L’Associazione Italiana Maestri Cattolici
Al neo Ministro dell’Istruzione, on. Fioroni
Dal Consiglio Nazionale dell’Associazione Italiana Maestri Cattolici (AIMC)
Prime note e sottolineature in avvio di Legislatura
• Pensare la scuola quale “luogo” di elaborazione di un proprio sapere, implica
– come segno concreto di tale convinzione – di non ritenere possibile un
azzeramento di percorsi/esperienze che essa ha realizzato. Il patrimonio della
scuola, che la riforma Moratti ha rischiato di mortificare, ora si è ampliato:
nel bene o nel male anche questi faticosi cinque anni hanno costruito
esperienze, attivato riflessività, arricchito il “sapere” della scuola.
• L’idea, in più occasioni ribadita dal Presidente Prodi durante la campagna
elettorale, del “ministro cacciavite” pare la via migliore per “smontare” alcuni
pezzi, sostituirne altri, rafforzarne alcuni. Un processo certamente più lento
rispetto al riscrivere ex novo, ma più rispettoso della scuola e soprattutto
veicolativo di un messaggio implicito di cui si sente il bisogno: non è detto e
non è necessario che ciascun Ministro ricominci come se si fosse all’anno zero,
ma è possibile con saggezza e responsabilità mettere la scuola in postazione
bipartisan, tutelandone lo sviluppo secondo la logica della continuità
necessaria e della discontinuità opportuna che non può tradursi in attivazione
di costanti fratture. La tela di Penelope fu segno di fedeltà e di costanza, ma
non è una metafora applicabile alla scuola che ha invece bisogno di avere un
progetto chiaro su di sé e di sentirsi veramente soggetto verso cui vale la pena
esercitare attenzione responsabile e non oggetto di un nocivo tiro alla fune.
• Il criterio della gradualità è promettente. Troppo spesso abbiamo vissuto (e
denunciato) situazioni in cui i tempi della politica non hanno tenuto conto dei
tempi della scuola e ne abbiamo visto le conseguenze non certo positive. Quando
si intende porre mano ad una “impresa umana” quale la scuola, la gradualità è
proporzionale alla convinzione della serietà e rilevanza dell’operazione in
questione. Una gradualità che:
- dà tempo alla scuola di comprendere quanto le si chiede e perché; molte volte
nel recente passato decisioni improvvise l’hanno disorientata, negandole anche
la possibilità di capire il senso complessivo di ciò che stava accadendo;
- è vissuta come
condizione irrinunciabile per la negoziazione. Tempi brevi, anzi stretti mal si
coniugano con decisioni che tanto più saranno promettenti e comprese quanto più
frutto di confronto per portare a mediazione alta e a decisioni condivise voci
plurali e quindi vivere in pienezza quei valori di democrazia, solidarietà,
sussidiarietà su cui è fondata la nostra Repubblica;
- è pensata come processo, certamente non infinito, ma capace di consentire un
ascolto della scuola e dei soggetti di sua rappresentanza per restituirle un
legittimo protagonismo e per ridurre la distanza fra l’aula parlamentare e le
aule dove la scuola ogni giorno si costruisce. A tale proposito e non con
atteggiamento presuntuoso o corporativo, l’associazionismo professionale che si
è posto “dalla parte” della scuola, può offrire (e desidera farlo) il proprio
contributo di idee e di elaborazioni nate non a tavolino, ma dal basso, dai
professionisti, dal sentire il respiro della scuola viva con i suoi sussulti di
speranza e sospiri di rassegnazione.
• Un processo graduale di paziente “revisione” può favorire l’individuazione dei
giusti canali di quell’idea regolativa che è l’autonomia che necessita
urgentemente di passare da idea, appunto, ad azione. L’autonomia è snodo
oltremodo interessante per l’operazione che ci si attende dal nuovo Governo: una
scuola per tutti e per ciascuno come modalità concreta di perequazione; una
scuola che si ri-comprende come comunità, con chiara identità e precisa mission
sociale; una scuola in grado di prendere decisioni, entro precisi confini
nazionalmente definiti, per rispondere adeguatamente alle istanze formative
della singola persona e dei contesti; una scuola in interazione costruttiva con
Enti locali e Regioni. Riscoprire il DPR 275 in tutta la sua ricchezza di
aperture e potenzialità per una vera autonomia progettuale, organizzativa,
didattica, di sperimentazione e di ricerca è, a nostro avviso, non solo strada
percorribile perché l’autonomia possa finalmente essere pienamente esercitata,
ma anche possibilità per apportare prime correzioni ad alcuni aspetti del
processo riformatore in atto.
