Tullio De Mauro
lancia un grido di allarme: sette italiani su dieci non conoscono
l’italiano, soltanto due su dieci hanno le «competenze minime» per fare
un uso appropriato della lingua, siamo in pieno analfabetismo di
ritorno.
C’è di che stropicciarsi gli occhi, perché non sta parlando uno che
passa di qua per caso, bensì uno dei grandi guru della pedagogia
scolastica italiana, che è stato anche ministro dell’Istruzione. Ci si
attenderebbe una rigorosa analisi critica e autocritica di un
trentennio in cui le ricette di De Mauro hanno dominato nel mondo
dell’istruzione, mentre il silenzio evoca il comportamento di quei
medici che, se l’antibiotico non fa effetto, aumentano le dosi fino al
decesso del
paziente.
Nell’epoca in cui De Mauro era l’oracolo furono proclamate le
«Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica», in cui si
attaccava l’insegnamento dell'ortografia sostenendo che questa si
apprende «non insegnando norme ortografiche direttamente ma insegnando
a ballare, ad apparecchiare ordinatamente la tavola e ad allacciarsi le
scarpe», e deridendo la tradizionale pedagogia linguistica che è
«verbalistica» e non conosce i modi simbolici non verbali. Il risultato
è che ora gli studenti della scuola plasmata da questa ideologia non
solo ignorano l’ortografia e si esprimono a singulti disarticolati, ma
non apparecchiano la tavola, né bene né male, in omaggio all’educazione
antiautoritaria che insegna anche nelle antologie di letteratura a
ribellarsi contro la repressione familiare.
È celebre la grande battaglia di De Mauro contro il tema d’italiano.
Come esito abbiamo libri scolastici in cui si chiede di rispondere in
poche parole o a crocette a quiz demenziali, come quelli che abbiamo
illustrato qui di recente. volti a ordinare su scala numerica le
sfumature espressive. Oppure si propone lo studio della storia in
pillole per poi proporre «verifiche» del tipo «Mettete le parole
mancanti»: «Alla morte di Alessandro ... il suo ... si divise in ...
sotto il dominio di ...». Era fin troppo facile fare demagogia contro
il tema d’italiano. Invece il tema - proposto, corretto e discusso in
modo intelligente e non burocratico - è di gran lunga il modo migliore
per sviluppare le capacità ortografiche, grammaticali, sintattiche
assieme alla capacità di organizzare ed esprimere idee e sentimenti in
modo efficace e coerente. Quei ragazzi che sono stati «liberati» dal
tema troppi dovranno farne in vita loro, anche in azienda, quando si
chiederà loro di fare una relazione e non sapranno mettere in fila più
di dieci parole.
De Mauro è stato uno dei campioni del «successo formativo garantito» e
della teoria - ribadita di recente - secondo cui uno studente non deve
essere costretto a studiare tutte le materie, ma soltanto quelle in cui
riesce meglio. A suo dire, la soglia di sufficienza dovrebbe essere la
«media minima», una castroneria matematica e linguistica con cui si
voleva dire di prendere come soglia la media delle materie in cui lo
studente va meglio. Ma invece di dire questo è sgorgata dal cuore -
tipico lapsus freudiano - la parola prediletta: «minimo», fare il
«minimo», il minimo indispensabile a garantire la promozione a tutti.
Il prodotto ideale della «media minima» di De Mauro è quel mio studente
che fece una prova scritta corretta sul piano matematico ma redatta in
un italiano indecente. Non capiva neppure perché mai dessi un voto
migliore a chi, oltre ad aver ottenuto il risultato, aveva spiegato in
modo chiaro e corretto il senso dei passaggi logici compiuti.
(da http://www.ilgiornale.it di Giorgio Israel)
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