Giuseppe
Giusti, nato a Monsummano Terme (Pistoia) il 12 maggio 1809 e
morto a Firenze il 31 marzo 1850, è stato un poeta italiano
vissuto nel periodo risorgimentale. Figlio di un ricco proprietario
terriero, studiò dapprima con un precettore privato, poi frequentò vari
collegi a Firenze, Pistoia, Lucca, nel 1826 si iscrisse alla Facoltà di
Giurisprudenza a Pisa, ma non fu costante negli studi. Nel 1832 ritornò
di nuovo agli studi a Pisa dove si laureò nel 1834. Nel 1838 prese
l'abilitazione all'avvocatura, ma non esercitò mai la professione di
Avvocato. Aveva già acquistato fama con i "suoi versi" che
circolavano in manoscritti o pubblicati sui giornali.
Ebbe anche dei problemi di salute, fece pochi viaggi e, nel 1845, a
Milano, fu ospite del Manzoni. Nel 1847 entrò a far parte della Guardia
Civica a Pescia con il grado di Maggiore, fu eletto deputato nelle
prime assemblee legislative della Toscana. Nel 1849 le sue condizioni
di salute si aggravarono ed all'inizio del 1850 morì a Firenze, nella
casa dell'amico Capponi. Giusti, con i suoi scritti, si rivolgeva alla
piccola e media borghesia italiana della prima metà dell'Ottocento, che
si andava formando ed acquistava maggiore coscienza delle proprie
esigenze politiche e sociali, entro un contesto di liberalismo
democratico.
La poesia di Giuseppe Giusti si forma nella tradizione toscana,
burlesca e satirica, e si avvale di una grande abilità tecnica nella
variazione dei metri e nelle alternanze dei versi brevi e lunghi, nelle
concatenazioni delle rime, delle intenzioni ironiche e delle
deformazioni polemiche. Egli volle colpire l'assolutismo del suo tempo,
l'Ottocento, risaltando le deformità vili e turpi, gli aspetti ridicoli
e gli inganni, cercando di contribuire con decisione alla liquidazione
definitiva del "vecchio mondo" dei piccoli Stati, delle aristocrazie
locali, dei privilegi feudali. Nei suoi scritti come la "Ghigliottina a
vapore", "Legge penale per gli impiegati", Preterito più che perfetto
del verbo pensare", "Il re Travicello" e di altri, traspare tutto il
suo "sapore" acre, aspro, grottesco, amaro, deformante. Meno felici
sono i "versi seri", di genere patetico, con Sant'Ambrogio, che è una
delle poesie più note del Giusti, nella quale la satira si "spinge" con
tenerezza malinconica. L'opera in prosa più significativa del Giusti è
costituita dalle "Memorie inedite", ristampate nel 1924 con il titolo:
"Cronache dei Fatti di Toscana", dove il Giusti dà una rappresentazione
acremente polemica delle vicende del 1848 - 1849, in Toscana, dove
esprime la "sua ironia" su quei fatti.
Il Giusti nei suoi versi, come si evince in Sant'Ambrogio, esprime la
sua estrosità acuta e acre di satira, mista alla sua saggezza, al buon
senso che però non lo distoglieva dal suo essere incisivo e pungente
nel dire, in modo burlesco, la sua disapprovazione per la situazione
dei regimi assolutisti del tempo, e nel caso della lirica
"Sant'Ambrogio", contro l'agire delle truppe di occupazione e del
regime austriaco. Di Giuseppe Giusti ci è stata tramandata una sua
massima che, penso ai giorni nostri, dovremmo farne tesoro: "Prima
padron di casa in casa mia, poi cittadino della mia città, italiano in
Italia e così via, divento uomo nell'umanità".
La satira del Giusti, la sua avversione verso l'oppressione, il mettere
alla berlina i governanti del tempo, mi fa molto riflettere sulla
situazione in cui versa oggi la nostra Italia che, pur unita
costituzionalmente, è divisa in mille "rivoli", senza condividere un
reale spirito unitario. E l'amara riflessione dei versi del Giusti
vanno nella direzione di un'Italia "una e indivisibile".
Per Giuseppe Giusti solo l'unità fa la forza e solo insieme si vince!
Giuseppe Scaravilli
giuseppescaravilli@tiscali.it