Nell’immobilismo che,
come ha scritto recentemente Roberto Saviano su “La Repubblica”, ha
caratterizzato l’azione dei governi Berlusconi, segnatamente
nell’ultimo triennio, c’è tuttavia un’eccezione: la pervicace
insistenza e ferocia dei provvedimenti legislativi sulla scuola che,
sommati ai draconiani tagli lineari su questo specifico capitolo di
bilancio, hanno prodotto il più massiccio processo di impoverimento e
di depotenziamento della scuola statale italiana nella storia della
nostra Repubblica.
Con la legge 133 del 2008, alla scuola sono
stati sottratti in 3 anni più di 8 miliardi di euro e 140.000
lavoratori.
Con due circolari ministeriali (del
14/12/2008 e del 22/2/2010), il MIUR ha congelato i crediti delle
scuole italiane verso l’amministrazione centrale, circa 1 miliardo e
300.000 euro. Nell’ultima legge di stabilità e di bilancio dello
Stato, il totale della spesa di competenza del MIUR per il prossimo
anno subisce un’ulteriore riduzione di 1.067.778.102 di euro,
coerentemente con l’obiettivo, da raggiungere entro il 2015, di
assegnare soltanto il 3,7% del PIL alla spesa per l’istruzione (mentre
nel 2010 era il 4,2% e in Europa supera oggi il 6%).
Nel totale disprezzo delle sentenze del TAR del Lazio e del
Consiglio di Stato (che hanno giudicato illegittima l’applicazione
della legge di riordino dei cicli scolastici), il MIUR ha imposto nella
scuola secondaria di II grado una riforma che ha ridotto quadri orari,
materie, attività di laboratorio; che ha abolito tutte le
sperimentazioni; che ha depauperato, in nome di una malintesa
“essenzializzazione”, la dimensione umanistica dei licei e quella
pragmatica degli istituti tecnici. Con la legge 169 del 2008, la scuola
elementare ha rimesso indietro le lancette della storia: il ritorno
alla maestra unica, il voto di condotta, l’orario a 24 ore hanno
cancellato con un colpo di spugna quel profilo pedagogico-didattico
che, a partire dagli anni Settanta, aveva reso la scuola primaria
italiana un modello nel mondo intero.
Il combinato disposto del piano programmatico
attuativo dell’art. 64 della legge 133/2008 e i successivi
provvedimenti di riforma, i decreti, le circolari, le note ministeriali
si configura come un’opera di dismissione della scuola statale
sistematicamente perseguita, attraverso una serie di manovre a tenaglia.
Ma non basta.
Nel recente carteggio tra il governo uscente e
le istituzioni europee, la scuola occupa un posto di rilievo.
Alla sollecitazione verso l’uso sistematico di
“indicatori di performance” nei sistemi sanitario, giudiziario e
dell’istruzione, contenuta nella missiva mandata il 5 agosto dalla BCE,
il governo uscente aveva risposto a ottobre dichiarando che
l’accountability delle singole scuole sarebbe stata accresciuta sulla
base delle prove Invalsi, alludendo per l’anno scolastico 2012/13
a un programma di ristrutturazione per quelle con risultati
insoddisfacenti.
Ma il commissario dell’Unione Europea agli
affari economici e monetari, Olli Rehn, ha chiesto chiarimenti più
circostanziati: quali saranno, con esattezza, le caratteristiche del
programma di ristrutturazione delle singole scuole che non hanno
riportato risultati soddisfacenti ai test Invalsi? Come intende il
governo valorizzare il ruolo degli insegnanti e con quali incentivi?
Le risposte di Tremonti sono racchiuse nel
lungo paragrafo intitolato “Human Capital” della sua ultima lettera
all’Europa, prima dell’uscita di scena.
Nel quadro normativo di riferimento, definito
dalle leggi n. 10 del febbraio 2011 e n. 98 di luglio 2011, viene
confermato il ricorso ai test Invalsi per la rilevazione degli
apprendimenti degli alunni al II e V anno della scuola primaria, al I e
III anno della scuola media, al II anno della scuola superiore, con la
possibilità di ulteriori test nell’ultimo anno, presumibilmente
nell’ambito dell’esame di Stato. I test, modellati sugli OCSE-PISA,
misureranno il “valore aggiunto” delle singole scuole nei risultati
degli apprendimenti degli alunni, tenendo conto dei diversi contesti
socio-economici (in che modo? Non è specificato). Le valutazioni delle
scuole saranno condotte da un corpo di ispettori, che viene definito
autonomo e indipendente (ma che in realtà non lo è, trattandosi di
dirigenti del MIUR), che valuterà l’ambiente di lavoro e la qualità dei
processi (quali processi? Non ci viene detto), usando anche
informazioni relative ai successivi percorsi universitari o
professionali degli studenti e quelle ricavabili dalle famiglie e dal
territorio.
