Il governo continua
a tagliare sull’istruzione e questa volta, sotto la scure del ministro
Gelmini finiscono i corsi serali delle scuole secondarie superiori.
Dall’anno scolastico 2011/2012 infatti le prime, le seconde, le terze e
alcune quarte verranno abolite lasciando così progressivamente morire
uno dei diritti sociali, quello allo studio, garantito dall’articolo 34
della nostra Costituzione. Un provvedimento lasciato
ambiguamente alla discrezione dei singoli uffici scolastici regionali,
che possono, a seconda delle risorse, decidere di chiedere o meno
l’eliminazione delle classi.
Al momento, a farne le spese sono proprio quelle regioni dove i corsi
serali hanno svolto nel passato e tuttora svolgono una funzione sociale
significativa soprattutto per l’integrazione degli stranieri
extracomunitari. Puglia e Sardegna in primis, ma anche Campania,
Marche, Liguria, Emilia Romagna si sono adeguate alle indicazioni
ministeriali, ma la sensazione è che presto molte altre regioni si
aggiungeranno.
La questione impone una riflessione o una postilla con tanto di
supposta per tutti quelli che credevano che avere giovani donne al
governo fosse un grandioso passo avanti per tutti.
La chiave però ancora una volta, entra ma non gira e partire per le
vacanze è dura se non sei una sottiletta pronta a gratinarsi al sole di
qualche isolotto estero.
Con Gelmini e company l’Italia invece, è pronta per la prova costume.
Perché i signori della politica hanno capito che rottamare è la via del
progresso o regresso di masse umane disponibili a ricevere la solita
iniezione d’infantile ottimismo.
Ma sarà davvero così?
Riflettiamo insieme.
Rottamare è il verbo del momento. Rottamano tutti e di tutto. Rottamare
è una necessità dell’animo umano e nella lingua italiana non vi è verbo
equivalente.
Altri verbi come gettare, buttare, eliminare e scartare.
Rottamare invece è un inno alla gioia. Chi butta, butta e trova subito
dietro l’angolo il pollo che spende l’impossibile dando un valore al
tuo ciarpame.
La rottamazione è l’unico antidoto che questo Governo è riuscito a
trovare al casotto combinato dai propri impomatati predecessori.
Attenzione però chi rottama però non lo fa quasi mai per risparmiare: è
solo in cerca d’attenuanti.
Non tutto si può rottamare però (i vostri fidanzati care amiche
lettrici, ad esempio ve li dovete tenere). Molte presenze domestiche
possono ricevere lo stesso trattamento riservato oggi alle automobili e
anche la scuola serale è finita nel tritacarne Gelmini.
Il XX secolo è stato il secolo della velocità. Una velocità che oggi
rischia di trasformarci in vittime consapevoli di una mossa che con un
colpo di spugna mina alle fondamenta un processo di miglioramento delle
condizioni generali del percorso educativo che negli anni si è
giustamente arricchito di linguaggi nuovi e avvincenti.
Un sogno quello delle scuole nato negli anni Settanta, dalla mente di
pionieri della cultura che oggi rischia seriamente di sparire. O
quantomeno di opacizzarsi schiuso come sarà solo a chi maneggia con
disinvoltura il vil denaro.
Ebbene non so se questo pezzo potrà cambiare le cose. Non lo so davvero.
I segnali scaturiti in questi giorni non sono stati incoraggianti.
È così un po’ per prepararmi bene per scrivere questo pezzo, un po’ per
ricordare a me stesso e alla mia coscienza ciò che l’ Italia sta
perdendo. un giorno sono andato lì dove tutto nasce; lì dove nasce quel
sacro fuoco della conoscenza che anima milioni di Fernando, e che a
distanza di anni lo ha portato qui in quest’aula a parlarmii di un
sogno in pericolo.
Un sogno democratico che una manovra subdola, dispotica e irrispettosa
della nostra identità ed eredità culturale e civile ci vuole supine e
indifferenti vittime.
Ebbene ragazzi: sono andato nell’aula di un istituto tecnico calabrese
con il mio amico Fernando che ora lavora a Bologna in un importante
laboratorio informatico ma che nel 2000 frequentò l’istiituto tecnico
di sera in quelle aule.
Era da qualche tempo che non c’entrava. L’anno scorso è stato in altre
faccende affaccendato.
Con sollievo ci siamo resi conto reso conto che le cose non sono
cambiate. I professori ci sono, gli spiriti pronti e il desiderio di
sapere nei studenti lavoratori si combina con la loro vivacità gioiosa.
Non preoccupatevi ragazzi: non è peccato. Mi sono messo a guardarli.
Ragazzi atletici, ragazze avvenenti, capelli lunghi, ombelichi allegri.
Telefonini e scooter accesi. Automobili posteggiate in luoghi sicuri.
Zaini colorati e pesanti ed un pensiero: gli studenti lavoratori
sembrano gnomi condannati ai lavori forzati.
Ed ecco i professori.
Si trascinano a fatica da un’aula all’altra. Tra questi ce ne sono
d’eroici e furbi, geniali e pigri, appassionati e inadeguati.
Sono pagati poco? Molto? Difficile saperlo.
Comunque sia per i pigri è troppo e per gli eroi è troppo poco.
Non sono mai stato bravo in matematica. In compenso però so molte cose.
I vari ministeri non ci aiutano. La scuola serale è nata nel 1973, e
del periodo conserva la navigata bellezza.
