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Progetti PON: Zago (Democratici di Sinistra): «Lottare insieme per il Ponte» «Facciamo un comitato di quanti a sinistra credono nell'opera.

Recensioni
Se si pongono a raffronto le dichiarazioni del viceministro siciliano Capodicasa nettamente contrario al Ponte e le affermazioni di Zago si vedrà quanto sia stridente il contrasto. Un fatto è ormai chiaro: il No al Ponte è un ricatto politico dell'ala sinistra (Rifondazione, Verdi e partito dei comunisti italiani) al governo Prodi. Se vi arrischiate a fare il Ponte facciamo cadere il governo. Una pregiudiziale ideologica che ha costretto la maggioranza a scippare la dotazione finanziaria della società «Stretto di Messina» e a rinviare sine die la realizzazione del progetto. Quando si dice che il Ponte «non è una priorità» significa che questo governo non vuole farlo. O meglio: non può farlo perché rischia la crisi. La stessa cosa che ci fece capire il presidente calabrese Loiero: «Il Ponte? Ma lei vuole che io mi dimetta?».

Ora un ds raziocinante come Zago attacca la linea del governo e le arroganze dei partitini che impediscono la realizzazione del Ponte. Ci auguriamo che anche gli altri esponenti siciliani della maggioranza abbiano lo stesso coraggio di schierarsi a favore di una infrastruttura fondamentale per lo sviluppo della Sicilia. Il Ponte non ha partito, anzi ne ha uno soltanto: quello degli uomini di buona volontà.
Dunque il Ponte di Messina sarebbe una storia chiusa? E per quali profonde ragioni dal momento che, ad oggi, non sono state addotte motivazioni serie e convincenti? La favola della "non urgenza" non incanta più di tanto e, paradossalmente, non costituisce una rimozione definitiva dell'opera, anche se si fa strada il timore che, per adesso, non se ne farà nulla.

Allora io mi domando: possiamo da uomini della sinistra e da siciliani accettare senza battere ciglio questa decisione surrettizia che maschera, dietro criteri di opportunità finanziarie, una scelta antimeridionale e antisiciliana? Adopero termini così forti perché, mentre si gigioneggia sul Ponte, nulla si dice sulle dimensioni finanziarie di trafori alpini dai costi stratosferici, di varianti di valico, del Mose di Venezia, dell'alta velocità che viene deviata su Bari anziché proseguita su Palermo - il famoso corridoio uno Berlino-Palermo.

Si argomenta che sono infrastrutture necessarie allo sviluppo del Paese per collegare l'Italia all'Europa. Giusto. Nessuno di noi fa osservazioni, ma noi, la Sicilia, che siamo? Non dobbiamo essere collegati con le altre regioni d'Italia e d'Europa? Perché solo il Ponte diventa "non prioritario" per lo sviluppo del Paese?

C'è in questa vicenda il segno di un logoramento profondo dell'identità nazionale e di una intera classe dirigente che non riesce ancora a parlare al Paese di un progetto comune e condiviso. Per chi come me milita nella sinistra questo è fuori da ogni logica e merita una battaglia politica a cui chiamare quanti più sostenitori possibile facendo uscire dal torpore o dal silenzio opportunistico quanti, per ruolo e per funzione, dovrebbero invece fare sentire alta la voce della Sicilia del lavoro e della produzione.

Non ritengo ammissibile che il Ponte diventi bandiera di un movimento, il MPA di Lombardo, che è sempre stato parte integrante e importante della classe dirigente regionale e nazionale e proprio per questo non ha meno responsabilità di altri, e i cui collegamenti con la Lega di Bossi sono quanto di più contraddittorio ci sia stato dato di vedere, - come il recente voto al Senato, proprio sul Ponte, evidenzia, ammesso che ce ne fosse stato bisogno - proprio perché la Lega è stata l'attore principale di quella politica antimeridionale che, durante il governo Berlusconi-Tremonti ha drenato risorse incredibili a vantaggio esclusivo del nord, squilibrando in tutti i sensi lo sviluppo del Paese.

E allora bisogna farla questa battaglia per il Ponte. Fare il Ponte è una scelta per dare una delle tante risposte che necessitano per lo sviluppo e la crescita della Sicilia e del Mezzogiorno. E per questo è una scelta di sinistra. E se no, perché il governo Amato la compì, quella scelta e ce ne vantammo a livello nazionale e regionale, da Prodi a Rutelli, da Anna Finocchiaro a Enzo Bianco e altri, come è facile riscontrare andando a guardare la rassegna stampa della primavera del 2001? Fare la battaglia per il Ponte, tuttavia, non significa chiudere gli occhi su aspetti che dovessero risultare poco chiari o suscitare perplessità. Dobbiamo parlare seriamente ai Siciliani e altrettanto seriamente al Paese, per non dire della comunità internazionale. E' possibile, è necessario andare avanti, lavorando con determinazione per rendere certa e irreversibile la compatibilità tecnica, ambientale, economica. Per fare questo serve onestà e chiarezza, e serve credere nella utilità del Ponte e, soprattutto, volerlo.

Non è un problema di quanti minuti si risparmiano per andare da Messina a Reggio - che comunque non sono pochi, come potrebbero costatare molti di quelli che lo sostengono solo se lo attraversassero in macchina o in autotreno anziché sorvolarlo in aereo -, il punto è la fluidità del percorso, la garanzia di eliminare strozzature e interruzioni nel traffico ferroviario e nel gommato, dando certezze di percorrenza e di costi per la merce in partenza dalla Sicilia per il resto del Paese. Non ho difficoltà a riconoscere che sulle lunghe o lunghissime percorrenze verosimilmente sono più interessanti le autostrade del mare, ma il tema è rendere possibile collegare il Mezzogiorno per integrarlo con la Sicilia e farne una macroregione capace di svolgere un ruolo nel mercato nazionale e in quello mediterraneo. Per la qual cosa non si può non partire dalla sua infrastrutturazione, come è del tutto evidente e come stanno cercando di fare le Regioni settentrionali che assieme, senza l'idiozia degli schieramenti contrapposti, hanno posto il tema della modernizzazione delle infrastrutture delle Regioni settentrionali!

Oggi aerei e computer accorciano le distanze, ma resta il problema della logistica regionale necessaria a integrare parti del territorio e farne sistema. La mia opinione è che lo sviluppo del Paese non decolla se non si sviluppa il sistema Sicilia-Mezzogiorno. Il ponte dunque è un elemento di questa sfida politica e culturale, oltre che economica e sociale.

Il Ponte è un opera indispensabile all'Italia e all'Europa, proiettate, proprio con la Sicilia, nel Mediterraneo, sempre più punto focale dei futuri commerci mondiali, "ponte", a sua volta, assieme all'oceano Atlantico tra l'Asia e le Americhe, oltre che snodo centrale dell'area di libero scambio del 2010.

La dimensione è dunque tale da non consentire che un simile progetto sia lasciato a eventuali "furbetti del quartierino" di turno, ma non è neanche possibile che sia affidato a chi, non credendoci scivola d'ala, perde tempo, rinvia e parla di "non urgenza". Lo dico ai miei compagni, attenti e prudenti navigatori della politica: non possiamo permetterci, per considerazioni di "opportunità politica", di rinunciare a difendere un progetto essenziale per lo sviluppo dell'Isola e del Paese. Non possiamo tradire le attese suscitate e gli impegni assunti in tanti decenni. E' per questo che chiedo di fare a sinistra un punto di riflessione serio, criticamente informato e collettivo sul Ponte e di raccogliere in un comitato quanti a sinistra e nel centro-sinistra tecnici, operatori economici, sindacalisti, politici amministratori vogliono che il Ponte si faccia e subito. Per evitare che più in là, come teme Mario Monti, non aver realizzato il Ponte, possa essere motivo di pentimento.

Salvatore Zago
Deputato regionale Ds

 

HANNO DETTO
Ecco le posizioni
del centrosinistra
Ministro Bianchi (Pdci)
«Il Ponte non s'ha da fare, è inutile e stupido».
Ministro Pecoraro Scanio (Verdi)
«Un'opera faraonica che distrugge l'ambiente e disturba il volo degli uccelli migratori».
Ministro Di Pietro (Idv)
«Non è prioritario e quei soldi ci servono per opere più utili».
Vicepremier Rutelli (Margherita)
«Al momento non ci sono le risorse».
Paolo Mezzio (Cisl Sicilia)
«I soldi del Ponte c'erano: perché li hanno presi?».
Aurelio Misiti (Idv)
«Il progetto è stato approvato da comunità scientifiche di livello internazionale».
Enzo Bianco (Margherita)
«Sono sempre stato favorevole al Ponte».
Sottosegr. Raffaele Gentile (socialista)
«La Sicilia non può fare a meno del Ponte».
Folco Quilici (ambientalista)
«I ponti si fanno in tutto il mondo: sono uno strumento di progresso».
Mario Monti (economista)
«Forse un giorno ci dovremo pentire di non averlo fatto».
Andrea Monorchio (ex Ragioniere dello Stato)
«Non ci sono dubbi che il Ponte sullo Stretto è un'opera utilissima per il Meridione».

 La polemica sul ponte ricostruita dalla stampa

"La Gazzetta del Sud" 7 dicembre 2004

PERCHE' IO NON MARCIO CONTRO IL PONTE

Un paio di settimane fa una brava e coraggiosa combattente per la salvezza di animali in pericolo, Anna Giordano, che una quindicina di anni fa vinse con me il "Gabbiano D'Oro", massima onorificenza per i "paladini della natura", mi inviò di rimbalzo un messaggio di tale Calabrò Tiziana.

Non lo avrei letto, immaginandone il contenuto, se non me lo avesse inviato proprio Anna Giordano, che stimo molto, per quanto si oppose - era ancora una ragazza - alla strage dei rapaci che volavano sullo Stretto di Messina. Una battaglia coraggiosa contro una tradizionale superstizione ("se non uccido almeno un falco, sarai cornuto) che alla fine, Anna Giordano è riuscita a vincere.

Ho quindi letto il lungo papiro elettronico inviatomi, si trattava di un invito a partecipare a una marcia contro la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina. Niente di nuovo, in quel testo. E io mi sarei limitato a non rispondere se l'invito non mi fosse giunto, appunto, da Anna.

E così Le ho scritto una decina di righe per informarla di non aver alcuna intenzione ad unirmi "a chi si oppone al sempre maggiore, indispensabile progresso delle comunicazioni; e non si pone certo lo scopo di creare catastrofi ecologiche. Sarebbe bene che chi è in buona fede, ma miope, osservasse cosa e come si è costruito in gran parte del mondo (anche in paesi molto sensibili ai problemi dell'ambiente quali gli scandinavi e i giapponesi)".

Credevo d'essere stato chiaro, ma Anna - che è una ragazza di carattere, e anche questa è una dote -ha insistito raggiungendomi con una e-mail interminabile. Nella cui premessa, mi confessava di aver "giocoforza iniziato a dedicare energie e tempo per scongiurare lo scempio dello Stretto".

Seguivano alcune pagine (!) di riflessioni, misto di banalità e di buone motivazioni, di elementi reali, di altri immaginari.

Ho voluto risponderle, nel rispetto delle sue idee. Precisandole quanto sia stato necessario, nel cammino della civiltà, prendere decisioni che hanno comportato a volte problemi non indifferenti, ma di certo non tali da bloccare passi in avanti del progresso umano.

Anna mi aveva, tra l'altro, scritto d'opporsi al ponte "Perché non muoiano migliaia di uccelli impattando con il ponte quando il vento, la nebbia, la pioggia, la stanchezza impediscono loro di evitare un ostacolo". La qual cosa credo che valga per tutti i mille ponti del mondo, eppure di uccelli in cielo ne volano ancora molti. E se ne muoiono troppi, le cause sono altre.

Che dire, poi, delle balene che "sarebbero spaventate dall'ombra del ponte"? A parte la facile battuta che di notte e con tempo brutto non si creano ombre, l'obiezione è un'altra: sotto i grandi ponti sul mare del nord Europa, America e Asia, nessun ambientalista ha mai comunicato dati allarmanti su moria di cetacei a causa di un ponte (di cetacei ne muoiono molti, purtroppo; ma anche in questo caso, i motivi sono di tutt'altro genere).

Così, ho riacceso il computer e ho spedito una seconda risposta. E qui la trascrivo quasi per intero: "Cara Anna, non metto in dubbio la tua buona fede, ma non posso che ripeterti quanto ho già risposto. Sarebbe bello vivere nell'eden della preistoria? Non lo so.

Ti ricordo che i romani chiamavano Pontifex, il "costruttore di ponti", autorità massima dell'Impero.

Anche i primitivi hanno sentito la necessità di costruire ponti; ancor oggi ne costruiscono con liane e pali i pigmei della foresta equatoriale africana, per collegarsi con altri uomini, per conoscersi, per sopravvivere.

E' identica vicenda per tutti i popoli di tutte le culture, di tutte le età, il "costruire ponti", perché questo significa collegarsi, conoscersi, unirsi, progredire. Di conseguenza chi è contro un ponte, è contro l'idea più nobile del progresso: quella di creare un mondo nel quale si sia tutti "vicini".

Ti ricordo, per concludere, che nel Medio Evo gli oscurantisti tentavano di proibire la costruzione dei ponti, considerandoli "creature del diavolo". E minacciavano il taglio della testa e la perdita dell'anima, al primo che si fosse azzardato a violare quel tabù.

Nel pregarti di tentar di ragionare su tutto questo, mi auguro che tu non voglia, come gli stregoni del medio evo, condannandomi al taglio della testa, anche se io grido "Viva il Ponte di Messina"."

A quest'ultimo messaggio Anna non mi ha risposto. Forse è troppo impegnata a scrivere slogan da sbandierare domani. Le auguro una giornata di sole.

Folco Quilici

 

Folco Quilici è nato a Ferrara nel 1930 da Nello Quilici, storico e giornalista e Mimì Buzzacchi, pittrice.

Il nome di Folco Quilici si associa da tempo alla conoscenza del rapporto tra uomo e mare. Con film: "Sesto Continente" (Premio Speciale alla Mostra del Cinema di Venezia del 1954), "Ultimo Paradiso" (scritto con Ennio Flaiano, Orso d'Argento al Festival di Berlino del 1956), "Tikoyo e il suo pescecane" (scritto con Italo Calvino, Premio Unesco per la Cultura del 1961), "Oceano" (Premio Speciale Festival di Taormina del 1971) e "Fratello Mare". E' del 1991 il suo film di fiction a grande schermo tratto dal suo romanzo "Cacciatori di Navi" (presentato e premiato a Umbria Fiction nel 1992)  

  Nel campo dei medio e corto metraggi sono oltre trecento i film a carattere culturale da lui realizzati. Da ricordare due opere presentate fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia: Gauguin (1957), L'angelo e la Sirena (1980) e la nomination all'Oscar nel 1971, per Toscana uno dei sedici film della serie Italia dal Cielo alla quale hanno collaborato - dal '64 al '79 - nomi di massimo prestigio della letteratura italiana come Calvino, Sciascia, Silone, Praz, Piovene, Comisso. Questi film sono stati trasferiti su DVD con un programma di perfetto restauro iniziato nel 2002 che si concluderà entro il 2005.  

  L'attività di Folco Quilici ha trovato vasto spazio nei programmi culturali della Televisione in Italia e all'estero: dal reportage Tre volti del deserto ('57) alle Serie in cooproduzioni europee come Alla scoperta dell'Africa ('64/'65), Malimba ('66), India ('66/'67), Islam ('68/'69), Alba dell'uomo ('70/'75), Mediterraneo ('71/'76), I mari dell'Uomo ('71/'74), L'Uomo Europeo ('76/'80) e molti altri titoli sino a Il rischio e l'obbedienza ('90/'92), Archivi del tempo ('88/'93), L'Avventura e la Scoperta ('90/'93), Viaggi nella Storia ('92/'93), Arcipelaghi ('93/'95).     

  Per i tredici film della Serie Mediterraneo e gli otto di Uomo Europeo Quilici ha avuto a fianco, uno dei maggiori storici del nostro tempo, Fernand Braudel. Hanno anche prestato la loro consulenza l'antropologo Levi Strauss, il paletnologo Leroy-Gouran. L'archeologo Sabatino Moscati ha guidato Quilici nelle Serie dedicate all'archeologia subacquea ("Mare Museo" - 1988-'92), sui Fenici ("Sulle rotte di porpora" 1987-'88). Con l'archeologo George Vallet ha realizzato "I Greci d'Occidente".     

