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Riforma: Intervista all’on.Garavaglia, Ministro “ombra” dell’Istruzione del PD

Rassegna stampa
Onorevole Garavaglia, dalla 7^ Commissione permanente del Senato (Istruzione, Ricerca, Università, Cultura, Sport) come appare l’attività riformatrice del Ministro Gelmini ?
Appare molto meno frenetica di quanto siano le dichiarazioni che ne hanno accompagnato la nomina. Il Ministro s’è distinto per i tanti annunci: il grembiulino, il voto in condotta. Di fatto la riforma ha cancellato nel triennio 85.000 insegnanti e 44.000 amministrativi, ha tagliato 8 miliardi di finanziamento alla scuola e un miliardo e mezzo all’università. Ricordo una sua intervista in un avvilente “Porta a porta”: Ministro, è vero che lei licenzia 25.000 insegnanti? Risposta: No, noi non licenziamo nessuno. I cittadini devono sapere che quest’anno ci sono 25.000 docenti in meno nelle nostre scuole.
Sia cortese ci commenti due proposte come le “scuole col bollino” o l’albo regionale degli insegnanti
La scuola col bollino è l’ennesimo spot pubblicitario di questo governo perché i bollini può prenderli l’Italia intera se è capace di confrontarsi coi Paesi di pari qualità e civismo, in Europa e fuori. Se noi preparassimo meglio i docenti non solo con la laurea ma con tirocini mirati ai metodi didattici eviteremmo di far salire in cattedra chi non sa insegnare e non dovremmo distribuire bollini di qualità. Per gli albi regionali nulla osta se non ci fosse dietro una scelta che se è ideologica bisogna avere il coraggio di dichiararlo. Comunque se il problema è garantire una continuità didattica siamo d’accordo, non è concepibile che un insegnante pensi di poter fare questo mestiere solo dietro casa. Come accade per altri statali l’incarico si ricopre per almeno cinque anni nella sede di destinazione.
Fra i soggetti della scuola molti studenti, docenti e dirigenti non considerano strategiche tali trasformazioni lamentano invece una mancanza di risorse per i tagli economici operati che incidono a fondo sulla didattica
Il Ministro insiste nel dire che i fondi non creano qualità e che si può fare una riforma che migliora la qualità, un’affermazione finora non suffragata da prove. Prendiamo la questione della lingua straniera alle primarie. Se essa viene proposta dal maestro unico che ha fatto un corso di 150 ore invece che da una professoressa di lingue mi chiedo se abbiamo fatto il possibile per insegnare nel miglior modo le lingue. Altro esempio: alle superiori viene abolita l’ora di geografia mentre il mondo diventa sempre più luogo geopolitico. Come si può tralasciare l’informazione su Stati sempre più presenti nelle vicende internazionali, su nazioni e capitali che cambiano nome e la cui economia è legata alla nostra ? Più scandagliamo la riforma più ci accorgiamo che non è solo un problema di tagli, scopriamo il preciso disegno di declassare la scuola pubblica a scuola residuale. Lì i genitori devono pagare per avere la carta igienica, i sussidi didattici, gli strumenti minimi che finora lo Stato garantiva. Un vero attacco ideologico, altro che bollino.
L’ultima Finanziaria ha dirottato 130 milioni di euro sulle scuole private mentre i 300 milioni di euro destinati agli istituti statali verranno utilizzati esclusivamente per la messa in sicurezza degli edifici. Di questo passo la scuola pubblica rischia l’affossamento funzionale ?
Dopo il terremoto aquilano il Ministro aveva colto l’allarme e ciò aveva fatto aggiungere alla Finanziaria una quota mirata alla messa in sicurezza degli edifici scolastici. Secondo dati forniti dal sottosegretario Bertolaso la cifra necessaria ammontava a 7 miliardi di euro, sono stati stanziati non più di 300 milioni, facendo una facile divisione capiamo quanti euro andranno a ogni istituto. La scuola pubblica è sotto schiaffo della Finanziaria Tremonti-Gelmini, la definisco così perché solitamente il responsabile di ogni dicastero lotta col Ministro dell’Economia per strappare qualcosa in più invece la Gelmini l’ha accettata a occhi chiusi. La Finanziaria ha solo tolto alla scuola italiana, gli stessi 130 milioni che lei cita per gli istituti privati sono stati annunciati e non elargiti.
