La
Commissione bicamerale per le riforme istituzionali, a presiedere la
quale i presidenti delle Camere nominavano il deputato Aldo Bozzi,
teneva la sua prima seduta in data 30
novembre 1983.
La Commissione ha tenuto complessivamente 50 sedute plenarie. L’Ufficio
di presidenza 34, di cui 33 allargate ai rappresentati dei gruppi.
All’esame della relazione conclusiva sono state dedicate 14 sedute del
plenum della Commissione. Nella relazione conclusiva, presentata il 29
gennaio di due anni dopo, erano formulate le proposte di revisione
costituzionale di 44 articoli della Costituzione. A seguito della
presentazione della relazione, vari gruppi politici depositarono in
Parlamento una serie di proposte di revisione costituzionale che
riprendevano in tutto o in parte le conclusioni formulate dalla
Commissione. Tali proposte furono assegnate alla Commissione Affari
costituzionali della Camera che non ne iniziò l’esame.
Il concreto avvio dell’esame parlamentare dei progetti della
Commissione bicamerale venne rimesso all’iniziativa dei gruppi politici
che non raggiunsero un accordo.
Nelle sedute del 23 luglio 1992,
vale a dire dieci anni dopo l’istituzione della Commissione Bozzi,
Camera e Senato approvarono la istituzione di una Commissione con il
compito di esaminare le proposte di revisione costituzionale
concernenti la parte seconda della Costituzione (limitatamente ai
titoli I, II, III, IV e V) e le proposte di legge in materia
elettorale, e di elaborare un progetto di revisione dei suddetti titoli
della Costituzione, nonché dei sistemi elettorali per l’elezione degli
organi costituzionali. Si costituì così la “Commissione parlamentare per le riforme
istituzionali”, composta da 30 deputati e 30 senatori nominati,
in data 3 e 5 agosto 1992, dai presidenti di Camera e Senato su
designazione dei gruppi parlamentari. Il progetto recava norme di
revisione degli articoli 60, 70, 77, 81, 82, 92, 93, 94, 95, 97, 116,
117, 118, 119, 121, 122, 123, 125, 126, 127, 128 e 130 della
Costituzione e l’inserimento nel testo costituzionale dei nuovi
articoli 95-bis, 117-bis, 117-ter, 117-quater, 118-bis e 119-bis.
La proposta approvata comportava: un’ampia riforma del rapporto
Stato-regioni; la definizione di una forma di governo "neoparlamentare"
che prevede l’investitura diretta da parte del Parlamento del Primo
ministro, attribuisce a quest’ultimo la esclusiva responsabilità sulla
nomina e la revoca dei ministri, ed introduce l’istituto della c.d.
"sfiducia costruttiva"; l’introduzione di nuove regole in materia di
bilanci, decretazione d’urgenza, delegificazione e potere regolamentare
del Governo, organizzazione della pubblica amministrazione; la durata
quadriennale della legislatura e l’ampliamento del potere di inchiesta
delle Camere.
L’11 gennaio 1994 la Commissione presentò alle Presidenze delle due
Camere un progetto di revisione costituzionale riguardante la seconda
parte della Costituzione. Le Assemblee dei due rami del Parlamento non
poterono procedere all’esame del testo a causa dell’anticipata
conclusione della legislatura.
Veniamo alla Bicamerale D’Alema del
’97. La legge costituzionale 1/1997 (del 24 gennaio) istituisce
una Commissione bicamerale formata da 35 deputati e 35 senatori, col
compito di elaborare progetti di revisione della seconda parte della
Costituzione “in particolare in materia di forma di Stato, forma di
governo e bicameralismo, sistema delle garanzie”.
Da lì a pochi mesi, entro il 30 giugno, la Commissione deve presentare
alle Camere un progetto di legge di riforma. Eletto presidente D’Alema
(Pds), si costituiscono quattro Comitati (forma di governo, forma di
Stato, garanzie, Parlamento e fonti normative). Effettuata una lunga
serie di audizioni di esperti e rappresentanti di parti sociali, in
giugno si passa alle prime votazioni decisive. In una di queste, la
Commissione deve scegliere una fra le due ipotesi di forma di governo
prospettate dal relatore Salvi: quella detta del "premierato" -
prevalentemente sostenuta dai partiti di governo dell’Ulivo - e quella
"semipresidenziale" - più gradita al Polo; col voto decisivo della Lega
Nord si opta per l’ipotesi semipresidenziale. Il 30 giugno, come
previsto, la Bicamerale presenta il testo al Parlamento. Deputati e
senatori depositano circa 42.000 emendamenti. Il 16 settembre ‘97 la
Commissione si riunisce di nuovo; il 4 novembre presenta il progetto
definitivo. Quando il progetto della Bicamerale giunge in aula, però,
nel gennaio del ‘98, le
differenze di vedute fra le forze politiche aumentano, limitando le
prospettive di riuscita del processo riformatore. Il 9 giugno l’esame
del testo è cancellato dal calendario dei lavori della Camera dei
deputati. L’iter si interrompe a metà, definitivamente, ancor prima del
voto del Parlamento e del referendum popolare.
Queste le cronache – assai sintetizzate, che si possono ricavare dai
resoconti parlamentari – dei precedenti tentativi di riforme
istituzionali, cui vanno aggiunte le nomine, appena un anno addietro,
di 10 saggi da parte del presidente della Repubblica, e qualche mese
più avanti di 35 saggi nominati dal governo Letta. Dal 1991 ben 11 ministri per le riforme
istituzionali si sono succeduti, prima dell’attuale, senza produrre
alcun risultato.
Vale la pena ricordarlo non tanto per fare la conta dei caduti sul
campo, ma perché oggi in molti, fra politici e intellettuali si
stupiscono e protestano per l’eccessiva semplificazione con la quale
verrebbero motivate le proposte di riforma, dall’abolizione del Senato
e delle province alla legge elettorale. “Ridurre i costi della
politica”, “la gente è stufa”, “ci vogliono segnali forti di
cambiamento”: sono tutti slogan che molto semplificano, è vero,
l’articolazione complessa delle forme costituzionali e dei rapporti fra
le istituzioni di governo.
Ma occorre chiedersi se trent’anni di inettitudine non siano i veri
responsabili di questo risultato, di questo abbassamento del livello
del dibattito, di questo eccesso di semplificazione, per cui il
cambiamento è un valore in sé, il “fare”, e velocemente, ha più
importanza del far bene, “la gente lo vuole perché i politici hanno
troppi privilegi” ha sostituito “lo chiede il popolo”. Se per tanto
tempo hai promesso caviale e culatello senza mai mantenere le promesse,
adesso c’è poco da stupirsi. Gli affamati si accontentano o addirittura
pretendono uova di lompo e filetti di pangasio. E se hai perso
credibilità, e, a torto o a ragione, sei indicato come il responsabile
del mancato cambiamento quando invece vorresti entrare nel merito delle
riforme per migliorarle, non puoi stupirti se vieni accusato di non
volerle, le riforme.
Perché trent’anni di inettitudine hanno prodotto quest’alternativa:
nessuna riforma o riforme frettolose e (forse) non particolarmente
buone.
Raimondo Catanzaro