  Dal 1992 al 1999 ha realizzato per l'Istituto Luce e la RAI, come regista "L'Italia del XX secolo", 65 film su testi degli storici De Felice, Castronovo e Scoppola

Dal 1997, ha iniziato per RAI 3, la Serie "Alpi", in collaborazione con il CAI (Club Alpino Italiano). Otto film dedicati alla natura e alle genti dell'arco montano. In vendita come video-libri VHS.

Nel 2000, per la rete franco tedesca Arté ha realizzato "Kolossal", lungometraggio culturale e nel 2002, con la stessa coproduzione, "Viaggio nel Mondo di Pinocchio".

Dal 1996 al 2002 ha realizzato la Serie "Italia Infinita", 5 film prodotti per RAI 3, RAI International e reti televisive internazionali. In vendita come video-libri VHS.

Nel 2002/2003 ha curato la realizzazione di sei film dedicati ai suoi viaggi nelle isole del mondo (Di Isola in Isola), di cui è prevista la messa in onda televisiva e la successiva vendita come video-libri nei primi mesi del 2004.

Nel 2004 ha realizzato il lungometraggio a grande schermo "L'Impero di Marmo" per Cinecittà Holding/Istituto Luce.    

  Premi internazionali hanno riconosciuto il suo impegno per la TV culturale in questo campo. Dal Premio della Critica Francese per la regia della Serie "Mediterranéé", al Premio della Critica italiana per "India" (1966), di nuovo attribuito a "Alba dell'Uomo" (1975) e a "Festa Barocca" (1983). Il più recente riconoscimento (1995) è la "Targa d'Oro Europea" per il suo impegno nel cinema storico-culturale.  

  Dal 1950 in poi ha pubblicato numerose opere di saggistica, spesso illustrate. Tra gli altri Mille Fuochi, Magia, Gli ultimi primitivi, Il Riflesso dell'Islam, India, L'Uomo Europeo, I Mari del Sud, La mia Africa, Il Mio Mediterraneo, Le Americhe.

Nel 2004 un'impegnativa opera di ricerca storica e biografica: Tobruk 1940, dedicato al Diario storico di guerra scritto dal padre, Nello Quilici, caduto sul fronte libico con Italo Balbo.    

  Premiato come scrittore, nel '55 con il Premio Marzotto per Sesto Continente (rieditato nel 2000), con il Premio Malta nel'81 per Mediterraneo, il Premio Fregene nell'85 per Cacciatori di Navi e il Premio Estense nel '93 per Africa.

Tra il 1976 e il 1979 ha diretto La Grande Enciclopedia del Mare. Nel '74/'75 è stato coautore dei due volumi La Mediterranee editi in Francia con la Direzione di Fernand Braudel. Nel 1997 gli è stato assegnato il "Premio Internazionale Cultura del Mare" per le sue opere sui mari d'Italia. E nel luglio 2000, gli è stato assegnato il "Tridente d'Oro alla Carriera", dall'Accademia delle Arti della Scienza Subacquea.

Nel febbraio del 2002, Folco Quilici ha ricevuto il Premio NEOS dall'Associazione Giornalisti di Viaggio, per il suo impegno di scrittore.    

  Per la narrativa italiana, dopo il premiato "Cacciatori di Navi" (1985) tradotto negli Stati Uniti con il titolo "Danger Adrift", la Mondadori ha pubblicato nel 1997 il suo "Cielo Verde", romanzo entrato nella classifica dei libri più venduti in Italia. Nel giugno '98 il romanzo "Naufraghi". Nel 1999 con il suo romanzo "Alta Profondità", anch'esso entrato nella classifica dei libri più venduti. Il sequel narrativo iniziato nel 2001 con "L'Abisso di Hatutu", continuato nel 2002 con "Mare Rosso" (che ha vinto nel 2003 il Premio Scanno di Letteratura), ha incontrato un vasto favore di pubblico ed è continuato nel 2003 con il quarto romanzo "I Serpenti di Melqart".  

  In collaborazione con la moglie Anna, ha pubblicato due "biografie avventurose": "Amundsen" (1998) e "Jack London" (2000), Edizioni Piemme; quest'ultimo nel 2001 ha vinto il "Premio Chianciano" e il "Premio Castiglioncello".

Quilici collabora alla stampa italiana e internazionale. Dal '54 su Life, Epoca, Panorama, Europeo, e altri periodici nazionali e internazionali; e con vari quotidiani tra i quali La Stampa e Il Corriere della Sera e Il Giornale. Ha vinto il "Premio Italia" di giornalismo nel 1969; e nel 1990 il "Premio Giornalistico Europeo".

Nel 1983 gli è stata conferita dal Presidente Pertini la "Medaglia d'Oro" per meriti culturali.

Nel '94 la "Penna d'oro" per i suoi servizi sull'Africa. Nel '97 gli è stato conferito il "Premio Marforio-Campidoglio per la Carriera, per il giornalismo culturale". E nel '99 il "Premio San Giorgio" per l'insieme dei suoi scritti.     

  Ha tenuto corsi all'Università di Bologna (1966-67) di Berlino (1991), al Centro Sperimentale di Cinematografia (1995), all'Università Cattolica di Milano (1998). Dal 1985 al 1989 è stato il responsabile di ORAO, il Centro di Formazione dell'Immagine Culturale. I cui corsi sono ripresi nel 1997 e proseguiti nel 1998.    

  Dal febbraio del 2003 ha la responsabilità di dirigere l'Istituto Centrale per la Ricerca Scientifica e Tecnologica Applicata al Mare, ICRAM, di cui è Presidente dal 2004. Per l'Istituto dirige dal 2005 "I Quaderni dell'ICRAM". Precedentemente, dal '95 al '96, era stato Direttore del mensile "Mondo Sommerso", esperienza editoriale maturata con i cinque anni (1978-1982) dedicati come responsabile alla pubblicazione degli otto volumi dell'Enciclopedia del Mare.

Dal 2002 collabora a una serie di volumi illustrati di Luca Tamagnini dedicati alle aree protette dei mari italiani: "Asinara", "Arcipelago Toscano", "Isole Tremiti", "Isole Egadi", "Portofino", "Penisola del Sinis, Isola di Mal di Ventre", "Isole Pelagie", "Isole di Ventotene e Santo Stefano". In preparazione altri volumi dedicati alle altre aree marine protette.    

  E' tra i soci fondatori dell'H.D.S. (Historical Diving Society) e dell'Associazione Ambientalistica Marevivo. E' membro dal 2001 della SOCIETA' GEOGRAFICA ITALIANA.     

  Come fotografo che opera dal 1949, accumulando un archivio d'oltre un milione d'immagini a colori e in bianco e nero, Folco Quilici è stato dichiarato "Great Master for creative excellence" dall'International Photo Contest 1998 .

 

Il collegamento sullo Stretto rilancerebbe la Sicilia, il no la conferma «colonia»  

Lo sviluppo buttato giù dal Ponte  

 

Prodi dice: nessun'opera se non ci sono i soldi. Ma in questo caso lo Stato non spenderebbe nulla  

il caso. Dopo il no di Bianchi ieri Fassino, in Sicilia, ha affermato che il Ponte sullo Stretto non è tra le priorità. Ma quest'opera rilancerebbe turismo e impresa, e bloccarla è confermare la Sicilia «colonia». Prodi ha detto che non si realizzerà nulla se non ci sono i soldi, ma il Ponte non costerebbe nulla allo Stato.

 

il caso. Dopo il no di Bianchi ieri Fassino, in Sicilia, ha affermato che il Ponte sullo Stretto non è tra le priorità. Ma quest'opera rilancerebbe turismo e impresa, e bloccarla è confermare la Sicilia «colonia». Prodi ha detto che non si realizzerà nulla se non ci sono i soldi, ma il Ponte non costerebbe nulla allo Stato.

 

infrastrutture  

Quella Sicilia che schiaffeggia se stessa   
Contro il Ponte la parte ricca del Paese ma anche, da noi, l'incapacità di alcuni di difendere i propri interessi   

 

Tony Zermo

Catania 21.5.2006. Ci sforziamo di comprendere le ragioni di chi non vuole il Ponte sullo Stretto, ma onestamente non ci riusciamo. Sarà colpa nostra? Dicono: è un'opera faraonica, inutile e costosa. Invece è stato dimostrato e varie volte ripetuto che allo Stato non costa nulla e che non toglie risorse a nessuna opera pubblica per il semplice fatto che la società «Stretto di Messina» sull'importo d'asta di 3,9 miliardi ha in cassa di suo 2,5 miliardi e il resto lo troverà sul mercato finanziario in cambio dei pedaggi. Abbiamo aggiunto che alla fine lo Stato ci guadagnerà perché la «vita» del Ponte è prevista in due secoli e siccome dopo 30 o 50 anni l'opera tornerà allo Stato si potrà riaffittare. Prodi dice: non inizieremo opere per le quali non ci sono i soldi. Ma nessuno chiede soldi per il Ponte. Purtroppo la società «Stretto di Messina» non è riuscita a comunicare il concetto all'opinione pubblica, magari facendo pubblicità sui grandi mezzi di comunicazione.

Dicono ancora: il Ponte non è prioritario perché è come mettersi una giacca di cachemire senza avere sotto nemmeno la camicia. La risposta è facile: mettendoci la giacca sarà necessario anche cucire la camicia. Il governo Berlusconi aveva previsto nel suo programma che il Ponte e il riassetto del sistema ferroviario siculo-calabro marciassero di pari passo, «contestualmente», per cui fra 7-8 anni sarebbe stato possibile che i treni dell'alta velocità arrivassero in Sicilia, realizzando anche la parte finale del «corridoio 1 Berlino-Palermo». Qualcuno sostiene che Berlusconi è stato scorretto per il fatto che l'appalto è stato assegnato in campagna elettorale. Ma l'iter dura da 35 anni e se fosse stato veramente scorretto avrebbe messo la prima pietra una settimana prima del voto, anche a costo di far pagare allo Stato i danni alla Impregilo.

Ora non si capisce perché il governo Prodi rovesci le priorità e dica: prima le ferrovie, quando potremo farle. E l'Unione cosa risponderà all'Unione europea, che il Ponte è rimandato a non si sa quando? E cosa dirà alla società «Stretto di Messina» che per legge del 1971 ha il compito di realizzare il Ponte? E cosa dirà alla Impregilo e alle imprese della stessa cordata che hanno vinto l'appalto e che hanno già subito pesanti perdite in Borsa per la posizione del nuovo governo?

Per fortuna una cosa positiva: nessuno afferma più che il Ponte è irrealizzabile e che sfascia le coste perché sarebbe una eresia davanti ai tanti ponti costruiti nel mondo. L'obiezione è solo: lo faremo «dopo» perché non ci sono i soldi. Ma essendo dimostrato che soldi non ne servono è una obiezione che non regge.

Abbiamo visto troppe volte la vergogna dell'imbarcadero di Villa San Giovanni, visto troppe volte le colonne di Tir per il centro di Messina, atteso in auto delle ore per traghettare nelle giornate di punta, da parte loro i treni impiegano un'ora e 45' con i traghetti che perdono 100 milioni di euro l'anno, mentre quelli privati si arricchiscono. E allora c'è da chiedersi: quelli che sono contro il Ponte hanno mai preso un treno che passi lo Stretto, hanno mai preso a Parigi o a Berlino oppure a Strasburgo i treni ad alta velocità da 300 all'ora che potrebbero portare comodamente i passeggeri in tre ore da Catania alla stazione Termini? Nessuno riuscirà a convincerci che questo giornale stia combattendo da anni una battaglia sbagliata.

La verità è un'altra: il Ponte cambierebbe il volto della Sicilia e rilancerebbe alla grande turismo e impresa, ma al nuovo governo di Roma sembra non interessi proprio nulla della Sicilia, non c'è nulla nel suo programma, siamo solo una colonia di 5 milioni di abitanti che ha avuto perdipiù il torto di votare a destra. E fin quando Rifondazione, Pdci e Verdi saranno al governo con diritto di veto per la Sicilia «politicamente scorretta» non ci sarà alcuna speranza. Questa verità amarissima trova come alibi le istanze degli ambientalisti che in nome della perenne intoccabilità del territorio e della romantica sicilitudine non sanno di fare il danno loro e dei loro figli che un giorno chiederanno: perché nel resto d'Europa si viaggia ad alta velocità e in Sicilia dobbiamo stare due ore sopra un traghetto e impiegare quasi un'intera giornata per arrivare a Roma?

 

Bonanni:” Vogliamo il Ponte. Il ministro Bianchi ha sbagliato”

E sulla Biagi la conferma che va corretta per dare risposte ai precari  

 

 

Prima visita in Sicilia del nuovo segretario generale della CISL. Dall’isola parte per il governo Prodi “ un segnale forte per il Sud” . “ Detassazione possibile per le imprese in cambio di una maggiore contribuzione per le tutele dei lavoratori “.

Se si realizza il Ponte si fanno poi, gioco forza, anche le altre opere; qualcuno, invece, sostiene il contrario.

Qualcuno sostiene che l’uovo (le opere) forse viene prima della gallina (il Ponte). Certo è che senza uovo e senza gallina mi sembra eccessivo.

Palermo 20.5.2006.  Quello di ieri, è stato il suo primo intervento nell'Isola da capo della Cisl italiana. Ad accoglierlo, tra gli altri, oltre 200 componenti del parlamentino regionale del sindacato. Ma, per Raffaele Bonanni, che nel passato proprio in Sicilia ha guidato per anni i cislini, è stata soprattutto l'occasione per lanciare al governo Prodi "un segnale forte per il Sud. In primo luogo col fisco di vantaggio". Una questione sottolineata pure da Paolo Mezzio, numero uno del sindacato siciliano: "Chiediamo la ripresa della politica degli incentivi mirati, dal fisco compensativo al credito d'imposta alla programmazione negoziata a una nuova politica dei collegamenti e della programmazione dei fondi strutturali".

Poi, il life-motiv del Ponte, trasformato dallo stesso Bonanni che s'è detto "favorevole" a realizzarlo, in un vecchio adagio tra l'uovo (il ponte) o la gallina (strade, ferrovie, autostrade).

Segretario Bonanni, il neo ministro dei Trasporti Bianchi non ha dubbi: no al Ponte sullo Stretto di Messina.

"Noi siamo favorevoli alla realizzazione del Ponte. E' stata una gaffe, invece, l'affermazione del ministro Bianchi senza capire, tra l'altro, i danni che fa tant'è che le azioni della società Impregilo sono crollate. Un fatto molto pesante. Ma al di là di questo e della cautela che farebbe bene ad avere, spererei che il ministro dicesse, allo stesso tempo, no al Ponte e impegnarsi a realizzare il raddoppio delle linee ferrate, più autostrade, più porti, interporti e autostrade del mare, in modo da potenziare la malconcia rete dei trasporti nel meridione d'Italia. Tuttavia, sono convinto che se si realizza il Ponte si fanno, gioco forza, le altre opere; qualcuno, invece, sostiene che l'uovo forse viene prima della gallina. Certo è che senza uovo e senza gallina mi sembra eccessivo".

La Uil ha posto in secondo piano l'unità sindacale, rispetto alla non abrogazione della legge Biagi.

"Mi pare una tempesta in un bicchier d'acqua, anche perché il nuovo governo dice di non abrogarla. Anzi il governo dice che le cose buone vanno conservate e le non buone dimesse. La stessa posizione è della Cisl. Tuttavia, vedremo nel confronto. Per evitare la tempesta in un bicchier d'acqua, invece, il vero problema è affrontare la precarietà nel lavoro che ha poca attinenza con la 'Biagi' e con la 'Treu'. In altre parole, la precarietà nasce da una mancanza di tutele in quanto non tutti i lavoratori hanno la stessa previdenza, formazione, indennità di malattia e di maternità, in sostanza gli stessi diritti. Solo un terzo. li hanno. Quindi, il problema oggi è dire agli artigiani, commercianti, imprenditori di pagare più contributi per allestire le tutele che toglieranno dalla precarietà quei lavoratori flessibili e atipici. Questo è il punto. Poi, quando il governo Prodi promette la riduzione di cinque punti del cuneo fiscale. che vuol dire trovare 10 miliardi di euro si può, in questo caso, fare uno scambio: si aiuta a sostenere l'alzamento dei contributi ai fini delle tutele e le aziende ottengono un defalco forte di tassazioni".