Il Ministro invita a premiare la meritocrazia dei professori, una garanzia verso la qualità dell’istruzione che da troppo tempo manca. Lei che ne pensa ?
Su questo punto come opposizione abbiamo espresso un parere del tutto favorevole. Il Ministero avrebbe anche dovuto cominciare a stabilire la meritocrazia dando da quest’anno qualche soldo in busta paga in più. Con quali criteri ? attraverso classifiche valutative. Però l’Invalsi, l’agenzia preposta, non è stata messa in condizione di funzionare. Il Ministero ha distribuito il 7% di finanziamento ordinario alle università cosiddette virtuose usando il criterio del Civr di tre anni fa, ma in questi ultimi tre anni gli atenei beneficiati potrebbero non essere più così virtuosi. Quando l’Invalsi per la scuola e l’Anvur per università e ricerca potranno elaboreranno le graduatorie allora si potrà giudicare il governo dai fatti, di cui sempre si vanta, piuttosto che dalle sue parole.
La riforma universitaria di cui s’occuperà il Parlamento punta a un riassetto facendo i conti in tasca ai rettori e magari accorpando le sedi, un utile moto di razionalizzazione o no ?
Ci sono troppi corsi di laurea fatti per offrire cattedre e troppe sedi distaccate create a misura di territorio che fanno solo lievitare le spese, razionalizzare il tutto ci trova d’accordo. Se però guardiamo la riforma basata su 171 norme e una decina di deleghe troviamo spesso la fastidiosa ripetizione del concetto “senza oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica”. Non solo il Ministro preposto ma quello dell’Economia mettono mano a una serie di criteri che influenzano la cosiddetta governance. Un’università libera non risponde a scopi mercantili e territoriali come il modello proposto. La riforma mostra un volto centralista che non garantisce quell’autonomia sancita dalla Costituzione.
Ma valutazioni e verifiche sull’effettivo impegno nella docenza dovrebbero essere segnali di serietà, come pure l’attribuzione delle cattedre in base a procedure pubbliche di selezione
Lo sosteniamo anche noi: il controllo sull’assegnazione delle cattedre deve risultare limpido e andare a un’agenzia terza. Come opposizione riteniamo che il reclutamento dev’essere basato su un’abilitazione nazionale, occorre creare un elenco di docenti e in base a quello ciascuna università chiama chi vuole. Bisogna anche uscire dalla logica che vede i professori ancorati a un unico ateneo da dove iniziano la carriera fino al conseguimento della cattedra, è auspicabile la circolazione degli insegnanti e una quota di docenze potrebbe essere messa in relazione ai risultati conseguiti, allora sì che l’università diverrebbe dinamica controllandosi da sé.
Lamenti vengono dal settore della ricerca dove c’è chi teme il previsto “tempo determinato” di tre anni più tre che, sempre per questione di fondi, mette a rischio la continuità dell’incarico
Ai ricercatori viene offerto precariato cronico. Dopo sei anni di contratto potranno accedere a un concorso per la cattedra, ma se non ce ne saranno a disposizione rimarranno precari. Chiediamo che il governo realizzi una norma transitoria e una stabilizzazione dei ricercatori che vogliono restare nell’università previa abilitazione.
Dalle elementari all’università l’Italia punta davvero sull’istruzione e reggerà il confronto con la prevista migrazione dei cervelli che vengono da Oriente ?
Il problema non è solo nostro, è quantomeno europeo. Eppure dove le condizioni ci sono i nostri cervelli sanno competere benissimo con indiani, pakistani e quant’altro. Come opposizione crediamo che con queste riforme, coi tagli alla ricerca l’Italia non stia rispondendo più nemmeno a quanto previsto dal Trattato di Lisbona: costruire la società della conoscenza più competitiva al mondo.
Enrico Campofreda, 13 maggio 2010

Publié le 13 mai, 2010 à 9:52 par admin









Postato il Venerdì, 14 maggio 2010 ore 13:00:00 CEST di Pasquale Almirante
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