Entrando si vedono documenti appesi alle pareti tutti uguali.
Apparentemente. Molti sono intrisi di passato. Riunioni avvenute,
convegni svolti, viaggi fatti, iscrizioni scadute: v’è una speciale
vocazione al ricordo nelle scartoffie universitarie. La parete della
stanza di un docente è un corso accelerato di malinconia stringente. I
corridoi d’una scuola serale sono una proiezione burocratica: solo la
presenza degli studenti contribuisce a ravvivarla, scarabocchiandola.
Ora mi chiedo e vi chiedo: sarà ancora possibile tutto ciò in una
scuola che sconfessa il principio democratico incoraggiando
l’elitarismo? Si può uccidere la creatività? Ogni organo di formazione
(scuola e/ o università che sia), è il laboratorio e il teatro e il
banco di prova d’alcune caratteristiche nazionali: la ripetitività, la
tradizione, la consuetudine, la diffidenza, la comicità involontaria,
il privilegio, la pigrizia, la stranezza… la scuola serale, ormai vi
sarà chiaro, e il posto dove il vecchio e il nuovo s’incontrano, come
due vecchi amici e raccontano storie insolite.
La scuola serale italiana è migliorata molto in questi ultimi anni. Ma
molto meno di quanto sarebbe stato necessario. E il riassunto perfetto
di quel che siamo. Brillanti, imperfetti con punte straordinarie
d’eccellenza e picchi illimitati d’insufficienza. Ma ha ottenuto un
risultato: ha tenuto insieme una nazione. Impresa non facile a ben
guardare di questi tempi.
I riti scolastici son sempre quelli. L’arredamento pure.
Le cattedre basse, icone malandate di un’autorità alla ricerca di una
più salda identità sono le stesse. Le sedie continuano a scheggiarsi
sempre e allo stesso modo di una volta. I cancellini pulendo sporcano
riflessi di un gesso che non c’è mai. Gli attaccapanni sono sempre
pieni di ganci per i cappotti. Ma non si sa perché i ragazzi continuano
a indossarli lo stesso.
Cosicché tutti si chiedono cosa ci faccia lì. Tra i riti scolastici il
più memorabile resta l’esame. Vi sembrerà strano: ma se questa riforma
passerà quasi sicuramente non potrò continuare a studiare e il momento
dell’esame li mancherà. La nostalgia che ne avranno sarà corrispondente
alle contestazioni di questi giorni: Grande. Il suo Fernando l’ha fatto
nel luglio africano di dieci anni fa.
Fu sbalordito di ritrovarlo dentro i romanzi di Fogazzaro e nei versi
d’Ungaretti. Ha ancora il ricordo della timidezza e l’incoscienza di
quel momento e la sensazione d’ aver svoltato. D’incontrare un sogno.
Questi ricordi fanno parte del Dna d’ognuno di noi trasmissibili da
padre a figlio, tra un ragazzo di Poggio Versezio e uno di Bolzano. Per
questo sono preziosi. Le nazioni sono come gli animali non sono tutte
uguali: hanno un carattere proprio e si comportano come vogliono loro.
Questa riforma non ci appartiene. Non siamo inglesi troppe incertezze e
imperfezioni come dicevo poc’anzi. Non siamo americani non sappiamo
godercela e il nostro 2 giugno non ha nulla a che vedere con il loro 4
luglio. Non siamo neppure francesi: troppo onesti per lasciarci andare
nella celebrazione di noi stessi. Il nostro è uno sciovinismo da
dilettanti. Un patriottismo a piccole dosi che nasce nelle aule di
un’università come questa, scorre sui banchi color acquamarina, sguscia
tra le pagine madide di sudore dei nostri libri, scorre sui registri
asettici dei nostri docenti e sfocia in una festa travestita da
tortura: il diploma. Da lì in poi, immagino, si viva di rendita e di
ricordi. Conosco ragazzi che si erano iscritti ad ottime scuole private
ma dopo un po’ si sono trasferiti in un buon liceo classico o
scientifico e in un discreto istituto superiore. Bravi. Hanno intuito
che lì ci si diverte di più e ci s’impasta con la strana colla che
nonostante tutto ci tiene uniti. Il governo che (e questo sembra andare
in questa direzione), rinunciasse all’istruzione pubblica perderebbe
più di un modello scolastico. Rinuncerebbe all’ultimo terreno neutro di
formazione nazionale esistente e sarebbe un guaio.
Tra qualche settimana inizierà un nuovo anno scolastico.
Il figlio di un contadino corteggia la figlia di un avvocato e la
ragazza di un direttore d’azienda saluta il figlio di un bracciante
agricolo. Questo non è un rigurgito di strenuo socialismo. Questa è una
conquista sociale, e possiamo andarne fieri. Questo è un sogno. Non
svegliateci. Difendiamolo.
Oppure trovatevi un’ampia soffitta. E qualcuno sufficientemente
coraggioso dal perlustrarla.
Ci vuole un sacco di fegato per guardare al futuro.
Ancora di più per rimpiangerlo.
Fernando e i tanti studenti - lavoratori come lui presenti in Calabria
hanno già cominciato.
Qualcuno fermi la macchina tritacarne.
A me le polpette non piacciono.
Figuriamoci quelle ministeriali poi........
Gaetano Santandrea
(da www.controcampus.it)
redazione@aetnanet.org