L’Università di
Leicester svela i sensazionali risultati delle analisi sulle ossa -
LONDRA - Passare più di cinquecento anni seppellito malamente, per un
sovrano che la letteratura vuole spietato e ambizioso, sono una
maledizione benpeggiore del «dispera e muori!» a cui Riccardo III
sarebbe stato condannato la notte prima della battaglia dagli spiriti
delle sue vittime. Ma è cosa ormai certa che sia andata così: le
spoglie rinvenute in un parcheggio della città di Leicester, accanto a
quella che un tempo era la chiesa dei Frati Grigi, appartengono proprio
all’ultimo dei Plantageneti, antieroe shakesperiano e sovrano caduto
per mano del rivale Enrico Tudor nella battaglia di Bosworth Field del
22 agosto 1485, svolta storica con la quale finì la guerra delle due
Rose e, secondo alcuni storici, anche il Medioevo inglese.
IL DOMINIO TUDOR
Da quel giorno iniziarono infatti di 118 anni di dominio Tudor e
Riccardo III, che regnò per soli due anni, diventò una leggenda nera,
un personaggio crudele ed efferato quasi sempre descritto con tinte
cupe, non solo da William Shakespeare. Nella sua Storia dei Re
d’Inghilterra, lo storico John Rous, ad esempio, parla del sovrano come
di un essere mostruoso nato già con i denti e con i capelli lunghi dopo
un’abnorme gestazione durata due anni e cresciuto in un corpo deforme e
storto, con una spalla più alta dell’altra e un braccio avvizzito.
LE PROVE IN LABORATORIO
Se sia nato già con i denti e con i capelli lunghi non si saprà mai, ma
la spina dorsale molto deformata dello scheletro rinvenuto a Leicester
è visibile ad occhio nudo. Inoltre, le prove del DNA condotte su un
lontanissimo discendente della sorella, Michael Ibsen, fino a poco
tempo fa inconsapevole commerciante di arredamento di origine canadese,
hanno dimostrato che «al di là di ogni ragionevole dubbio si tratta di
Riccardo». Lo ha annunciato ieri in una conferenza stampa Richard
Buckley, archeologo dell’Università di Leicester che ha condotto le
perizie sullo scheletro, trovato ad agosto scorso dopo che alcuni
appassionati avevano indicato nell’area l’unico luogo possibile per la
sepoltura del sovrano, l’ultimo re inglese morto in battaglia e uno dei
pochi a perire in terra inglese. Le prove al carbonio fanno risalire i
poveri resti ad un periodo compreso tra il 1455 e il 1540, e secondo
l’osto-archeologo Jo Appleby appartengono ad un uomo tra i 20 e i 30
anni. Due elementi compatibili con il sovrano Riccardo, morto nel 1485
a soli 32 anni e, secondo gli esperti, seppellito frettolosamente e con
i polsi ancora legati in una fossa non abbastanza profonda nella
vecchia chiesa, abbattuta nel ‘600 e ricostruita su una pianta diversa.
LE FERITE
Gli esperti gli hanno trovato 10 ferite sul corpo, di cui 8 solo sul
cranio e due di queste potenzialmente fatali: uno è stato un colpo di
traverso che ha portato via un frammento di cranio, mentre l’altro è
stato causato da un’arma affilata che ha colpito la parte opposta della
testa, causando una ferita profonda più di 10 centimetri. «Entrambe le
ferite possono aver causato un’immediata perdita di conoscenza, con la
morte seguita poco dopo», ha spiegato Appleby. Soprattutto, la
posizione delle ferite tende a confermare i resoconti dei
contemporanei, secondo cui Riccardo III sarebbe morto disarcionato,
mentre il suo cavallo affondava in una palude lasciando il cavaliere
vulnerabile ai colpi degli uomini al soldo dei Tudor. Da qui il famoso
verso shakesperiano «Un cavallo! Un cavallo! Il mio regno per un
cavallo!».
LA LEGGENDA NERA
Una volta ucciso, gli esperti sostengono che il corpo del sovrano fu
esposto ad ogni umiliazione, come dimostrano le ferite pelviche.
Probabilmente fu mutilato e trasportato a Leicester per dimostrare al
mondo la sua morte. E poi, probabilmente, seppellito in fretta e furia,
per poi lasciare ai posteri i racconti poco lusinghieri di Rous – il
quale per inciso prima che morisse parlava di un «buon sovrano» con «un
grande cuore» – e la storia di un uomo che fece rinchiudere i suoi due
nipoti ragazzini nella Torre di Londra per non avere intralci nella
successione, e che fece poi uccidere anche la moglie. Un’anima nera,
forse inventata dai suoi nemici e resa immortale da Shakespeare, che
ora potrebbe trovare nuova dignità, insieme ad una nuova sepoltura
nella cattedrale di Leicester.
Cristina Marconi
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