Insomma, i versi del Pascoli anche se non rinnegano mai la partenza da una base sensibile-naturale, nel risultato finale si rivelano di una determinatezza e precisione illusoria e ingannevole, allusiva; il dato positivo serve solo per “tirar fuori” dal significato particolare il generale, dal fatto l’Idea. E anche questa, in definitiva, non del tutto dicibile se non per interpunzioni.
Sebbene nato in piena età positivista, la sensibilità poetica del Pascoli appare tutta impregnata di quel simbolismo fin - de- siècle, da cui tanta chiara e fresca linfa vitale trarranno le poetiche del primo Novecento.
Leggiamo, da ”Primi poemetti“: Il libro
Sopra il leggio di quercia è
nell'altana,
aperto, il libro. Quella quercia ancora,
esercitata dalla tramontana,
viveva nella sua selva sonora;
e quel libro era antico. Eccolo: aperto,
sembra che ascolti il tarlo che lavora.
E sembra ch'uno (donde mai? non, certo,
dal tremulo uscio, cui tentenna il vento
delle montagne e il vento del deserto,
sorti d'un tratto ... ) sia venuto, e lento
sfogli - se n'ode il crepitar leggiero -
le carte. E l'uomo non vedo io: lo sento,
invisibile , là, come il pensiero…
II
Un uomo è là, che sfoglia dalla prima
carta all'estrema, rapido, e pian piano
va, dall'estrema, a ritrovar la prima.
E poi nell'ira del cercar suo vano
volta i fragili fogli a venti, a trenta,
a cento, con l'impazïente mano.
E poi li volge a uno a uno, lenta-
mente , esitando; ma via via più forte,
più presto, i fogli contro i fogli avventa.
Sosta... Trovò? Non gemono le porte
più, tutto oscilla in un silenzio austero.
Legge?... Un istante; e volta le contorte
pagine, e torna ad inseguire il vero.
III
E sfoglia ancora; al vespro, che da nere
nubi rosseggia; tra un errar di tuoni,
tra un aliare come di chimere.
E sfoglia ancora, mentre i padiglioni
tumidi al vento l'ombra tende, e viene
con le deserte costellazïoni
la sacra notte. Ancora e sempre: bene
io n'odo il crepito arido tra canti
lunghi nel cielo come di sirene.
Sempre. Io lo sento, tra le voci erranti,
invisibile, là, come il pensiero,
che sfoglia, avanti indietro, indietro avanti
sotto le stelle, il libro del mistero.
Nuccio Palumboaperto, il libro. Quella quercia ancora,
esercitata dalla tramontana,
viveva nella sua selva sonora;
e quel libro era antico. Eccolo: aperto,
sembra che ascolti il tarlo che lavora.
E sembra ch'uno (donde mai? non, certo,
dal tremulo uscio, cui tentenna il vento
delle montagne e il vento del deserto,
sorti d'un tratto ... ) sia venuto, e lento
sfogli - se n'ode il crepitar leggiero -
le carte. E l'uomo non vedo io: lo sento,
invisibile , là, come il pensiero…
II
Un uomo è là, che sfoglia dalla prima
carta all'estrema, rapido, e pian piano
va, dall'estrema, a ritrovar la prima.
E poi nell'ira del cercar suo vano
volta i fragili fogli a venti, a trenta,
a cento, con l'impazïente mano.
E poi li volge a uno a uno, lenta-
mente , esitando; ma via via più forte,
più presto, i fogli contro i fogli avventa.
Sosta... Trovò? Non gemono le porte
più, tutto oscilla in un silenzio austero.
Legge?... Un istante; e volta le contorte
pagine, e torna ad inseguire il vero.
III
E sfoglia ancora; al vespro, che da nere
nubi rosseggia; tra un errar di tuoni,
tra un aliare come di chimere.
E sfoglia ancora, mentre i padiglioni
tumidi al vento l'ombra tende, e viene
con le deserte costellazïoni
la sacra notte. Ancora e sempre: bene
io n'odo il crepito arido tra canti
lunghi nel cielo come di sirene.
Sempre. Io lo sento, tra le voci erranti,
invisibile, là, come il pensiero,
che sfoglia, avanti indietro, indietro avanti
sotto le stelle, il libro del mistero.
antonino11palumbo@gmail.com