia italiana
ma non piú europea. Pensa che i Siciliani sarebbero d’accordo?
Italiana, nel senso di regione veramente autonoma, e non solo sulla
carta o per i privilegi dei deputati dell’ARS, sì. E non piú europea,
proprio così, almeno nel senso della sudditanza all’Unione. Vorrà dire
che come gli inglesi diremo che “Il Continente è isolato”. Ma, quanto
al consenso dei siciliani, se ci facciamo un giro per i mercati o i bar
a chiedere che cosa ne pensano dell’Euro, e dell’attuale governo, credo
che questa uscita sarebbe acclamata a furor di popolo. Poi, ad ogni
modo, ho detto che ci vuole un referendum, anzi un plebiscito. Chi ha
paura di ricorrere al voto popolare per sapere cosa pensano i siciliani?
Quindi via dall’Europa, senza
rimpianti?
Senza neanche pensarci due volte, questa Europa per noi è come
appartenere ad un club che ci impone un tenore di vita insostenibile.
Si ricordi che un anno di accise petrolifere date alla Sicilia azzera
il debito della Regione e due anche quello degli enti locali e andiamo
in tripla A, davanti agli USA.
E delle bandiere europee che
sventolano dappertutto che ne facciamo?
Non me lo faccia dire esplicitamente, credo di rischiare qualche reato.
E il Presidente della
Repubblica? E quello del Consiglio? Ci rimarrebbero male.
Se ne faranno una ragione. Ricordi il Presidente che ad accoglierlo in
Sicilia ci sono state solo bandiere siciliane e che ancora non ha
risposto ad un pubblico appello di cittadini che gli chiedevano com’era
andata a finire con l’applicazione dello Statuto.
Un’ultima osservazione. E se
per colpa nostra l’Italia andasse in default e con essa cadesse
l’Europa intera?
Ma che dice? Che l’Europa sta in piedi per miracolo e che se togliamo
la pietruzza della Sicilia da sotto crolla tutto? Suvvia. Non ci
sopravvalutiamo. Comunque, se cosí fosse, vorrebbe dire che stanno
vivendo alle nostre spalle. Ci faremo una ragione anche di questo
evento. Il sole l’indomani sorgerà, e forse sarà ancora piú radioso,
rispetto a questo euroincubo.
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