Cosa porterete sul tavolo del governo Prodi?

"Le priorità che la Cisl porterà al nuovo governo riguardano lo sviluppo e i provvedimenti forti che possono favorirlo. Uno sviluppo che passa attraverso il sostegno all'innovazione e alla ricerca, ma soprattutto attraverso il sostegno al meridione dove c'è un patrimonio umano altamente scolarizzato e zone sgombre che possono essere utilizzate per lo sviluppo nazionale. Ma per tutto ciò, servono risorse".

Si parla anche di tagli allo stato sociale.

"Ribadiamo la nostra contrarietà ai tagli allo stato sociale. Siamo invece favorevoli, anzi lo chiediamo, a tassare le rendite finanziarie. Ciò serve per recuperare le risorse necessarie a sostenere quelle che per noi sono le priorità per lo sviluppo. Tutto questo va fatto, naturalmente, attraverso la concertazione".

Gaetano Mineo

 

prime tensioni nel governo  

 

 

Roma.  Il Ponte sullo Stretto alimenta la prima polemica sulle competenze tra le Infrastrutture e i Trasporti, con il ministro dell'Ambiente che non si tira indietro e dice la sua sul destino della grande opera. Così, dopo tre giorni di polemiche, il nuovo ministro delle Infrastrutture non esita a bacchettare il collega ai Trasporti: su questi temi, dice, «non si decide alla buvette». Di Pietro mantiene la posizione e continua a ripetere: «il riparto delle competenze ad oggi non può dirsi ancora attuato nei dettagli». «Spiegheremo al ministro dei Trasporti - aggiunge - che è bene che tutti i ministri si confrontino. C'è un governo e ci sono le commissioni. Insieme valuteremo, previa una disamina dei fondi in cassa, delle priorità del Paese e dell'impatto ambientale delle varie opere, le infrastrutture da realizzare».

Bianchi, invece, non lesina anticipazioni su ognuno dei temi che sarà oggetto delle diverse deleghe: non solo sul Ponte sullo Stretto, su cui ha reso nota la sua posizione un minuto dopo il suo insediamento, ma anche sulla Tav: «Pur salvaguardando la compatibilità sociale e ambientale dell'opera - ha detto - l'Italia non può rinunciare a essere parte della rete infrastrutturale europea». Bianchi ha anche annunciato che nei primi giorni di giugno aprirà un dossier sull'operazione Autostrade-Abertis. Il neoministro ha aggiunto che la competenza sulle concessioni autostradali è relativa al suo dicastero. «Se si tratta di costruire un pezzo di autostrada - ha precisato - la competenza è delle Infrastrutture, ma se si tratta di gestire la rete, spetta a me».

«Il Ponte sullo Stretto non si farà. Non è una priorità per il governo» assicura a sua volta il ministro dell'Ambiente, Pecoraro Scanio, che ha dalla sua anche il giudizio di Fassino secondo il quale «ci sono altre priorità che premono. Penso all' ammodernamento di tutta la rete ferroviaria; penso ad un forte investimento sulla portualità; penso ad una politica che sfrutti la navigazione del mare. Queste sono le esigenze prioritarie».

Spiega infine Aurelio Misiti, deputato di Italia dei Valori con una lunga esperienza nel settore: «il Ministro Bianchi e il capo del partito Diliberto hanno riportato in maniera distorta il contenuto del programma dell' Unione sul Ponte. Il programma afferma semplicemente la non priorità dell' opera e non la sua negazione».

E lunedì, al ministero delle Infrastrutture guidato da Antonio Di Pietro, è previsto infatti un summit con all'ordine del giorno il Ponte. Proprio la prospettiva che l'opera non sia realizzata ha spinto alcune delle banche finanziatrici a lanciare segnali precisi per chiedere risarcimenti adeguati.

Per l'opera da 3,9 miliardi è stata indetta una gara internazionale, vinta da un consorzio capitanato dal gruppo Impregilo. E proprio il contratto con la cordata vincente sarà all'esame del summit del dicastero. Le eventuali penali previste e i costi sostenuti dal consorzio devono essere valutati e quantificati. L'esame delle oltre 50 mila pagine del contratto si presenta impegnativo e ricco di questioni controverse.

 

Il Ponte sullo Stretto è «l'opera più inutile e dannosa che sia stata progetta in Italia negli ultimi cento anni, e dunque non si farà».

 

 È stata questa, mercoledì scorso, la prima dichiarazione alla stampa del neoministro dei Trasporti Alessandro Bianchi, interpellato al Quirinale al termine della cerimonia per il giuramento del nuovo governo Prodi.

 

Ed è stata appunto questa dichiarazione, ad un tempo, a stroncare le attese sull'opera e ad innescare una polemica, con la Cdl ad accusare il nuovo esecutivo di «voler bloccare lo sviluppo del Sud» negando «un'iniziativa epocale» foriera di «grandi vantaggi in particolare per calabresi e siciliani». Ma non solo: pure nel governo, da subìto, non tutti sono sembrati dello stesso avviso di Bianchi. In particolare il nuovo ministro delle Infrastrutture, Antonio di Pietro, ha «bacchettato» immediatamente il collega affermando che «l'eventuale decisione di abbandonare il progetto deve essere presa a livello collegiale, quindi in Consiglio dei ministri e in Parlamento». E il neo ministro per lo Sviluppo economico, Bersani, ha detto: «Se varrà la pena farlo, il Ponte si farà». Di Pietro ha poi più volte ribadito: «Sarà il governo, collegialmente, a valutare». Ma l'orientamento, si sa, è che prioritari, per il Sud, sono altri lavori, «secondo una logica di sistema - ha detto Prodi - e non privilegiando le grandi opere».

 

Quando la sinistra voleva fare il Ponte sullo Stretto

Nell'ottobre '97 il sì del Consiglio superiore dei Lavori pubblici  

 

La società “ Stretto di Messina “ha una struttura finanziaria autosufficiente. Non Ha alcun senso parlare di “ priorità”

 

Catania 22.5.2006. Per favore, almeno non prendeteci in giro, non dateci collanine di vetro come i conquistadores facevano con gli indigeni. Perché quando Fassino e gli altri vengono a dirci che il Ponte non è una priorità, o non sanno quel che dicono o fanno i furbi. Che vuol dire in questo caso «priorità»? Vuol dire che se lo Stato deve spendere soldi per realizzare opere pubbliche deve cominciare con quelle più indispensabili delle altre. Solo che si trascura un piccolo particolare. Il Ponte ha una struttura finanziaria autosufficiente perché la società «Stretto di Messina» sui 3,9 miliardi del costo dell'opera ne ha la metà in cassa e il resto lo trova sui mercati finanziari in cambio dei pedaggi. Allora che senso ha parlare di priorità quando il Ponte non sottrae risorse ad alcuna opera? Siamo stanchi di ripetere questa semplice verità, ma non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire. Anche chi è favorevole al Ponte e protesta per questo contro il governo Prodi, invece di ricordare che la Sicilia sarebbe tagliata fuori dal «corridoio 1 Berlino-Palermo», che l'alta velocità si fermerà a Napoli e che senza il Ponte non arriverà mai in Sicilia - tutte cose verissime -, farebbe bene a dire solo: lo Stato non deve spendere un euro! Deve dire solo sì. E' così difficile da capire? Ed è così difficile per la società «Stretto di Messina» confermare ufficialmente che ha due miliardi in cassa?

Il segretario ds Fassino, peraltro politico intelligente, non può dire: «Abbiamo un grande piano di investimenti sulla portualità del Mezzogiorno e in Sicilia, un progetto molto più ambizioso che fare un ponte». Ma per piacere. La portualità va benissimo, ma che c'entra con il Ponte? E poi «non si tratta di fare un ponte», perché non è un ponte qualunque, ma il Ponte a una sola luce più lungo del mondo. Queste cose le deve sapere, e allora perché gioca a nascondino con i siciliani? Perchè non dice che i Bertinotti, i Pecoraro Scanio e i Diliberto, se solo si dicesse un mezzo sì al Ponte, sono capaci di far cadere il governo Prodi? E allora non ci vengano a gettare polvere negli occhi con la portualità e con le «autostrade del mare» quando ad esempio Catania e tutta la Sicilia orientale è collegata via nave solo con Napoli sul Tirreno e con Ravenna sull'Adriatico.

Il Ponte è un diritto sacrosanto della Sicilia, è una immensa opera tecnica che non è né di destra e né di sinistra. Anzi l'hanno promesso anche i governi di centrosinistra che ora fanno finta di dimenticarlo. Hanno chiesto di farlo i giapponesi (quelli che a Istanbul hanno realizzato il ponte sul Bosforo) e gli hanno detto di no, hanno chiesto di farlo gli americani, stessa risposta negativa. Ha ragione l'on. Raffaele Lombardo, fondatore del movimento per l'autonomia, quando dice che «affossando il Ponte, simbolo e volano di sviluppo, il teatrino romano ha messo in scena il programma che attende la Sicilia e il Sud, da mantenere come mercati di consumo passivo».

«Repubblica» ha pubblicato con obiettività quel che fece il governo di centrosinistra per il Ponte: ottobre '97: il Consiglio superiore dei lavori pubblici considera il progetto del Ponte idoneo a diventare definitivo; luglio '98: il progetto è trasmesso al Cipe per il parere definitivo; aprile 2001: il governo avvia le audizioni con diversi istituti finanziari e operatori specializzati. Poi, siccome lo voleva fare Berlusconi e Berlusconi ha perso, allora niente Ponte. Ma non è una posizione politicamente intelligente. Sarebbe stato più giusto dire: approfondiremo e poi decideremo. Anche perché, alla vigilia delle regionali, Rita Borsellino non meritava di essere colpita da «fuoco amico».

Tony Zermo

 

Oggi vertice Di Pietro-BianchiNessuna polemica. Di Pietro (Idv) e Bianchi (Pdci) hanno deciso di lavorare di comune accordo. Di Pietro ha convocato pe

 

Oggi vertice Di Pietro-BianchiNessuna polemica. Di Pietro (Idv) e Bianchi (Pdci) hanno deciso di lavorare di comune accordo. Di Pietro ha convocato per oggi un vertice al ministero delle Infrastrutture per fare il punto della situazione e vedere come costruire un percorso comune tra il ministero che a lui fa capo, e quello dei Trasporti, guidato da Bianchi: «Ho convocato questa riunione per fare un elenco delle priorità e studiare insieme le soluzioni migliori».

 

Due miliardi di euro scippati al Meridione  

 

 

Tony Zermo

Catania 23.5.2006 Stanno per evaporare i 2 miliardi di euro del Ponte sullo Stretto. E per spiegare perché dobbiamo fare brevemente la storia di quest'opera epocale ancora sulla carta, che non è di Berlusconi, ma di questo Paese immemore.

Fu nel 1971 che il Parlamento varò una legge che istituiva la società «Stretto di Messina» con il compito di realizzare l'attraversamento stabile dello Stretto. Nella società entrarono Fintecna, le Regioni Sicilia e Calabria, l'Anas e le Ferrovie e nel 1997 il Consiglio superiore dei lavori pubblici decretò che il Ponte era «tecnicamente fattibile».

Allo scioglimento dell'Iri la Fintecna aveva tre miliardi: uno venne congelato per eventuali debiti, per gli altri due la Comunità europea disse all'Italia che sarebbe stato opportuno destinare quella somma ad alleviare il deficit statale. Soltanto allora Berlusconi prese in mano la situazione e convinse Bruxelles a destinare quella somma ad una grande opera a favore del Sud, e quest'opera venne individuata nel Ponte per un semplice motivo: la vita del Ponte è prevista in due secoli, il 60 per cento della somma la metterebbero i privati in cambio dei pedaggi. E siccome il Ponte dopo 30 o 50 anni tornerà allo Stato, che potrà riaffittarlo per altri 150 anni, ecco che l'Italia non solo rientrerà dei due miliardi di euro, ma ce ne guadagnerà tanti altri. La Comunità europea se ne convinse e dette lo sta bene per vincolare quei due miliardi alla realizzazione del Ponte, un'opera in cui ci si guadagna e non si perde nulla.

Quindi questa è un'opera pubblica, una delle più importanti e certamente la più prestigiosa, la cui preparazione dura da 35 anni, siamo ai tempi di Moro, non certo dal governo di centrodestra. Berlusconi ha solo avuto il merito, da imprenditore geniale, di avere visto l'utilità del Ponte non solo a favore dello sviluppo della più grande isola del Mediterraneo, ma della rete europea dei trasporti, che invece di fermarsi a Napoli scenderebbe sino in Sicilia attraverso il Ponte chiudendo il «corridoio 1 Berlino-Palermo».

Detto questo, ne consegue che se il governo Prodi non vuole fare il Ponte - che pure era nel programma elettorale del centrosinistra nel 2001 - i due miliardi di euro della società «Stretto di Messina» prenderanno il volo, magari a favore della Tav in Val di Susa che la sinistra vuol fare tentando di convincere i contrarissimi valligiani che è necessario collegarsi con la Francia e il «corridoio 5» Lisbona-Kiev. Mentre invece che il Ponte colleghi la Sicilia e i suoi 5 milioni di abitanti con l'Europa non gliene frega niente a nessuno, perché «deserto strutturale » è, e che resti tale. Perché è chiaro che se non c'è il Ponte in Sicilia non arriveranno i treni veloci, in Sicilia non arriveranno i grandi flussi turistici, la Sicilia importerà ed esporterà con tempi anteguerra e resterà cristallizzata nella sua «isolitudine».

Aggiungiamo solo che una ricerca del Cnr affidata all'Università di Napoli stabilì che il solo indotto turistico del Ponte avrebbe creato 15 mila posti di lavoro anche per l'apertura del fronte mare di Messina. E ricordiamo che Fassino tre anni fa alla Fiera di Bari, davanti al plastico del Ponte, disse di essere «favorevole perché sono industrialista». Lo stesso Prodi nel 1996 dichiarò che il tempo che un treno ci mette a traghettare dalla Sicilia alla Calabria si può coprire in auto la Napoli-Roma. Ora il centrosinistra ha dimenticato tutto per non scontentare Bertinotti, Pecoraro Scanio e Diliberto, che già dicono di destinare quei soldi del Ponte alla Salerno-Reggio Calabria. Ma non era stata già finanziata?

Ci dispiace insistere sull'argomento in periodo di campagna elettorale, ma ripetiamo che il Ponte non appartiene a nessun partito, è solo una grande opera dell'ingegno dell'uomo che porta progresso. Se Roma ignora la Sicilia, è il momento in cui la Sicilia deve fare valere il proprio diritto al futuro, perché finora nel programma Prodi per noi c'è solo il fumo negli occhi delle «autostrade del mare».

 

Nell'85 Prodi disse: «Farò il Ponte»  

La Regione siciliana si affidi all'Unione europea per premere su Roma, o lanci una gara internazionale  

 

 

Raffaele Lombardo

«Un comitato per sostenerne la costruzione»

Catania 24.5.2006 «Costituire un comitato popolare formato da cittadini, imprenditori, intellettuali, giovani, associazioni di volontariato e di categoria per attuare varie forme di mobilitazione per sostenere politiche di sviluppo infrastrutturale ed economico-sociale in Sicilia. È necessario che la Sicilia abbia il Ponte sullo Stretto - afferma il fondatore del Mpa - che, peraltro, non avrebbe bisogno di finanziamenti aggiuntivi statali, madre di tutte le altre infrastrutture, stradali, ferroviarie e portuali ad esso collegate. Occorre che venga applicata la fiscalità compensativa o di vantaggio per il Sud, che nei mesi scorsi ha ricevuto il via libera dal Parlamento Europeo, indispensabile per attrarre investimenti e occupazione; che venga differita l'attivazione dell'area di libero scambio euro-mediterranea prevista per il 2010; che si definisca con date certe un piano di smobilizzo delle raffinerie di petrolio con relativa creazione di corrispondenti posti di lavoro». Le adesioni alle iniziative possono darsi anche su Internet ai siti mpa-sicilia.it oppure mpa-italia.it

 

L'annuncio del 1985  

 

 

 

Tony Zermo

Catania 24.5.2006 Forse venerdì prossimo il Consiglio dei ministri deciderà il destino del Ponte sullo Stretto. Ad andare bene, vista l'opposizione di Verdi, Rifondazione e partito dei comunisti italiani, Prodi probabilmente dirà di «approfondire la questione finanziaria relativa all'opera», rimandando il problema ad altra data. Ma ha poco margine perché metterebbe a rischio la tenuta del governo che poggia anche sulla gamba sinistra e perché è vincolato dal concordato programma di 281 pagine dove il Ponte non appare, così come non c'è la Tav in Val di Susa. Ma può questo governo congelare le grandi opere che sono il presupposto per lo sviluppo del Paese?