• Certamente la scuola secondaria si pone come prioritaria all’attenzione del
decisore politico per più di un motivo: dall’essere ancora terreno poco
contaminato dal processo riformatore dove quindi c’è più da costruire che da
smontare, al suo costituirsi come campo a cui più occhi legittimamente guardano:
dalla scuola, al mon do del lavoro, all’Università. Lo comprendiamo bene e siamo
convinti della sua importanza. Ciò non toglie che si debba avere lo sguardo
anche a ciò che precede, secondo la logica di un percorso unitario 3-19 anni. La
scuola dell’infanzia e il ciclo primario sono “in riforma” da oltre un decennio.
Sono state ora protagoniste e ora oggetto di cambiamenti di non poco conto (dai
Programmi del ’79 della media a quelli dell’85 dell’elementare, dagli
Orientamenti del ’91 alla Legge 148, dall’avvio della Riforma Berlinguer-De
Mauro alla Riforma Moratti). Hanno retto all’urto, ma hanno più di un motivo di
scontentezza che occorre non relegare nel dimenticatoio. Qualche aggiustamento è
necessario e atteso. Qualche rivisitazione e chiarificazione sono opportune, ad
esempio: un’azione sul Decreto 59 che ha posto impropri paletti alla stessa
autonomia delle scuole come la questione del tutor; una chiarezza relativa agli
orari e alle quote; una riconsiderazione degli organici riportandoli ad organici
funzionali ai progetti educativi di scuola; una revisione delle Indicazioni dopo
consultazione di chi le ha “testate” con il recupero di un pensiero chiaro su
come si pensa la scuola e sul valore che ad essa si attribuisce.
• L’autonomia scolastica ha necessità di vedere assicurate condizioni di
esercizio. Si tratta di investimento in risorse finanziarie ed umane, di
riconoscimento di tempi per la ricerca, di rivisitazione generale del carico di
impegno lavorativo per chi nella scuola opera. Quanto si potrà e si vorrà
investire sulla scuola? Dalle prime risposte concrete, pur nella consapevolezza
della non facile congiuntura generale del Paese, che si daranno a questo
interrogativo potrà essere valutata la credibilità – che noi ci auguriamo piena
– di molte dichiarazioni che abbiamo sentito sulla scuola e sulla sua
importanza.
• Un’ultima sottolineatura: il 1° settembre – che non è poi così lontano – un
nuovo anno scolastico prenderà avvio. È di tutta evidenza che non è pensabile,
proprio in nome di quella gradualità di cui dicevamo e della convinzione che un
azzeramento è nocivo, riaprire i battenti con l’“operazione cacciavite”
compiuta. Certo però la scuola si aspetta alcuni primi segnali che la facciano
risalire in necessaria autostima e in credito sociale e le consentano un certo
rasserenamento. Segnali a sostegno di una scuola che, proprio valorizzando
l’autonomia, fa ricerca; che lavora allo sviluppo del sé professionale; che è
capace di organizzare, organizzarsi e gestirsi in funzione di una offerta
formativa che ha responsabilmente messo a punto. Tutto questo è possibile e, a
nostro avviso, è la strada per cominciare a arginare e superare negatività e
pesantezze, eliminare elementi generativi di conflittualità, come pure
riorientare alcune possibilità presenti e fare chiarezza intorno ad alcuni punti
complessi e controversi. Ciò cominciando a chiamare in causa la scuola per
quello che ha già come riconoscimento formale, ma che dalla Bassanini in poi,
non ha ancora visto reali condizioni di fattibilità. Segnali, a partire dalle
condizioni necessarie per attivare quella scuola vera che è comunità educativa
che elabora un suo sapere, luogo di ricerca, contesto vitale per docenti,
dirigenti scolastici, famiglie e studenti.
Roma, 21 maggio 2006 Il Consiglio Nazionale AIMC