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Costume e società: Dalle cudduredde ai panareddi: quando la cucina si fa arte

Redazione
Per rendere solenni eventi festivi e cerimoniali, il pasto condiviso con la famiglia, con gli amici e con il vicinato, ha da sempre rappresentato un evento irrinunciabile tanto che lo storico Fernand Braudel affermava che mangiare e bere non erano soltanto necessità, o al caso lussi sociali, ma veri e propri giuochi comunitari, rapporti fra l’uomo e la società, fra l’uomo e il mondo materiale, fra l’uomo e l’universo soprannaturale. Natale e Pasqua nella società contadina tipica del nostro territorio sono da sempre due appuntamenti che segnano la scansione temporale dell’esistenza materiale e spirituale della popolazione e il cibo preparato e consumato collettivamente, con la sua ritualità e la frugale ostentazione, contribuiva ad attenuare l’insicurezza e la precarietà del vivere quotidiano.

L’IPSSEOA dell’Istituto d’Istruzione Superiore “Cucuzza Euclide” di Caltagirone, si è fatto carico di tramandare le tradizioni locali delle “cudduredde” e dei ”panareddi” tenendo due laboratori sulla preparazione di questi dolci tipici calatini. I laboratori rientrano in un ciclo di seminari dal titolo “Storia, origini e tradizioni culinarie”, e in sintonia e supporto della Società Filosofica Italiana sezione Iblea, l’Istituto alberghiero ha proposto per quest’anno scolastico 2018/2019 il recupero e la condivisione delle tradizioni locali permettendo di cogliere per pochi istanti ‘un tempo che non è perduto ma soltanto passato’.

Gli incontri sono stati supervisionati dal Sig. Lillo La Rovere e il Sig. Gaetano Cannilla, dalla Sig.ra Alda Maltese e la Sig.ra Maria Di Gregorio che hanno spiegato ai docenti del settore enogastronomico sia la preparazione che l’esecuzione dei dolci, ricordando i momenti familiari più significativi. Lo scopo è stato quello di indirizzare i docenti alla corretta non solo preparazione del dolce, ma anche delle procedure legate a essa (costruzione della figura, pizzichi, tagli della pasta), al fine di impartire la tecnica agli studenti delle classi che successivamente sono state coinvolte.

Caltagirone, ‘La città dei cento Presepi’, esprime a Natale la sua tradizione culturale, devozionale e artistica e preannuncia tutto il suo fascino fatto di aromi, legna, arancio secco e cannella, che si concentrano per le vie dei carruggi, teatro di racconti famigliari antichi e di tradizioni che si tramandano di casa in casa. Ci si lascia sedurre da antichi sapori culinari come le cudduredde esteticamente sublimi e preziose. La fragranza del miele unita alle mandorle e al vino cotto ha una forza incredibile, spalancando la porta a ricordi, sensazioni, personaggi e luoghi che se ne stavano quietamente acquattati. La ricetta è simile per tutti, ma ogni famiglia aveva e ha il suo tocco segreto, aggiungendo agli impasti interni, di mandorle o vino cotto, cannella, scorze di limone o arancia, vaniglia. La preparazione è lunga e richiedeva, tempo fa, l’intervento di tutte le donne della famiglia, compresi i bambini, era un appuntamento a cui non rinunciare, e stringendosi attorno al tavolo distinto nelle sue fasi di lavorazione e attorno al forno a legna si attendeva la cottura, possibilmente chiara, dei dolci. Ogni anno le cudduredde erano migliori dell’anno precedente! E in un certo senso è ancora così: le poche e costanti madri e nonne di famiglia si riuniscono in casa per diversi pomeriggi dedite alla preparazione, e particolare attenzione viene data ai ‘pizzichi’, perché è da questo merletto ricavato da una mollettina in rame che preme sulla pasta esterna, a far evincere la cura e la precisione della cudduredda sfornata da una famiglia piuttosto che da un’altra.

La competizione alimentare continuava con l’approssimarsi della Pasqua. Durante la Quaresima, si era soliti osservare lunghi periodi di digiuno e di moderazione alimentare, dalle tavole si escludeva carne, uova e formaggi, ma con l’avvicinarsi della Settimana Santa le privazioni terminavano e si cominciava a utilizzare le uova per la preparazione dei dolci pasquali. Le uova sono il simbolo della Pasqua, la nascita e la rinascita, simbolo della Resurrezione di Gesù e come tali vengono utilizzate nel panareddu, un dolce povero come una delle tante varianti del pane. Così come accade per le collorelle, anche per i panareddi si scatenava una sana competizione fra le famiglie. Ognuno custodiva la propria proporzione degli ingredienti dell’impasto e di sicuro quello fatto dalla propria famiglia era sempre quello più buono, quello più raffinato con maggiore uvetta, che rappresentava la cifra della bontà dell’elaborazione artistica. Ogni famiglia di base preparava la forma a “panareddu” (cestino) per augurare abbondanza, ma non mancavano quelli a forma di "campanaru" (campanile) per risuonare le campane al Cristo risorto, a forma di "gadduzzu" (galletto o colomba) per i ragazzi, di "pupa" (bambola) per le bambine e a “cuore” per i propri amati.
 
Al di la di queste considerazioni, lo scopo dei laboratori è stato quello di rivivere queste dimensioni perdute: la base fondamentale è che la cudduredda ed il panareddu richiamano alla condivisione su cui si fonda il rito e la festa, richiama all’identità comune di un popolo di cui si celebra la memoria.

I laboratori hanno voluto trasmettere quest’appartenenza alla storia, questa condivisione di ricordi e immagini passate, sintonia di profumi familiari ed emozioni ritrovate.

Stefania Sinardo e Sebastiano Russo










Postato il Giovedì, 18 aprile 2019 ore 09:00:00 CEST di Michelangelo Nicotra
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