Prodi è in grande imbarazzo. Sentite cosa disse in un'intervista apparsa su «Panorama» il 15 settembre 1985. Il titolo dell'articolo era questo: «Il Ponte lo faremo, parola di Prodi». E nel testo l'allora presidente dell'Iri diceva: «Metteremo presto la prima pietra. Del resto è già in discussione alla commissione congiunta Lavori Pubblici e Trasporti il decreto legge n. 1216, promosso dal ministro Signorile, che prevede l'erogazione in tre anni di 220 miliardi per passare alla progettazione entro il 1987 e l'apertura dei cantieri entro il 1989. Non sarà certo l'Iri a porre ostacoli alla progettazione di un'opera definita all'unanimità dal nostro Parlamento di "prevalente interesse nazionale"».

E l'intervista di Prodi così continuava: «L'Italstat sarà il general contractor. Sia nel campo degli acciai che dei lavori edili, l'Iri intende ricorrere all'intervento privato e possibilmente a imprese meridionali. Ma non è detto che per aspetti molto specifici non ci si debba rivolgere al di fuori dei confini italiani». E sull'utilità del Ponte precisava: «Oggi la produttività del settore agricolo e delle industrie di trasformazione e manufatturiera della Sicilia è fortemente ostacolata da questa barriera naturale. Secondo stime attendibili, con un collegamento stabile i costi di trasporto calerebbero del 13%, senza parlare della maggiore rapidità negli spostamenti. Oggi , per esempio, se l'uva Italia di Caltanissetta arriva ad Amburgo in tre giorni riesce a spuntare un prezzo soddisfacente; se arriva dopo sette giorni il prezzo cala del 30%; se ci mette più di una settimana non viene ritirata. Anche per l'economia calabrese i vantaggi sarebbero naturalmente molti, e importantissimi».

E Prodi dichiarava queste cose nell'85 quando in Italia non si parlava nemmeno di alta velocità ferroviaria che aumenta per dieci volta l'utilità del Ponte e che ha avuto proprio per questo il co-finanziamento dell'Unione europea e la sua inclusione nel «corridoio 1 Berlino-Sicilia» nel quadro della rete di comunicazioni della Grande Europa.

Prodi è una persona seria e non può certo dimenticare che anche da presidente della Commissione europea aveva dato il via libera al Ponte, che del resto era stato anche nei programmi del centrosinistra. Il problema è che si trova prigioniero della sinistra massimalista che non vuole il Ponte anche a costo di sfasciare tutto. Dubitiamo che con questi chiari di luna riesca a fare ragionare i Pecoraro Scanio e i Diliberto, così come sarà difficile convincere i valsusini dell'utilità della Tav che libererebbe la valle dalle colonne dei Tir.

E allora, in questa situazione di stallo, bisogna trovare altre strade. Una può essere quella dell'Unione europea che su sollecitazione della nostra Regione può prendere un'iniziativa autonoma per intervenire sul governo di Roma. Mentre il nostro centrosinistra non considera «prioritario» il Ponte, per l'Europa questa è un'opera prioritaria e fondamentale per collegare con i treni ad alta velocità anche la Sicilia e completare il «corridoio 1». Se la Sicilia è Regione svantaggiata per la sua perifericità geografica e per il suo sviluppo ritardato rispetto alle Regioni del centro-nord, il Ponte è l'unica super-struttura in grado di svincolare l'Isola dalla sua subalternità economica. Quindi potrebbe essere l'Unione a far capire a Roma che non può fare disinvoltalmente marcia indietro dopo tutto il lungo iter approvativo.

La seconda strada è una «provocazione». Non si vogliono dare i due miliardi di euro destinati al Ponte perché il governo ritiene di avere altre necessità più impellenti? Ebbene, che lo lasci fare alla Regione siciliana - e per essa la società «Stretto di Mesina» - che può lanciare una sottoscrizione internazionale. Siamo convinti, e non crediamo di sbagliare, che se si offre il Ponte più lungo del mondo con i suoi pedaggi - che sarà possibile sfruttare durante la «vita» dell'opera lunga duecento anni - grandi imprese internazionali, banche, azionato popolare possono mettere i capitali necessari. Il progetto di massima c'è, bisogna solo fare quello definitivo per aprire i cantieri. E' un'impresa affascinante e oggi il mondo degli affari va cercando il modo migliore per investire i capitali. Già questa «provocazione» l'aveva raccolta Sergio D'Antoni: «Facciamolo fare con i soldi dei privati». Ma tutto questo sarebbe possibile solo a patto che il governo Prodi dichiari ufficialmente e senza mezzi termini che l'opera si può fare a spese dei privati, altrimenti nessun investitore sarebbe disponibile a correre rischi in un quadro politico-normativo incerto, se non ostile.

Ricordiamo anche che le Ferrovie dello Stato, che con i traghetti sullo Stretto perdono ogni anno 100-150 milioni di euro, avevano sottoscritto una convenzione con la società del Ponte per il passaggio dei treni pagando un canone annuo di 100 milioni di euro per trent'anni, il che fa tre miliardi di euro. Finanziariamente sarebbe un'eccellente base di partenza.

 

Catania 26.5.2006 Che il Ponte sarebbe stato una grana del nuovo governo era prevedibile. La sinistra ha preteso la sua esclusione dal programma, ma Prodi cosa potrà dire a Bruxelles che l'aveva incluso nella rete trasporti della Grande Europa e aveva anche deciso di co-finanziarlo? Il nuovo ministro dei Trasporti Alessandro Bianchi (Pdci) ieri se n'è uscito con una delle sue.

«I perdigiorno del Ponte farebbero meglio a guardarsi intorno e impegnarsi per la statale jonica e per le altre infrastrutture della Calabria e della Sicilia».

L'uomo dal bianco capello fluente è professore della poco conosciuta università del Mediterraneo di Reggio Calabria. Sostiene di avere studiato il Ponte per decenni, ma deve avere la vista corta perché non si è accorto della vergogna degli imbarcaderi di Villa San Giovanni, delle colonne di Tir di Messina e dei patetici traghetti dello Stato che perdono un miliardo di lire ogni 24 ore. Che il perdigiorno sia lui?

T. Z.

 

«Il Ponte, una cartina al tornasole per il Paese»

Non so se il mio sia uno stato d'animo personale o trattasi di un sentimento generale d'insoddisfazione, più diffuso, quello che si coglie verso quest'Italia d'oggi che manifesta molte crepe: dalla politica allo sport, dall'economia alla sicurezza, dalla scuola al lavoro, dalla giustizia alla sanità, fino a raggiungere il nostro personale modo di essere. Non basta una personale dose d'ottimismo, né aprire il cuore alla speranza, perché ogni rimedio sembra inutile a contrastare questo senso di declino generale che invade un po' tutti i settori della vita sociale. L'attuale vicenda sul ponte di Messina è un po' la cartina di tornasole, meglio, il punto di collisione tra speranza e delusione. Sulla questione ognuno, singolarmente, può alzare o abbassare il pollice in segno d'adesione o disaccordo, ma allorché approfonditi studi ne hanno sancito la fattibilità da tutti i punti di vista (economici, ambientali, di sicurezza), tornare sull'argomento è un metodo tipicamente italiano, in nome del quale è vero tutto ed il contrario di tutto. Che certezza può esprimere un futuro, in cui il presente è continuamente messo in discussione? Che insegnamento si trasmette ai giovani se anche l'ovvietà è un teorema di dimostrare? Il ponte? Solo un esempio, forse il più insignificante in questo mare magnum d'incertezze quotidiane che contraddistingue la nostra vita. Il resto è peggio: sanità, giustizia, lavoro, sicurezza, famiglia, affetti sembrano zattere alla deriva di cui sconosciamo il punto d'approdo, se approdo ci sarà mai. L'Italia vista così appare come un seminario di studio permanente, un cantiere aperto in cui le discussioni, perenni, pedanti, defaticanti, somigliano alla tela di Penelope, il cui fine era annegarsi nell'infinità di un'attesa senza tempo. Quando, spesso, penso all'insensata tristezza del presente immagino il poeta latino Orazio che poggiando la sua mano sulla mia spalla, mi sussurra:. "carpe diem". Un tipo di filosofia che se va bene per un uomo canuto, mal si concilia con un giovane proiettato a programmare il suo futuro. Eppure questa è l'amara realtà dell'oggi.

Saro Pafumi

 

"Il ponte lo vedrà mio figlio"

 

PALERMO - "Il ponte lo vedrà mio figlio: non vedo il ponte come un demonio ma le priorità sono altre, devono essere compatibili con le risorse che sono quello che sono". Il presidente del Consiglio Romano Prodi, a Palermo per una manifestazione elettorale a sostegno della cabdidata dell'Unione Rita Borsellino, è ritornato su uno degli argomenti più dibattuti da quando il nuovo governo si è insediato.

 

"Ho visto - ha aggiunto il premier - che sono state tirate fuori interviste su questo argomento di quando ero presidente dell'Iri. Non mi sono pentito, non ho nulla contro il Ponte, ma quando vedo che non c'è un'autostrada che ci arriva e quando so che a Palermo l'acqua arriva razionata e le ferrovie sono quello che sono mi chiedo quali siano le priorità".

 

Per Prodi "la Sicilia tutta è appoggiata da tutto il governo. Sono qui - ha sottolineato - per testimoniare l'appoggio, la stima e l'affetto per Rita Borsellino, ma anche per testimoniare la presenza dello Stato in Sicilia". Il premier ha quindi osservato: "Questa è una battaglia di cambiamento che ha risvolti non solo politici ma anche etici profondi. Così come nel confronto tra Berlusconi e Prodi non c'era solo uno scontro politico ma un tipo di sviluppo futuro dell'Italia. Questo fatto è testimoniato dalla presenza di tante televisioni e giornalisti stranieri".

 

Prodi ha attaccato esplicitamente "i ministri siciliani del precedente governo che non hanno lavorato per l'interesse della Sicilia. Abbiamo una struttura con viceministri e sottosegretari siciliani di grandissimo rilievo. E' la qualità della politica che determina gli interessi della Sicilia".

 

Il premier ha poi affermato che "il governo vuole organizzare progetti specifici in cui Palermo e Catania siano coinvolte per mettere in pratica il cambiamento del rapporto culturale nel Mediterraneo". Prodi ha parlato anche delle necessità di promuovere "università miste per studenti delle due sponde". E ha aggiunto: "O mescoliamo le due culture o abbiamo un concetto astratto del Mediterraneo".

 

Secondo il presidente del Consiglio occorre passare dalla "teoria della realtà mediterranea" alla pratica: "Da Palermo per andare a Tunisi - ha ricordato - bisognava passare per Roma, non so se sia ancora così". A questo punto un immigrato si è alzato dalla platea e ha urlato: "Presidente pensi a noi". "Non c'è progetto per gli immigrati - ha risposto Prodi - che non passi per lo sviluppo della Sicilia".

 

"Penso che la Bossi-Fini vada cambiata - ha aggiunto -, ne sono convinto, ma finché non si cambia è in vigore. Ma comunque è possibile produrre innovazioni molto forti: oggi ho dato disposizione di fare un comunicato in cui mettiamo in fila in agenda alcune proposte per l'attività di governo, tra queste, le nuove regole di cittadinanza. Che sono l'adeguamento di un paese alle regole di civiltà. Non c'è bisogno di rivoluzioni per fare cambiamenti".

 

A proposito delle dichiarazioni di Silvio Berlusconi sulla mobilitazione delle piazze, Prodi ha replicato: "Vi sembra che io abbia tirato troppo la corda? Non ho alzato la voce e non la alzo. Ho la disgrazia di avere vinto le elezioni... E' inutile che lui cerchi di alzare la voce come se le avesse vinte lui e fosse stato spodestato dal governo. Le elezioni sono state controllate interamente dal ministero dell'Interno. A volte bisogna anche perdere e Berlusconi è la secoda volta che perde da me. Come si dice in Emilia, dovrebbe farsene una ragione".

 

Infine il premier ha detto che "le amministrative non sono un test per il governo", rispondendo alla domanda di un giornalista. "Non abbiamo ancora cominciato a governare", ha spiegato il premier, che tuttavia ha aggiunto di "considerare le regionali e le amministrative un passaggio importantissimo per la Sicilia e le altre amministrazioni".

 La manifestazione elettorale si è conclusa con un applauso lunghissimo e ritmato, che ha costretto più volte Rita Borsellino ad alzarsi per ringraziare la platea, suggellato da un lungo abbraccio con Romano Prodi. "La Sicilia - ha detto Borsellino nel suo discorso, davanti a numerosi esponenti di primo piano del centrosinistra - è stata timida, poco capace di esprimere quello che voleva. Si è lasciata violentare, comprare, troppi diritti negati".

La candidata dell'Unione, citando il suo slogan elettorale, ha ringraziato il presidente Prodi "di aver scelto di venire a Palermo in un momento come questo in cui la Sicilia sta vivendo 'un'altra storia'". "Per la prima volta - ha concluso - centinaia di giornalisti e troupes televisive di tutto il mondo sono venute qui non perché hanno ammazzato qualcuno o hanno arrestato qualcun altro".


26/05/2006

 lombardo  

«Il ponte va fatto»  

«Se Prodi non realizzerà il ponte salteranno tutte le altre infrastrutture». Il leader del Mpa Raffaele Lombardo lancia l'allarme e annuncia una manifestazione popolare.

Andrea Lodato4

Tony Zermo  


Prodi ha detto: «Il Ponte lo vedrà mio figlio». Scusi, presidente, non sappiamo quanti anni abbia suo figlio, ma non possiamo anticipare, in modo da vederlo pure noi? Oppure voleva dire che lo vedranno i suoi nipoti, che forse è più vero? Perché, se prima si debbono fare le ferrovie e le autostrade, solo i nostri nipotini potranno passare un giorno su quel Ponte. Non comprendiamo però perché non si possano fare «contemporaneamente» la Salerno-Reggio Calabria e le ferrovie assieme al Ponte, diciamo entro il 2014, che è comunque un bel lasso di tempo.

Ci fa piacere che non abbia detto le stesse cose di Vendola («Il Ponte unisce da cosca a cosca») o di Cofferati («Unirebbe due deserti infrastrutturali») perché lei è un economista serio e sa che il Ponte più lungo del mondo darebbe una spinta fortissima al turismo e ai trasporti. Ma lei non può mettere a repentaglio la tenuta del governo per il Ponte perché sa che la sinistra talebana gliela farebbe pagare. Perciò è costretto a dire che non è una priorità e che non ci sono i soldi. A parte che i soldi ci sarebbero, le facciamo una proposta non indecente: offra il progetto ai gruppi internazionali in cambio dei pedaggi e vedrà che l'opera si farà senza un euro dello Stato. Così magari su quel Ponte ci passiamo pure noi.

miccichè  

«Sicilia punita col no al Ponte»  

il premier, a palermo con la borsellino, congela l'opera sullo stretto   
Prodi: il Ponte lo vedrà mio figlio   
Le priorità: cuneo fiscale, lavoro al Sud, ritiro dall'Iraq, quote rosa, alt a riforme scuola e giustizia   

 
in sicilia. Ieri a Palermo per la chiusura della campagna elettorale della Borsellino, Prodi ha «congelato» il Ponte: «Lo vedrà mio figlio - ha detto -. Le priorità per la Sicilia sono altre».

priorità. Quanto alle priorità generali, il governo ha messo a punto l'agenda dei primi provvedimenti. Fra questi, il taglio del cuneo fiscale, agevolazioni per le assunzioni, le quote rosa, la revisione delle riforme della scuola secondaria e della ex Cirielli, il ritiro dall'Iraq.

ritiro militare pieno. D'Alema ha precisato che il governo punta a un «ritiro militare pieno»: in Iraq quindi non dovrebbero rimanere militari italiani.

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Lillo Miceli

Palermo. Chissà perché, quando si chiede a un esponente del nuovo governo il motivo per cui non si debba realizzare il ponte sullo Stretto di Messina, cambia di umore. Accade persino al tranquillo presidente del Consiglio, Prodi, che ha alterato il suo tono monocorde anche in un'altra occasione: quando gli è stato chiesto il motivo dell'assenza di ministri siciliani nel suo Gabinetto: «Addirittura, sono state tirate fuori mie interviste sul ponte di quand'ero presidente dell'Iri. Non mi sono pentito, non ho nulla contro il ponte, ma quando vedo che non c'è un'autostrada che ci arriva e, quando so che l'acqua a Palermo è razionata e le ferrovie sono quelle che sono, mi chiedo quali siano le priorità. Il Ponte lo vedrà mio figlio: non vedo il ponte come un demonio, ma le priorità sono altre e devono essere compatibili con le risorse che sono quelle che sono».

Nel capoluogo siciliano, grazie ai due acquedotti realizzati nel '03, l'acqua non manca mai. «Era razionata - ha ricordato l'on. Germanà - quando era sindaco Orlando». E sulla mancata nomina di ministri siciliani: «Abbiamo una struttura con viceministri e sottosegretari siciliani di grandissimo rilievo. E' la qualità della politica che determina gli interessi della Sicilia. I ministri siciliani del precedente governo, non hanno lavorato per l'interesse della Sicilia». Ma avrebbero potuto esserci, nel governo di centrosinistra, siciliani in grado di saper fare gli interessi della propria terra. Si suppone.

Sono stati parecchi i temi affrontati dal presidente del Consiglio nel corso della manifestazione in sostegno di Rita Borsellino, candidata dell'Unione alla Presidenza della Regione, che si è svolta nei saloni di palazzo Butera. Manifestazione a cui hanno partecipato Agnese Borsellino, vedova del magistrato assassinato dalla mafia e cognata di Rita, così come Maria Falcone, sorella di Giovanni, e Vincenzo Agostino, padre di Antonino, il giovane poliziotto assassinato dalla mafia insieme con la giovane moglie quasi quindici anni fa, che ha chiesto di conoscere la verità sulla morte del figlio, essendo le indagini coperte dal segreto di Stato.

«La Sicilia tutta - ha aggiunto Prodi - è appoggiata da tutto il governo. Sono qui per testimoniare l'appoggio, la stima e l'affetto per Rita Borsellino, ma anche per testimoniare la presenza dello Stato in Sicilia. Questa è una battaglia di cambiamento che ha risvolti non solo politici, ma anche etici profondi. Così come nel confronto fra Prodi e Berlusconi non c'era solo uno scontro politico, ma un tipo di sviluppo futuro dell'Italia».

Per Prodi, che ha annunciato una missione in Cina, non bisogna perdere il treno del decollo economico dei Paesi asiatici le cui merci verso l'Occidente transiteranno sempre più sulle rotte del Mediterraneo. «Dopo avere perso il treno degli investimenti Usa e di quelli europei - ha sottolineato - non possiamo perdere quelli asiatici». E la Sicilia, grazie alla sua posizione geografica, può giocare un ruolo determinante sia per il proprio sviluppo sia per quello dell'Italia: «La Sicilia non è una piccola parte, ma è il 10% del Paese. Senza il contributo e senza il suo cambiamento, l'Italia non ce la fa».

Per questo motivo, fra i provvedimenti che saranno presi presto in esame vi è il cosiddetto «pacchetto Sicilia» elaborato dai parlamentari isolani che contiene soprattutto provvedimenti per l'innovazione e la ricerca. «La riduzione del cuneo fiscale - ha affermato Prodi - anche per la ricerca e lo sviluppo può essere un'importante leva».

Si deve rinnovare l'economia, sviluppare la ricerca, dare nuove possibili ai giovani. Ma anche la politica, secondo Prodi, deve rinnovarsi, utilizzando lo strumento delle primarie: «Il passaggio delle primarie è stato utilissimo per la Sicilia. Credo che dobbiamo continuare a puntare fortemente sull'innovazione e la concorrenza anche nel mondo politico». Quindi, chi ha già svolto importanti ruoli istituzionali, anche a livello amministrativo, si faccia da parte. Chi ha orecchie per intendere, intenda.


Question time.   
«La Tav fino a Reggio non è programmata, forse arriverà nel 2015-2020»   
Rutelli: «Ma quale Ponte?»


1.6.2006 Il vicepremier Rutelli al question time ha liquidato la domanda sul Ponte senza nemmeno parlarne: «Per l'alta velocità al Sud non c'è alcuna programmazione, si stima che arriverà fino a Reggio tra il 2015 e il 2020. Il precedente governo per le ferrovie in Sicilia ha previsto solo le linee ordinarie Catania-Palermo e Castelbuono-Patti». Sul problema delle risorse il ministro Di Pietro in un dibattito ha detto che l'autostrada Salerno-Reggio Calabria, diventata impercorribile, e la Catania-Siracusa sono prioritarie e che «bene ha fatto il governo Berlusconi a programmare le grandi opere che abbiamo il dovere di portare a buon fine». Ma anche lui di Ponte non parla.

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Le bugie hanno le gambe corte. Guardate cosa disse Rutelli a Messina durante la campagna elettorale del 2001 (precisamente il 26 maggio) quando era il candidato premier del centrosinistra: «Il Ponte pronto nel 2012. Vi dò appuntamento il 2 giugno». Tanto che quello bello spirito del nostro vignettista Totò gli chiese: «Scusi, a che ora?». Adesso fa finta di non ricordarselo più. Peggio: non ne parla neppure, nonostante che al question time gli sia stata fatta una domanda precisa. Ma quale Ponte? Ha svicolato sulle «ferrovie ad alta velocità che arriveranno a Reggio Calabria nel 2015-2020», lasciando intendere che il Ponte, essendo parte finale del corridoio Berlino-Sicilia, se non c'è la Tav non c'è di conseguenza neppure il Ponte. Almeno sino al 2030.

Strano modo di fare politica e promesse. Ma non era uno di quelli che accusava Berlusconi di essere un «piazzista di sogni»? Almeno il Cavaliere sul Ponte si era scommesso e lo voleva fare davvero perché sapeva che con 200 anni di pedaggi (tanto sarebbe la «vita» del Ponte), sarebbe stato un buon affare. *

 

La lettera 

Tony Zermo

Il Ponte è stato liquidato (senza nemmeno nominarlo) dal vicepremier Rutelli in sei minuti al primo question time della nuova legislatura: un minuto per la domanda di Giuseppe Reina dell'Mpa che chiedeva del Ponte, tre minuti per la risposta, due per la replica. «Allo stato attuale non c'è alcun documento di programmazione che preveda linee ad alta velocità ferroviaria nel territorio della regione siciliana. Il programma delle opere strategiche ereditato dal precedente governo ha determinato esclusivamente l'introduzione dell'alta velocità nella linea Battipaglia-Reggio Calabria e nel territorio siciliano due interventi su linee ordinarie tra Palermo e Catania e tra Castelbuono e Patti. La prosecuzione della Tav sino a Reggio tuttora si trova nelle primissime fasi di studio e gli stessi strumenti di programmazione stimano la sua realizzazione oltre il 2015-2020». Dopo questa mazzata Rutelli, che ha ignorato la domanda sul Ponte, conclude con queste parole fumose: «L'ammodernamento delle strutture in Sicilia e nel Mezzogiorno rappresenta uno dei punti più importanti di sviluppo per il ritorno alla crescita non soltanto del Sud e delle Isole e rappresenta una delle priorità del governo». Scusi, come?

Così in via ufficiale e in 360 secondi la decima parte della popolazione italiana, cioè i siciliani, ha appreso che dovrà passare sostanzialmente un'altra generazione prima di parlare concretamente di Ponte e della connessa alta velocità ferroviaria, mentre già dall'inizio di quest'anno la tratta Roma-Napoli è percorsa dai treni veloci in un'ora. Nel frattempo l'autostrada Salerno-Reggio è impercorribile e pericolosissima a causa dei numerosi cantieri che vanno a passo di lumaca, e inoltre alle imboccature dei traghetti di Messina e Villa San Giovanni le società private, che praticamente sono le «padrone dello Stretto», applicano le tariffe in modo incontrollato (leggere a parte la protesta di un autotrasportatore) e dimezzano le «corse» triplicando i tempi di attraversamento. Siamo in mano a un governo che parla di «vie del mare», di porti e interporti quando in Sicilia siamo ancora all'anno zero e non si accorge che un'isola di cinque milioni di abitanti è prigioniera di un'autostrada infernale e dei signori dei traghetti.

Il Ponte risolverebbe tutto, anche perché l'ha chiesto l'Unione europea, che non è l'ultima congrega di imbecilli. Ma il Ponte non si fa in ossequio a Pecoraro Scanio, Diliberto e Rifondazione comunista. Questa è la verità vera.

Il Ponte non è né di destra e né di sinistra, ma è inevitabile ricordare che il governo Berlusconi aveva dato assoluta priorità all'opera nella convinzione che contestualmente anche ferrovie e autostrade avrebbero accelerato programmazione e lavori, per cui nel 2014 i primi treni veloci avrebbero potuto transitare sul Ponte. Ora Rutelli ci dice che il governo verso il 2020 dovrebbe fare arrivare l'alta velocità a Reggio. E poi si immagina che si parlerà di Ponte. Quando, nel 2030? E nel frattempo i due miliardi di euro destinati all'opera - e che dovrebbero essere nella disponibilità della società «Stretto di Messina» - che fine faranno?

Con le sorti della Sicilia sono in molti a giocarci. Secondo l'agenzia di stampa «Il velino», nel 1999, sotto il governo D'Alema, il Cipe incaricò l'advisor «PriceWaterHouseCoopers» di esaminare la fattibilità tecnica ed economica del Ponte. L'advisor si servì della consulenza del Consorzio Istituto superiore dei trasporti (Cisut) costituito dall'Università Mediterranea di cui era rettore il prof. Bianchi, attuale ministro dei Trasporti, e dalla società di traghettamento «Caronte». Non è quindi così irreale pensare - conclude «Il velino» - che «i dati forniti dal Cisut abbiano potuto subire influenza per la semplice esistenza di soggetti in evidente conflitto di interessi». In pratica i dati sulla convenienza del Ponte sono stati forniti da un consorzio dove c'era la Caronte, evidentemente interessata a mantenere il proficuo servizio traghetti sullo Stretto. La conclusione dell'advisor offrì del resto diverse valutazioni senza esprimere un parere sull'utilità del Ponte e suggerendo «soluzioni alternative» come le «vie del mare».

La domanda ora è questa: cosa fare? La risposta è cocente: purtroppo «niente», perché a livello romano la Sicilia non pesa e il governo Cuffaro sull'argomento non ha possibilità di interlocuzione. Il fondatore di Mpa, Raffaele Lombardo, è deciso a dare battaglia per il Ponte, ma su quali leve politiche può agire? Che tipo di pressione si può fare su Prodi? La risposta ancora non la conosciamo.

Attraversare lo Stretto dalla Sicilia costa di più 

Riceviamo e pubblichiamo:

Sono un commerciante costretto a viaggiare dalla Sicilia verso il resto dell'Italia per questioni prettamente lavorative. Vorrei denunciare il fatto che si verifica da circa due mesi relativo al passaggio dello Stretto di Messina e che mi lascia senza spiegazioni.

Precedentemente potevo acquistare il biglietto del traghetto, utile a trasportarmi con il mio mezzo commerciale da una sponda all'altra dell'Italia, per un costo pari a 62 euro, per un mezzo di metri 6, valido per un viaggio di andata e ritorno. La situazione è improvvisamente cambiata a scapito esclusivo dei residenti in Sicilia. Dalla Sicilia possiamo acquistare un biglietto di sola andata, e non più di andata e ritorno, al costo di 33 euro. Una volta arrivati in Calabria (Italia!) se vogliamo ritornare a casa il costo del biglietto arriva a 52 euro.

L'opzione che può abbassare la spesa consiste nel fare il biglietto di andata e ritorno esclusivamente nei punti vendita della Calabria, al costo di 62 euro o 70 euro (il presso varia in base al punto vendita in cui si fa il biglietto).

La realtà è la seguente: un siciliano, o comunque chi parte dalla Sicilia, può acquistare la corsa di sola andata, e quando vuole rientrare acquista il biglietto con un aumento pari al 40%, oppure lo fa dalla Calabria andata e ritorno, e mantiene un credito pari a una corsa da effettuare entro un mese dalla data di emissione. Se non si intende utilizzare il credito la società garantirebbe un rimborso in misura sconosciuta, chiedendo di avere indietro la copia originale del biglietto a mezzo posta (no raccomandata).

Inoltre è praticamente impossibile utilizzare il call-center della società: una volta presa la linea, si interrompe misteriosamente la comunicazione.

Comunque, una spiegazione di questa disparità che sono riuscito a reperire è che in Calabria la biglietteria è unificata con le Ferrovie dello Stato, in Sicilia no!

Spero che questa mia denuncia possa sollecitare chi di dovere a risolvere tale ingiustizia nei confronti di noi siciliani.

Giuseppe Caruso

Misterbianco (Ct)


Bianchi tra incarichi e conflitto d'interesse  

Tony Zermo

Catania 11.6.06 La manifestazione di lunedì pro-Ponte con diecimila persone e 50 sindaci, oltre al presidente della Regione, è stata sostanzialmente ignorata dai giornali e dalle Tv nazionali ai quali i problemi della Sicilia non interessano per nulla, a meno che non si tratti di fatti di mafia. Da Bruxelles il vicepresidente della Banca europea degli investimenti, Gerlando Genuardi, fa sapere che «il nuovo governo italiano pare abbia accantonato il progetto del Ponte, visto che nessuna richiesta riguardo a finanziamenti ci è stata avanzata nonostante sia inserito nel corridoio Berlino-Palermo»: e quindi per il governo Prodi il discorso Ponte non esiste proprio. In questa stessa pagina pubblichiamo un articolo che spiega come i ponti nel mondo abbiano portato forti fattori di crescita, ma non ci pare che i nuovi governanti abbiano voglia di saperne qualcosa.

E mentre discutiamo di Ponte o non Ponte, non ci accorgiamo che l'economia siciliana è prigioniera dei Signori dei traghetti privati. Lasciamo stare il fatto che il sindaco di Messina Francantonio Genovese sia comproprietario della società di traghetti e quindi si trova in pieno conflitto di interessi (dovrebbe dimettersi o stare zitto, altro che indignarsi per la manifestazione indetta lunedì dal Movimento per l'autonomia). Lasciamo stare che il nuovo ministro dei Trasporti Alessandro Bianchi, essendo stato consulente (pagato) per fornire dati sul rapporto costi/ricavi e sull'attività dei traghetti privati, si trova in posizione di sospetto interesse privato. Ma qui c'è il fatto gravissimo della strozzatura agli imbarchi. Come sapete, per evitare che i Tir scendessero da Boccette e incasinassero il centro di Messina, causando purtroppo anche incidenti, si è realizzato a sud della città, a Tremestieri, un secondo approdo per i veicoli commerciali. Ma se prima si impiegava un'ora e mezzo, adesso ci vogliono tre ore, e senza ripari sotto il sole.

«Gli autotrasportatori vengono trattati come bestie - dice Giuseppe Bulla, presidente regionale della Fai (Federazione autotrasportatori italiani) -, non ci sono aree di stoccaggio, non ci sono servizi elementari, non ci sono pensiline, non c'è nulla di nulla. Hanno aperto questo terminal di Tremestieri e solo adesso si sono resi conto che non ci sono zone di stoccaggio e che quindi i mezzi si debbono formare sull'autostrada. Si scopre che gli scivoli sono soltanto due e che di conseguenza possono approdare solo due navi. In sostanza si sono raddoppiati i tempi. Poi quando ci sono le mareggiate le correnti forti vanno a sbattere sugli scivoli per cui non si può accedere alle navi e quindi gli automezzi scortati dalla polizia stradale attraversano tutta Messina lungo via La Farina per imbarcarsi dove si è sempre imbarcato. Ora hanno promesso di fare l'area di stoccaggio, ma nell'attesa per evitare intasamenti a Tremestieri abbiamo chiesto di poterci imbarcare via Gazzi, evitando la discesa a Boccetta che tante proteste, anche giuste, ha suscitato. Tenga presente che lì arrivano con i camion tutte le produzioni della Sicilia centro-orientale e che utilizzare i traghetti delle ferrovie è un'ipotesi impraticabile».

Bulla sulla questione ha presentato un ricorso al Tar. Ma non è solo questo, c'è anche una questione di tariffe: «Hanno abolito lo sconto che c'era prima perché vogliono farci pagare il fatto che il percorso da Tremestieri a Villa San Giovanni è più lungo di mezzo miglio. Prima un camion andata e ritorno pagava sui 65 euro, ora si paga 160 euro. In sostanza si sono raddoppiati tempi e tariffe. In queste condizioni come possiamo esportare i prodotti siciliani, quando poi, attraversato a fatica lo Stretto, ci troviamo di fronte un'autostrada Salerno-Reggio Calabria disseminata di cantieri aperti e di deviazioni?».

Qualcuno dirà: ma ci sono le «autostrade del mare», perché non si utilizzano quelle per superare la strozzatura dello Stretto e i disagi dell'autostrada dai lavori infiniti? Bella domanda. La risposta è questa: le «autostrade del mare», almeno per il momento, sono suggestioni per gli allocchi, in realtà non esistono, almeno per quanto riguarda la Sicilia orientale, mentre per la parte occidentale funzionano bene, essendo Palermo ben collegata con Napoli, Livorno, Genova. Il problema mai portato alla luce è che Catania rispetto a Palermo è geograficamente «dietro» di cento miglia.

Questo comporta l'estrema difficoltà di collegamenti via mare con i porti del Tirreno, per cui l'unica linea che funziona veramente è la Catania-Napoli della T.T.Lines (22 nodi orari): in dodici ore, ti imbarchi la sera e arrivi la mattina. Il servizio inaugurato di recente dalla Grimaldi di Napoli riguarda Catania-Civitavecchia-Genova, ma vanno a 16 nodi l'ora e impiegano 20 ore per Civitavecchia e 36 per Genova. E' utile per i prodotti industriali, ma non per merci deperibili. Resta la Tirrenia per la linea adriatica Catania-Ravenna (pure 36 ore). Troppo poco per accontentarsi di queste «autostrade del mare». Ci vorrebbero più navi e più veloci per evitare la dannazione dello Stretto.


L'economia siciliana è prigioniera dei Signori dei traghetti privati.

E ci sono gravi conflitti d'interesse

La Sicilia strangolata dallo Stretto  

Non funziona il nuovo approdo a sud mentre le «autostrade del mare» restano una presa in giro  

La manifestazione di lunedì a favore del Ponte mi ha fatto ricordare un importante convegno organizzato a Messina nel lontano 1974 su «Sicilia Porta d'Europa». cui intervennero costruttori dirigenti dei tre più grandi Ponti del mondo: l'Ingegner Gorge Shoepfer, per il Verrazzano di New York; l'Ingegner Edgard Cardoso, per il ponte sul Tago a Lisbona; l'Ingegner Sile Safetin, per il ponte sul Bosforo a Istanbul che unisce l'Asia all'Europa.

Shoepfer riferì che nel primo anno di esercizio 18 milioni di veicoli utilizzarono il Ponte di Verrazzano, ma aggiunse che negli anni seguenti il traffico continuò a superare tutte le stime preventive e che nel 1972 il traffico stesso superò i 40 milioni di veicoli, qualche cosa come 110 mila veicoli al giorno.

Delle due testate del Ponte, una poggiava su una zona non suscettibile di ulteriori sviluppi, l'altra sull'isola di Staten Island, che proprio il distacco dall'aria della metropoli aveva pesantemente penalizzato. L'Isola subì un improvviso sviluppo. L'incremento della popolazione, che era di 3.000 unità all'anno, saltò a 16.000 unità; le attività commerciali si incrementarono del 50%, le vendite al minuto del 128%, il numero dei lavoratori addetti al commercio aumentò del 42%.

Il pedaggio che all'epoca era di un quarto di dollaro per le autovetture e di due dollari e mezzo per un camion a tre assi rendeva più di 30.000 dollari al giorno.

Lo stesso andamento di grande divaricazione tra previsioni e realtà conseguente alla realizzazione dei Ponti fu riferito dagli altri relatori a proposito delle Regioni interessate dai Ponti sul Tago a Lisbona e sul Bosforo a Istanbul.

Le documentazioni offerte dai dirigenti dei tre Ponti ebbero un forte effetto positivo a favore del Ponte Sullo Stretto Di Messina, sia nel mondo della politica che in quello tecnico scientifico; inoltre i risultati economici della gestione delle tre opere unitamente a quelle dell'impatto sulle Regioni toccate dai Ponti raffreddarono le riserve di molte cassandre dell'economia.

I fatti dimostravano che i Ponti erano, entità, capaci di auto-finanziarsi e la loro realizzazione non pesava negativamente sui bilanci delle Nazioni.

Anche l'attuale presidente del consiglio Prodi, venti anni fa, da presidente dell'Iri, aveva espresso un' opinione favorevole al Ponte sullo Stretto, definendolo una scommessa attraverso cui l'Italia avrebbe potuto accorciarsi di 240 chilometri. La Sicilia, commentava Prodi nell'85, è fortemente ostacolata da questa barriera naturale, ossia dallo Stretto. Con un collegamento stabile - aggiungeva - i costi di trasporto calerebbero del 13% senza parlare della maggiore rapidità degli spostamenti. E a sostegno della Sua tesi, il Professore, portava una valanga di cifre.

Inoltre in una intervista televisiva Prodi, descriveva il Ponte e il connesso potenziamento delle reti autostradali come «una grande opera di interesse collettivo indispensabile perché il nostro sistema economico possa concorrere con le altre Nazioni».

Bisognerebbe concludere dicendo : «favorevoli e contrari, unitevi!»

Sarebbe importantissimo non soltanto per il Sud ma per l'intera Italia e per l'Europa.

on. Dino Madaudo

In attesa del Ponte

In attesa del Ponte

traghetti più veloci e meno costosi

Due parole in merito agli articoli sul Ponte. Non sto qui a discutere i perché del Ponte sì, Ponte no… non usciremmo mai vivi da una tale discussione. Mi preme soltanto tentare di far capire che forse qualche soluzione alternativa c'è. Attualmente si arriva al casello di Messina; si imbocca la tangenziale; si compie un giro turistico della città per raggiungere uno dei due imbarcaderi (non meno di mezz'ora in mezzo al traffico cittadino!); si abbandona l'auto alla biglietteria e si corre, anche sotto la pioggia, verso la stessa, dribblando i questuanti; si affronta la maleducazione dei bigliettai, oltre alle angherie di chi impone prezzi e condizioni assurde al traghettamento (ma questa è un'altra storia) ; si torna all'auto e si attende il traghetto (anche una quarantina minuti, vista la situazione attuale). L'avventura si replica all'imbarco a Villa san Giovanni. Penso che in una transumanza di bovari della steppa ci sia più ordine. Si potrebbe dunque, visto che per il momento il Ponte è in discussione, decentrare gli imbarchi, realizzando nuovi ed efficienti approdi, ovviamente non nel centro città, e con accessi direttamente dalla tangenziale e dall'autostada, impiegare traghetti moderni, più veloci e meno inquinanti, creare un servizio continuo di corse ("shuttle" lo chiamano oltreoceano), stabilire prezzi popolari: perché c'è chi traghetta più volte alla settimana per lavoro. E lasciare mezzo stipendio a "Caron dimonio" non è bello.

Alberto Fichera

Una struttura da cui la Sicilia

potrà avere soltanto benefici

Penso che il ponte sullo stretto possa portare solo benefici alla Sicilia e non vedo perchè tutte le altre infrastrutture non possano camminare di pari passo in modo da portare la Sicilia al pari di altre regioni che hanno alta velocità, autostrade a 6 corsie, acqua, ospedali, eccetera. Per la Sicilia si dice che, prima del ponte, bisogna risolvere il problema dell'acqua e via via gli altri problemi cosicchè i nostri pronipoti forse arriverebbero a vedere il raddoppio della ferrovia. Concordo pienamente con il Presidente Raffaele Lombardo e gli sono vicina in tutte le iniziative che andrà a intraprendere a tale scopo nell'interesse della Sicilia e dei Siciliani

Melina Litrico

L'apertura di Di Pietro

è soltanto una furbata

Di Pietro apre uno spiraglio sul ponte e dichiara che sarebbe opportuno mandare la pratica-ponte al Cipe per un riesame. Ma non era stata appaltata l'opera, avendo la stessa superato tutti gli esami sulla sua fattibilità? Ritengo che la dichiarazione di Di Pietro sia una furbata dal sapore tutto meridionale. All'estero molti osservatori dicono di non capire la politica italiana. Incomincio a pensare che anche per noi italiani esiste lo stesso problema, con la differenza che lo abbiamo in casa.

Saro Pafumi

Perché costretti a scegliere

tra il Ponte e le strade?

I siciliani dovrebbero accontentarsi delle briciole a sentire quanto affermato da Rita Borsellino e dal ministro Alessandro Bianchi. Infatti, l'una ha detto che la Sicilia ha bisogno d'infrastrutture propedeutiche e prioritarie rispetto al Ponte sullo stretto, l'altro sostiene l'inutilità dell'opera. Nessuno ha evidenziato che la Sicilia deve avere un sistema di trasporti intermodali competitivo e all'avanguardia e che non essendo figli di un Dio minore non dobbiamo necessariamente scegliere se avere le strade o il ponte. Il Mezzogiorno non può essere la camera di compensazione delle contraddizioni del nuovo governo. Non c'è sviluppo senza legalità. Ma nemmeno senza infrastrutture e sistemi intermodali nei quali l'alta velocità, il ponte di Messina, le autostrade di terra e di mare, ferrovie, aeroporti, porti sono elementi paritari nell'agenda delle priorità. È fondamentale e non più rinviabile il coinvolgimento delle popolazioni interessate alle grandi opere senza dare più alcun appiglio a professoroni, professorini e girotondini. Le opere costituiscono il patrimonio della nostra terra e della gente che vi abita.

Sergio Mazzaglia

C'erano tante altre cose per cui manifestare

Trovo semplicemente indecoroso, vergognoso e aberrante, il fatto che una certa classe politica siciliana trovi opportuno manifestare in piazza a favore del ponte sullo Stretto e, per converso, non abbia manifestato ugualmente per altre importantissime realizzazioni come il raddoppio della ferrovia Palermo-Messina; il miglioramento del tessuto viario, autostradale e non; la cronica carenza idrica, che affligge diverse città dell'Isola. Altri motivi per manifestare avrebbero potuto trovarsi nelle speculazioni edilizie; negli sprechi dell'Amministrazione Pubblica, quella sanitaria in primis, dove vengono dati premi incentivanti ai manager, anche in presenza di bilanci consuntivi in palese dissesto. Ci sarebbe stata soltanto l'imbarazzo della scelta se proprio si voleva trovare qualcosa per manifestare. Ma questi signori, proprio non provano alcuna vergogna?

Raffaele Raggio

Catania 11.6.2006 Reggio Calabria.  C'è una serie di coincidenze, attorno al progetto del Ponte sullo Stretto di Messina, che potrebbero aiutare a comprendere le posizioni di quanti, come il ministro dei Trasporti Alessandro Bianchi, sono contrari alla realizzazione dell'opera.

Nel 2001, quando il neoministro del Pdci, allora ancora rettore dell'università Mediterranea, fu incaricato di redigere il nuovo Prg di Villa San Giovanni. In quello stesso periodo il Cisut - Consorzio istituto superiore dei trasporti - realizzò il Piano urbano del traffico per la città di Messina, mentre quasi tutti i componenti del suo "comitato scientifico" parteciparono alla redazione del Piano urbano del traffico per Villa. Conviene ricordare che Villa e Messina hanno gravi problemi ambientali a causa del traffico automobilistico che attraversa lo Stretto. A Villa, secondo l'Istat, nell'ultimo decennio si sarebbe registrato un aumento della mortalità per tumore pari al 70 per cento rispetto al decennio precedente. Nel 2001 per Messina e nel 2002 per Villa il governo dichiarò lo "stato di emergenza ambientale". La successiva ordinanza di Protezione civile recepì per intero la delibera del Consiglio comunale di Villa che stabiliva sia il tipo di opere da realizzare, sia le priorità. Con la stessa ordinanza, oltre a nominare il prefetto della provincia di Reggio Calabria (all'epoca D'Onofrio) commissario delegato per l'attuazione delle opere urgenti e indifferibili da realizzarsi a Villa, venne nominato coordinatore tecnico proprio Alessandro Bianchi.

Dalle progettazioni sviluppate nell'ambito del comitato tecnico coordinato da Bianchi emerge che la delibera del consiglio comunale venne completamente disattesa, specie nella parte in cui chiedeva di restituire alla città significative aree attualmente utilizzate dalle compagnie di navigazione Caronte, Tourist e Rfi, che avrebbero dovuto essere spostate fuori dal centro urbano. Ma il comitato tecnico privilegiò un "disegno progettuale" che favoriva la velocizzazione delle operazioni di imbarco/sbarco.

A questo punto la vicenda del ponte si intreccia con Calciopoli.

Dalle intercettazioni, emerge infatti che il presidente del Messina calcio, Pietro Franza, la cui famiglia è proprietaria della Tourist Ferry Boat, si sarebbe rivolto a Luciano Moggi per ottenere un incontro con il prefetto di Reggio Calabria (allora D'Onofrio) attraverso un personaggio autorevole che gli consentisse non solo di essere "ascoltato" ma anche "sentito" dal prefetto.

Moggi, attraverso il capo segreteria del ministro dell'Interno, Vincenzo Corrias, avrebbe fissato l'incontro a Franza, rassicurandolo sul fatto che D'Onofrio "si sarebbe messo a disposizione". Sentito dai magistrati, Franza avrebbe detto di aver voluto incontrare il prefetto D'Onofrio per questioni di lavoro connesse con la catena alberghiera del proprio gruppo (Framon), e non già per fatti legati al calcio. Tuttavia i magistrati su tale giustificazione hanno mantenuto alcune riserve. In realtà, proprio all'epoca cui si riferiscono le intercettazioni, il prefetto di Reggio Calabria era a capo del Comitato che avrebbe dovuto realizzare importanti opere infrastrutturali per eliminare l'inquinamento acustico e atmosferico a Villa con una spesa di cinquanta miliardi di lire. Comitato, il cui coordinatore tecnico risultava e risulta essere Alessandro Bianchi, neoministro dei Trasporti, e alla cui redazione progettuale, a vario titolo, parteciparono elementi del comitato scientifico del Consorzio istituto superiore trasporti, i cui soci sono l'Università della Calabria, l'Università di Reggio retta fino a pochi giorni fa da Bianchi, e la società di traghetti Caronte Spa.

Per questo il leader dell'Mpa Raffaele Lombardo ha recentemente accusato Bianchi di "conflitto d'interesse" nella vicenda del ponte.
 

Tony Zermo

La manifestazione di lunedì 5.6.2006 pro-Ponte con diecimila persone e 50 sindaci, oltre al presidente della Regione, è stata sostanzialmente ignorata dai giornali e dalle Tv nazionali ai quali i problemi della Sicilia non interessano per nulla, a meno che non si tratti di fatti di mafia. Da Bruxelles il vicepresidente della Banca europea degli investimenti, Gerlando Genuardi, fa sapere che «il nuovo governo italiano pare abbia accantonato il progetto del Ponte, visto che nessuna richiesta riguardo a finanziamenti ci è stata avanzata nonostante sia inserito nel corridoio Berlino-Palermo»: e quindi per il governo Prodi il discorso Ponte non esiste proprio. In questa stessa pagina pubblichiamo un articolo che spiega come i ponti nel mondo abbiano portato forti fattori di crescita, ma non ci pare che i nuovi governanti abbiano voglia di saperne qualcosa.

E mentre discutiamo di Ponte o non Ponte, non ci accorgiamo che l'economia siciliana è prigioniera dei Signori dei traghetti privati. Lasciamo stare il fatto che il sindaco di Messina Francantonio Genovese sia comproprietario della società di traghetti e quindi si trova in pieno conflitto di interessi (dovrebbe dimettersi o stare zitto, altro che indignarsi per la manifestazione indetta lunedì dal Movimento per l'autonomia). Lasciamo stare che il nuovo ministro dei Trasporti Alessandro Bianchi, essendo stato consulente (pagato) per fornire dati sul rapporto costi/ricavi e sull'attività dei traghetti privati, si trova in posizione di sospetto interesse privato. Ma qui c'è il fatto gravissimo della strozzatura agli imbarchi. Come sapete, per evitare che i Tir scendessero da Boccette e incasinassero il centro di Messina, causando purtroppo anche incidenti, si è realizzato a sud della città, a Tremestieri, un secondo approdo per i veicoli commerciali. Ma se prima si impiegava un'ora e mezzo, adesso ci vogliono tre ore, e senza ripari sotto il sole.

«Gli autotrasportatori vengono trattati come bestie - dice Giuseppe Bulla, presidente regionale della Fai (Federazione autotrasportatori italiani) -, non ci sono aree di stoccaggio, non ci sono servizi elementari, non ci sono pensiline, non c'è nulla di nulla. Hanno aperto questo terminal di Tremestieri e solo adesso si sono resi conto che non ci sono zone di stoccaggio e che quindi i mezzi si debbono formare sull'autostrada. Si scopre che gli scivoli sono soltanto due e che di conseguenza possono approdare solo due navi. In sostanza si sono raddoppiati i tempi. Poi quando ci sono le mareggiate le correnti forti vanno a sbattere sugli scivoli per cui non si può accedere alle navi e quindi gli automezzi scortati dalla polizia stradale attraversano tutta Messina lungo via La Farina per imbarcarsi dove si è sempre imbarcato. Ora hanno promesso di fare l'area di stoccaggio, ma nell'attesa per evitare intasamenti a Tremestieri abbiamo chiesto di poterci imbarcare via Gazzi, evitando la discesa a Boccetta che tante proteste, anche giuste, ha suscitato. Tenga presente che lì arrivano con i camion tutte le produzioni della Sicilia centro-orientale e che utilizzare i traghetti delle ferrovie è un'ipotesi impraticabile».

Bulla sulla questione ha presentato un ricorso al Tar. Ma non è solo questo, c'è anche una questione di tariffe: «Hanno abolito lo sconto che c'era prima perché vogliono farci pagare il fatto che il percorso da Tremestieri a Villa San Giovanni è più lungo di mezzo miglio. Prima un camion andata e ritorno pagava sui 65 euro, ora si paga 160 euro. In sostanza si sono raddoppiati tempi e tariffe. In queste condizioni come possiamo esportare i prodotti siciliani, quando poi, attraversato a fatica lo Stretto, ci troviamo di fronte un'autostrada Salerno-Reggio Calabria disseminata di cantieri aperti e di deviazioni?».

Qualcuno dirà: ma ci sono le «autostrade del mare», perché non si utilizzano quelle per superare la strozzatura dello Stretto e i disagi dell'autostrada dai lavori infiniti? Bella domanda. La risposta è questa: le «autostrade del mare», almeno per il momento, sono suggestioni per gli allocchi, in realtà non esistono, almeno per quanto riguarda la Sicilia orientale, mentre per la parte occidentale funzionano bene, essendo Palermo ben collegata con Napoli, Livorno, Genova. Il problema mai portato alla luce è che Catania rispetto a Palermo è geograficamente «dietro» di cento miglia.

Questo comporta l'estrema difficoltà di collegamenti via mare con i porti del Tirreno, per cui l'unica linea che funziona veramente è la Catania-Napoli della T.T.Lines (22 nodi orari): in dodici ore, ti imbarchi la sera e arrivi la mattina. Il servizio inaugurato di recente dalla Grimaldi di Napoli riguarda Catania-Civitavecchia-Genova, ma vanno a 16 nodi l'ora e impiegano 20 ore per Civitavecchia e 36 per Genova. E' utile per i prodotti industriali, ma non per merci deperibili. Resta la Tirrenia per la linea adriatica Catania-Ravenna (pure 36 ore). Troppo poco per accontentarsi di queste «autostrade del mare». Ci vorrebbero più navi e più veloci per evitare la dannazione dello Stretto.


Un treno veloce tra Palermo

 

Un treno veloce tra Palermo

e Catania taglierebbe il traffico sulla A19 evitando decine di incidenti mortali

Non tagliate l'alta velocità interna  

Timori per la sorte della linea Tav Palermo-Catania-Messina, che dovrebbe costare tre miliardi e mezzo 

Michele Russotto

Palermo. Si chiama raddoppio del passante ferroviario. Ma si legge anche metropolitana ferroviaria di Palermo. Che è cosa diversa della metropolitana leggera sotterranea automatica, il cui progetto di fattibilità del primo tratto di circa 8 chilometri (Oreto-Notarbartolo) dovrebbe essere consegnato al Comune entro questa estate. Passante ferroviario, ovvero raddoppio della linea ferrata Palermo-Aeroporto Punta Raisi, che attraverserà la città da una periferia all'altra per ricongiungersi al tratto Carini-Punta Raisi già in funzione. Forse la più grande opera progettata per Palermo per un maxi appalto di 623 milioni di euro, che diventano 978 milioni, considerati tutti gli altri interventi.

Un progetto antico che ha avuto una gestazione laboriosa e uno sbocco ancora più difficile per i vari comitati cittadini di protesta, preoccupati dei disagi che l'opera, sicuramente invasiva, creerà. Tutti protestano per i tratti dove i lavori verranno effettuati a cielo aperto e a capeggiare alcuni di questi comitati, col solito populismo, è l'ex sindaco Leoluca Orlando che, tempo fa, si è rivolto anche al presidente della Repubblica per chiedere l'intervento della protezione civile. Sostiene che per Palermo si tratta di «un disastro annunciato».

Fatto sta che l'inizio dei lavori è stato rinviato di mese in mese e adesso di anno in anno. Perché il mega appalto è stato aggiudicato dalla Italferr spa, per conto de Rfi, addirittura nel novembre del 2004, per un importo contrattuale di 493 milioni. Se lo è aggiudicato un'associazione temporanea di imprese composta dal "Consorzio stabile Sis", "Sintagma" di Perugia e "Geodata" di Torino. Una delle tre ditte riunite nella sigla "Sis", capofila dell'associazione di imprese, è il colosso spagnolo "Sacyr" che, tra l'altro, è partner della "Impregilio", guarda caso, nella gara per il punte sullo Stretto. L'appalto è stato aggiudicato - ed è la prima volta che avviene nell'Italia meridionale - ricorrendo alla figura del "general contractor".

L'ultima scadenza per l'inizio dei lavori adesso è stata fissata dal Comune, genericamente entro l'estate. E da quella data le opere dovranno essere realizzate in 1.670 giorni. Il finanziamento proviene in parte da fondi statali e in parte dai contratti di programma stipulati dal Comune di Palermo con la Provincia, la Regione, Rfi e gli altri comuni dell'hinterland. Oltre alla costruzione del secondo binario che, come si può capire, avrà effetti positivi sulla mobilità urbana ed extraurbana (se oggi il treno dalla stazione centrale a Punta Raisi impiega un'ora, col doppio binario il tempo potrà essere dimezzato), verranno effettuati lavori di adeguamento nelle nove fermate esistenti, e ne verranno realizzate altre nove. L'opera fa parte di quel piano integrato per il trasporto pubblico di massa che sta portando avanti la giunta Cammarata e che prevede anche la chiusura dell'anello ferroviario, la cui gara è stata bandita nei giorni scorsi, le tre linee tranviarie (anche qui i lavori dovrebbero partire entro l'estate) e la metropolitana leggera, per la quale, come dicevamo, il Comune aspetta la consegna dello studio di fattibilità per il primo tratto.

 Gaetano Mineo

Palermo.  Negli ultimi anni la rete ferroviaria italiana - finalmente - ha deciso di scommettere sulla Sicilia. E così Rfi e Regione siciliana programmano nell'Isola investimenti per un totale di 16 miliardi di euro. Via libera, quindi a una serie di cantieri e progetti indispensabili al miglioramento e a una maggiore efficienza dei binari siciliani. Un passo obbligato dal libero mercato. Forse anche dovuto a un'Isola che, tra le altre cose, ancora possiede strade ferrate tracciate dai Borboni.

In ogni caso, adesso c'è un piano concreto di investimenti e che interessa gran parte della rete ferroviaria siciliana.

Tra i cantieri principali, il completamento del raddoppio della tratta Palermo-Messina. In dettaglio, dei 225 chilometri dell'intera linea Tirrenica isolana, 98 sono già a doppio binario. Di questi - ricordiamo - gli ultimi 20 chilometri sono stati attivati lo scorso gennaio e collegano Patti a Terme Vigliatore. In programma, invece, il tratto Fiumetorto-Castelbuono. Il raddoppio di questa parte di strada ferrata interesserà anche i lavori della nuova fermata di Cefalù (progettata interamente in sotterraneo). In soldoni, il costo del raddoppio della tratta Fiumetorto-Cefalù-Castelbuono ammonta a 990 milioni mentre per il 2012 è in programma l'intera attivazione della linea. Sempre in merito alla "Tirrenica", è in agenda il cantiere per il raddoppio Patti-Castelbuono (investimento di circa 3,9 miliardi). Con questo intervento, nei collegamenti tra Messina e Palermo, aumenterà, tra l'altro, la capacità di traffico (a regime sarà di circa 220 treni/giorno). Inoltre, saranno ridotti di circa un'ora anche i tempi di percorrenza tra i due capoluoghi. A completare l'intera linea, i lavori sulla porzione di binari Patti-Messina. Qui è in corso la realizzazione delle opere civili della tratta Rometta Messinese-Villafranca Tirrena (attivazione entro fine mese). Nel dicembre 2004 è stato attivato il raddoppio San Filippo del Mela-Pace del Mela, mentre l'entrata in esercizio del tratto di linea Pace del Mela-Rometta è prevista per il 2008.

Altro importante cantiere è quello della Messina-Catania. L'intervento prevede, tra l'altro, il raddoppio del tratto di circa 42 chilometri tra Fiumefreddo e Giampilieri, oltre al riassetto della stazione di Letojanni e l'interconnessione con la stessa stazione e i treni metropolitani a servizio del futuro collegamento Aeroporto di Catania Fontanarossa.

Costo dei lavori, 1,9 miliardi. Mentre si stima di attivare il raddoppio Fiumefreddo-Giampilieri entro il 2015.

E ancora: lavori per la velocizzazione della linea Palermo-Agrigento. In merito, sono stati ultimati, nella prima metà del 2004, le opere sul tratto di linea Montemaggiore-Roccapalumba. Mentre il completamento dei lavori è previsto per la fine del 2008 a fronte di un investimento di 163 milioni.

Cantieri di lavoro in programma anche sui binari della Palermo-Trapani e per i quali già il Cipe ha finanziato con 1,7 milioni la progettazione preliminare. Oltre ai tempi necessari per l'affidamento e l'esecuzione dei lavori, il tempo stimato per la realizzazione degli interventi (432 milioni) è di 6/8 anni, dicono da Rfi.

Lungo, come detto, l'elenco delle opere che si stanno realizzando in Sicilia. Ma in aggiunta, vogliamo ricordare anche i binari della Gela-Catania e della Siracusa-Gela. Nel dicembre 2004 è stato approvato dal Cipe lo studio di fattibilità per il potenziamento della linea Siracusa-Gela. Anche in questo caso, il tempo stimato per la realizzazione degli interventi è di 6/8 anni, per un costo complessivo dell'intervento di 183 milioni. Attualmente, è in corso di redazione il relativo progetto preliminare.

Andrea Lodato

Catania 18.6.2006.  Il ritmo impossibile di una tornata elettorale ogni sei mesi. I conti che non tornano per il lascito pesante del governo di centrodestra. Le prospettive che stentano ad intravedersi per il Sud, e la Sicilia in particolare, anche dopo quasi sessanta giorni di governo dell'Unione. Enzo Bianco avrà pure una proverbiale pazienza politica, un'innata moderazione ed un temperamento che gli ha consentito per anni di fare il sindaco di Catania, il presidente dei sindaci italiani, il ministro dell'Interno e il presidente della Commissione per i Servizi segreti raccogliendo, spesso, anche apprezzamenti bipartisan. Ma, oggi, proprio pazienza, moderazione e temperamento suggeriscono a Bianco una prima, precisa ed inequivocabile presa di posizione. «Perché la Sicilia - dice subito chiaro e tondo - non può continuare a pagare errori del passato, e tanto meno tentennamenti e balbettii del presente». Sconti a nessuno, disse Bianco all'indomani delle elezioni e dopo il varo del governo Prodi. E comincia a presentare qualche conto. Ripartendo dall'ingolfamento elettorale.

«A Catania - spiega - siamo in pratica in campagna elettorale dalla primavera dello scorso anno. Uno stress, che ha anche fatto crollare l'interesse e la partecipazione dei cittadini».

Ma votare, comunque, si deve. E qui Bianco parte dal referendum sulla devolution.

«Avete visto chi sta alzando i toni sino a parlare di battere strade non democratiche se il referendum dovesse bocciare la devolution? Ovviamente Bossi. Il quale punta sul voto del Nord per salvare questa legge. Basterebbe questo per far capire ai siciliani, e a tutti i meridionali, che lo stravolgimento della Costituzione è una minaccia per il Mezzogiorno, per le sue speranze di sviluppo, per la sanità, per l'istruzione. Bisogna andare a votare, chiediamo un supplemento di buona volontà, ma è per la causa delle nostre regioni che ci vuole il No alla devolution».

No, dice Bianco, perché questa devolution si aggiungerebbe ad una situazione che bisogna definire drammatica, per non nascondere nulla. Tanto più preoccupante, aggiungiamo, per le politiche viste e per quelle che stiamo vedendo. Capace in passato di strappare consensi tanto nel centrodestra quanto nel centrosinistra, oggi tocca a Bianco alzare la voce. Riprendendo anche, se vogliamo, anche una parte di quella battaglia per la Sicilia che il nostro giornale sta conducendo da settimane.

«Siamo usciti da cinque anni di governo di centrodestra, cui la Sicilia concesse il famoso 61 a 0 di deputati e con tre, quattro ministri e tanti sottosegretari dentro. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Tante cose scritte nel libro dei sogni, ma realizzazioni poche. Siamo partiti da questi dati oggettivi, deludenti. Dovevamo, però, ripartire con grande determinazione, con progetti. Romano Prodi ha voluto che la campagna elettorale cominciasse da Catania, proprio per confermare quell'impegno. A che punto siamo? Ad un punto che mi fa sentire oggi un po' deluso, debbo confessarlo con sincerità. Perché non ci sono ministri siciliani nel governo. Non era un aspetto decisivo, ho detto, anche se la cosa aveva lasciato un po' di insoddisfazione. Ma dopo questa scelta è arrivata quella di vice ministri, due, che aspettano ancora deleghe forti. Sennò cosa sono stati, contentini dati ai partiti o agli uomini? Non è di questo che abbiamo bisogno in Sicilia. Insomma in questo momento sono perplesso, sinceramente perplesso».

Perplesso, ma fiducioso. Lasciamo riemergere per un attimo quell'ottimismo costruttivo di Bianco, che è indispensabile per spiegare se esiste un itinerario alternativo che presenti per la Sicilia prospettive incoraggianti. Magari con un impegno allargato davvero a tutte le forze politiche.

«Allora dico che oltre ad essere certo che Prodi rispetterà tutti gli impegni, c'è già il lavoro serio e rigoroso che sta facendo il ministro Padoa Schioppa che è una garanzia per la ripresa del paese». Nella ripresa del paese e nelle promesse di Prodi il taglio del costo del lavoro. Ma il cuneo deve essere uguale per tutto il paese o ci può essere qualcosa che somigli ad un federalismo fiscale già qui?

«Io dico che ci deve essere, perché se il taglio può arrivare ad una media del 4% è giusto che sia del 3 al nord e del 5/6 in Sicilia. Per questo credo debba battersi anche Confindustria, perché sarebbe fondamentale per dare ossigeno alle nostre imprese».


Parliamo di Ponte: c'è chi si alza una mattina e annuncia il no, il Ponte mai. Bianco che dice oggi? «Quello che dicevo ieri, non cambio opinione. Cioè dico che è assurdo che ci sia una posizione contro il Ponte frutto solo di una visione ideologica. E che c'entra, scusate? Qui bisogna valutare l'importanza e l'utilità dell'opera. Poi chiediamo con un referendum ai siciliani se vogliono o no quest'opera. Se il Ponte serve, come è servito in Danimarca o a Istanbul, bisogna battersi per farlo. Io chiederò ad intellettuali, uomini di cultura, ma anche all'intera classe politica siciliana di portare avanti un dibattito laico sul tema, senza pregiudizi. Per decidere noi se il Ponte si deve fare oppure no».

Bianco apre. Senza lasciarsi sfiorare dall'idea di inciucio, e nemmeno di terzo polo. Ma è il momento di allargare il gioco, perché divisa la Sicilia 'sta partita rischia di perderla tutta. Altro che Ponte.

«Certo, non c'è solo il Ponte. E il Ponte da solo non serve. Ci sono strade e autostrade da fare o finire, ferrovie da velocizzare, porti ed interporti. C'è l'acqua da far arrivare nelle case di tanti siciliani. Bisogna che queste battaglie diventino le battaglie della Sicilia e spero che collabori costruttivamente anche il centrodestra, ovviamente a condizione che nessuno pensi di usare strumentalmente questa sponda per attaccare il governo Prodi. Qui è per la Sicilia che dobbiamo lavorare, non contro qualcuno». Torna l'anima dell'amministratore e del presidente dell'Anci, quella struttura trasversale di sindaci che fece valere in passato spesso le ragioni delle città su quelle del governo nazionale. E Bianco guarda anche all'azione che può avviare il nuovo governo Cuffaro.

«Anche il coinvolgimento di questa rete di sindaci di ogni colore politico ritengo sia importante, per lanciare un'azione che aiuti la Sicilia. Tutta la Sicilia. Possiamo lavorare anche valutando le scelte che farà il governo regionale: noi chiediamo che siano scelte trasparenti che favoriscano lo sviluppo, il lavoro, la crescita anche della vivibilità della Sicilia e delle nostre città. Anzi io spero proprio che dalla Sicilia nasca una spinta di cambiamento, una profonda trasformazione anche del centrosinistra, un Partito Democratico che non sia solo la somma di Margherita e DS, che parli di valori come merito, qualità, sviluppo. Insomma ci vuole coraggio e fantasia, oggi più che mai. La Sicilia deve riprendere a correre. Noi siciliani per primi. Senza le arrendevolezze da ascari di questi 5 anni di centrodestra, ma con tutta la forza necessaria per rompere questa cappa di distrazione che sembra scesa sull'isola. Io sono pronto a far sentire la mia voce».


«Ponte, perché sì»   
Nostra intervista al sottosegretario Gentile   
G. Lazzaro Danzuso   
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Il governo Prodi pare proprio avercela con la Sicilia ed i siciliani. Che dire altrimenti del fatto che non vi è nemmeno un ministro di questo governo che proviene dall'isola? E sarà forse anche per questo che non ci si preoccupa delle emergenze? O perché il colore politico del governatore è opposto a quello del governo? I collegamenti per una isola, sono essenziali, come peraltro dimostra la richiesta inoltrata da tempo da Cuffaro di ottenere un potenziamento dei trasporti per fare fronte al periodo estivo. Cosa accade invece? Che Roma taglia i fondi, penalizzando solo la Sicilia. In questo modo saltano 4 corse su 6 per Pantelleria. Va bene che questo è il governo anti-Ponte sullo Stretto, ma, francamente, arrivare pure a tagliare i collegamenti marittimi pare proprio una esagerazione. Questo governo evidentemente ha messo la Sicilia nel mirino.

 

il ministro si ricrede e riapre le speranze   
Di Pietro: «Ripensiamo al Ponte»   

 

giuseppe testa
Catania 14.7.06. Non era difficile prevedere che la politica estera sarebbe stata il vero banco di prova per il governo Prodi. Il voto sulla missione in Afghanistan, previsto per lunedì prossimo, rappresenta uno snodo: non altrimenti deve intendersi il richiamo del presidente Napolitano secondo cui, se la maggioranza non si mostrasse compatta, potrebbe sorgere un problema per la sopravvivenza dell'esecutivo. In altri termini, Prodi deve dimostrare che il suo non è un «governicchio», sorretto nell'occasione dal pronto soccorso dell'opposizione.
Non è per caso che il capo dello Stato, denunciata la gravità del problema, sia sia limitato ad aggiungere: «A me tocca solo di aspettare e stare a vedere». In sostanza: se, dopo aver «aspettato» l'esito del voto, Napolitano «vedesse» che la maggioranza non è più tale, non potrebbe che trarne le conseguenze. Perché un governo che, per far approvare un decreto fondamentale di politica estera, ha bisogno di far ricorso all'opposizione, di fatto è già un governo di minoranza.
D'Alema l'ha capito prima di tutti. Fin dal primo istante ha chiesto con insistenza un voto compatto del centrosinistra, al punto di mettere a disposizione il suo stesso mandato agli Esteri. Diverso, invece, il comportamento di Prodi. Non ha drammatizzato le divisioni all'interno della coalizione - ancora ieri nettissime di fronte all'avvertimento del Quirinale - lasciando intendere di poter sempre sciogliere la questione ponendo la fiducia. Soluzione estrema, non brillante: tagliando il nodo gordiano, non eliminerebbe il viluppo tra le istanze moderate dei Ds e quelle oltranziste della sinistra radicale. Ed è, al contrario, proprio questa la madre di tutte le questioni.
Se Napolitano impone al premier di rinunciare ai suoi sorrisi per affrontarla, non meno impellente è per D'Alema di sottrarsi al malmostoso gioco del dialogo a tutti i costi con certi ex compagni del Pci verso i quali i suoi rapporti non sono puramente politici, ma anche sentimentali, forse viscerali. Al punto in cui stanno le cose, non pare ci sia altra via di scelta: si discuta anche con asprezza, si sostengano le proprie convinzioni, ma poi in Parlamento, piaccia o no, tutti si adeguino al punto di vista della maggioranza.
Nessun governo può permettersi di rincorrere alleati che, rappresentando posizioni del tutto minoritarie, fanno valere comunque una sorta di diritto di veto. Prodi e D'Alema hanno il dovere di capire una volta per tutte fino a che punto si vuol condurre il gioco. Se la maggioranza, di fatto, non esiste, allora non resta che prenderne atto.
In caso contrario, anche ammesso che si riuscisse con qualche trucco (i nostri politici sono sempre molto abili a trovarne) a superare il blocco attuale, magari per andare avanti sino al prossimo inciampo, l'esecutivo Prodi rimarrebbe pur sempre in balia di un'alea che, nelle attuali condizioni interne ed internazionali, non potrebbe gioverare al Paese, ma solamente danneggiarlo.

Parla per la prima volta il «general contractor»   
Impregilo: «Pronti per il Ponte»   
«Attendiamo rispettosamente le decisioni del governo». La Uil trasporti scrive a Prodi   

Il «general contractor» non molla
Impregilo, «general contractor» del Ponte: «L'opera è importante per il Paese - ha detto l'ad Albert Lina -. Abbiamo un contratto valido e c'è attesa rispettosa delle decisioni del governo».
Pecoraro Scanio: «Meglio le maree»
«Destinare i soldi a ricavare energia dalle maree», ha detto il ministro dell'Ambiente Pecoraro Scanio. Replica dell'on. Musumeci: «Cambiare invece il ministro».
Uil: ecco perché il Ponte si deve fare
«E' un'opera indispensabile per il Sud e porta lavoro».
Capodicasa e le opere propedeutiche
«Sono parte del progetto del Ponte, non sono lavori diversi»
Tony Zermo3

Tony Zermo
Per la prima volta in assoluto fa sentire la sua voce l'Impregilo, il «general contractor» che ha vinto l'appalto di 3,9 miliardi per la realizzazione del Ponte. «Il Gruppo Impregilo crede ancora alla possibilità di realizzare il Ponte sullo Stretto, forte del contratto siglato, anche se si rimette alle decisioni del governo per eventualmente discutere circa i tempi della realizzazione - ha detto l'amministratore delegato di Impregilo Alberto Lina, durante la conferenza stampa di presentazione dei conti semestrali -. Un contratto è un contratto, se il governo vuole rivedere le priorità se ne può parlare. Nel nostro portafoglio ordini è contemplato il Ponte di Messina, siamo una società di ingegneri, a noi piace costruire, parlare di penali non spetta noi. E' il governo che gestisce il contratto. Se parte, ci muoviamo, altrimenti si vede cosa fare. Noi speriamo che il Ponte si costruisca, è importante per il Paese. Pertanto c'è attesa rispettosa verso il governo. Debbono decidere loro come procedere, noi riteniamo di non voler affrettare alcuna decisione e di non voler creare un clima conflittuale. Pensiamo di avere un contratto valido, abbiamo fatto ingenti investimenti, altri sono previsti da fondi europei e sarebbe veramente negativo perderli: discutiamo quindi su priorità e tempi. C'è materia per trovare un'intesa per sviluppare le infrastrutture del Paese ed evitare una diatriba con avvocati sulle penali. Si può arrivare anche a questo, ma speriamo di no».
La posizione della Impregilo, che nel frattempo si sta impegnando nella stesura del progetto definitivo e cantierabile, è di buonsenso. Si delinea questa via praticabile: intanto la Impregilo ultima il progetto, diciamo entro sei mesi, poi il progetto passa all'esame del Cipe, e possono trascorrere altri sei mesi. Nel frattempo è sperabile che si trovi un accordo per realizzare la grande infrastruttura.
Mentre oggi il presidente della Regione Cuffaro va a Bruxelles per incontrare il vicepresidente della Commissione europea Franco Frattini e il «tutor» del «Corridoio 1 Berlino-Palermo», si prepara per martedì 19 la manifestazione di Roma promossa dall'Mpa di Raffaele Lombardo (i «mille» - ma saranno molti di più - partiranno anche con una nave). Da Messina, organizzati da Cateno De Luca (Mpa) partiranno dieci pullman. «A qualcuno - ha detto De Luca - il Ponte dà fastidio perché provocherebbe l'inversione di rotta dei capitali dal Nord verso Sud, con il Ponte più lungo del mondo che anche gli esquimesi verrebbero a vedere».
C'è dunque un pressing sul governo Prodi che trova anche l'appoggio del segretario generale dell'Uiltrasporti, Giuseppe Caronia (come sapete, sia Uil che Cisl nazionali e regionali sono d'accordo sulla realizzazione dell'opera). «Non è possibile pensare ad un'Europa unita - ha scritto Caronia al presidente Prodi e ai ministri Di Pietro, Bianchi e Padoa Schioppa - senza realizzare una seria politica di integrazione complessiva a livello comunitario che ponga al centro del dibattito anche il problema del Ponte sullo Stretto di Messina, la sua utilità per lo sviluppo del Mezzogiorno e per la centralità strategica della Sicilia nel bacino del Mediterraneo. Il Ponte, oltre a permettere il completamento del Corridoio 1 Berlino-Palermo, avrebbe anche un elevato effetto indotto determinato da un forte rilancio delle infrastrutture, in assenza delle quali, questo sì, si produrrebbe il risultato di un'ennesima cattedrale nel deserto. Appare quindi pretestuosa e strumentale quella corrente di pensiero che pretenderebbe di trasferire le risorse finanziarie stanziate per il Ponte alla realizzazione di infrastrutture che, a loro volta, senza il Ponte, risulterebbero pressoché inutili».
«La realizzazione del Ponte - ha aggiunto Caronia - prevede per i sei anni occorrenti 40 mila posti di lavoro in aggiunta a quelli necessari per l'inevitabile sviluppo delle infrastrutture. Progresso, sviluppo e benessere sarebbero dunque il prodotto di quest'opera. Non può pertanto un Paese civile rinunciarvi a causa di quello che sembra essere un vero e proprio conflitto ideologico. Ci auguriamo che a sostegno del Ponte si realizzi un'ampia convergenza di tutti i parlamentari del Mezzogiorno, sia della coalizione di governo e sia dell'opposizione».
Il ministro dell'Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio che si trova in Sicilia ha fatto una dichiarazione di tutt'altro tenore: «La proposta che hanno fatto alcune forze politiche, tra cui la mia, è quella di cambiare la ragione sociale della società Stretto di Messina Spa in modo da utilizzare i soldi per altre infrastrutture per il Sud, magari rilanciando alcune iniziative come quella di produrre energia dalle maree. Comunque il Ponte non è nel programma della coalizione che ha vinto le elezioni e che governa. La manifestazione che terranno a Roma non ha senso». La replica di Nello Musumeci, leader di Alleanza siciliana, è stata secca: «Non bisogna cambiare la ragione sociale della società Stretto di Messina, bisogna cambiare il ministro dell'Ambiente».

Capodicasa «Ecco i lavori propedeutici»   

Il viceministro alle Infrastrutture Angelo Capodicasa, da noi richiesto di un chiarimento sulle «opere propedeutiche» al Ponte sullo Stretto di cui ha parlato l'altro giorno, ha precisato: «Sono opere che fanno parte del progetto complessivo del Ponte, non sono lavori estranei al progetto, né dei diversivi alternativi. Ponte o non Ponte, in ogni caso si dovevano fare perché sono utili al territorio. Se poi il Ponte si farà, allora troverà già alcune di queste opere realizzate in base al progetto, se non si farà resteranno al servizio dell'area dello Stretto. Parlo di vie d'accesso al Ponte, di rete ferroviaria che deve transitare sul Ponte, di sopraelevate. L'utilizzazione di due miliardi già previsti per questi lavori non danneggiano dunque il progetto complessivo del Ponte sullo Stretto di Messina, semmai sarebbero di concreto notevole ausilio».
T. Z.

LA UIL TRASPORTI

LA UIL TRASPORTI
Ecco le ragioni
per realizzare l'opera
In una lettera aperta al premier Prodi e ai ministri Bianchi, Di Pietro e Padoa Schioppa, la Uil Trasporti esprime le sue ragioni a favore del Ponte. Eccone i punti principali:
Non è possibile pensare ad una Europa unita a tutti i livelli, senza realizzare una seria politica di integrazione complessiva a livello comunitario, che ponga al centro del dibattito anche il problema del Ponte sullo Stretto, la sua utilità per lo sviluppo del Mezzogiorno e per la centralità strategica della Sicilia nel bacino del Mediterraneo. In tale contesto, il Ponte assume un ruolo strategico: per la Sicilia e per il superamento della sua condizione di isolamento, geografico e sociale, attraverso l'integrazione delle due province Messina e Reggio Calabria, con la realizzazione di un collegamento stabile che decongestioni il traffico marittimo e che velocizzi ed ottimizzi oltre che i collegamenti, la conoscenza, la comunicazione, lo scambio sociale, il progresso; per la realizzazione dell'allacciamento al Corridoio 1 internazionale ferroviario Berlino-Palermo.
Il Ponte quindi va visto positivamente come nodo nevralgico dell'intero sistema anche per l'effetto indotto e determinato di un forte rilancio delle infrastrutture in assenza delle quali si produrrebbe il risultato di una ennesima cattedrale nel deserto:
1) sul versante continentale, con il potenziamento ed ammodernamento della statale 106 Ionica con una nuova autostrada che colleghi, attraverso il Ponte, la Sicilia alla Puglia; la elettrificazione della tratta ferroviaria ionica; la ottimizzazione dei sistemi di collegamento al porto di Gioia Tauro; la valorizzazione dell'aeroporto di Reggio Calabria.
2) sul versante isolano, con la Messina-Palermo, autostradale e ferroviaria; l'impulso all'ampliamento e potenziamento dell'aeroporto di Palermo (Punta Raisi), ampliamento e potenziamento dell'aeroporto di Trapani (Birgi); la realizzazione dell'interporto di Catania; il raddoppio ferroviario sulla Messina-Catania.
Vanno inoltre posti nel giusto risalto gli effetti positivi che la realizzazione del Ponte produrrebbero nell'intero comparto dell'attività turistica per tutto il Mezzogiorno.
Gli aspetti economici, sociali e di sviluppo finora elencati non possono essere quindi trascurati, o addirittura ignorati, a causa di una contrarietà ideologica alla realizzazione del Ponte. Basti pensare che nei preventivati sei anni occorrenti per la sola realizzazione del Ponte, si prevedono 40.000 nuovi posti di lavoro, in aggiunta a quelli necessari per la realizzazione delle infrastrutture.
A nostro avviso l'opera, nel suo insieme, trova quindi concreta giustificazione non solo per effetto di una analisi meramente ragioneristica basata sul rapporto costi-benefici, ma soprattutto per effetto di una analisi di tipo prettamente sociale.
Riteniamo pertanto sbagliata e priva di ogni logica la scelta di trasferire alla realizzazione delle sole infrastrutture quelle risorse finanziarie già stanziate per la costruzione del Ponte senza il quale le infrastrutture medesime risulterebbero assolutamente inutili. E' sulla base delle motivazioni riportate che l'opera, per la Uiltrasporti, è da considerarsi essenziale ed irrinunciabile.
Giuseppe Caronia
Segretario generale Uil Trasporti








Postato il Domenica, 03 dicembre 2006 ore 19:30:37 CET di Salvatore Indelicato
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