L’INDIRE (già soppresso e sostituito
dall’ANSAS con la Finanziaria del 2007, ora riesumato con il D.L.
98/2011) interverrà nelle scuole più critiche, con una serie di misure
che non escludono successivi dimensionamenti. Nessuna parola sui
finanziamenti per la formazione iniziale e in itinere dei docenti.
Nessuna parola sui necessari investimenti.
Riguardo alla valorizzazione del ruolo degli
insegnanti, il contesto normativo di riferimento è il D.L. 150/2009.
Si prevedono premialità salariali per una
piccola percentuale di docenti (con un tetto del 20-30% per ogni
scuola) da definire e normare nel prossimo contratto. Nessun accenno al
rinnovo di un contratto scaduto da anni; nessun accenno al recupero
degli scatti di anzianità maturati. Nessun accenno alle risorse cui
attingere.
Il livello di chiarezza e di completezza dei
proponimenti sulla scuola lasciati in eredità da Tremonti al
neoministro dell’Istruzione e al nuovo governo appare talmente scarso
da destare serissime preoccupazioni in chi vive sulla propria pelle le
conseguenze dei colpi già inferti.
Di certo c’è che lo statuto dell’Invalsi è
stato appena ridefinito (autonomo ma sottoposto alla vigilanza del
MIUR, quindi non indipendente) e la circolare per la rilevazione
esterna degli apprendimenti 2011/12 emanata il 18 ottobre scorso,
ma, contemporaneamente, i risultati delle indagini pedagogiche
italiane e internazionali più recenti invitano alla cautela.
Nelle loro analisi sul "valore aggiunto",
esse rilevano differenze significative di efficacia tra classi,
non tra istituti. Rilevano inoltre una forte correlazione tra
rendimento e status socio-culturale e addirittura l'incremento delle
differenze di rendimento tra studenti con opposte caratteristiche
socio-culturali, il che significa che le scuole inserite in contesti
svantaggiati sono già in partenza penalizzate. Mette appena conto
notare che nel progetto sperimentale di valutazione delle scuole
proposto l’anno scorso dal MIUR, l'erogazione del "premio" veniva
garantita a una percentuale predefinita di scuole cosiddette
"migliori", dunque con una logica esattamente opposta a quella che il
semplice buon senso (e l'art. 3 della nostra Costituzione)
suggeriscono: dare più risorse alle scuole in difficoltà.
Il "valore aggiunto" appare dunque,
sotto il profilo pedagogico, come un indicatore scarsamente
informativo, se non fuorviante e iniquo.
Ma, soprattutto, e lo chiediamo al nuovo
ministro, quale incremento di valore si potrà mai misurare, dopo un
triennio di politiche scolastiche che non solo non hanno incrementato i
fattori produttivi indispensabili alla realizzazione di qualsivoglia
surplus, ma, al contrario, hanno deliberatamente eroso le fondamenta di
questa istituzione, sottraendole sistematicamente risorse e
investimenti?
La scuola statale italiana, un sistema
geograficamente e antropologicamente complesso che rispecchia le
profonde varietà sociali, economiche e culturali del nostro territorio,
è oggi un malato terminale.
Un malato terminale che sopravvive solo grazie
alle cure volontarie di quei lavoratori e di quelle famiglie che,
nonostante tutto, credono fortemente nella funzione di promozione
civile e sociale che il mandato costituzionale ancora oggi le assegna.
Un malato terminale a cui l’Europa chiede di alzarsi e correre, per
gareggiare in merito, efficienza, efficacia, innovazione,
competitività, mercato.
L’efficacia di un sistema di istruzione si
alimenta con investimenti nella formazione permanente delle sue risorse
umane, con lo snellimento della burocrazia e l’arricchimento del
capitale culturale, con la promozione di una cultura della valutazione
costruita in primis sull’autovalutazione (proprio come insegniamo ai
nostri alunni) del sistema-scuola, con l’analisi articolata e ragionata
dei suoi complessi processi di insegnamento/apprendimento e non di
singoli, parziali prodotti; un’analisi condotta attraverso forme e
indicatori, quantitativi e qualitativi, condivisi e costruiti in
primo luogo dai soggetti della scuola ma, soprattutto, che sia
preceduta da investimenti significativi sulla sicurezza degli edifici
scolastici e dalla creazione di nuove scuole; che sia accompagnata da
investimenti significativi sulle attività didattiche dei bambini e
degli adolescenti normodotati, disabili, non italofoni, o con bisogni
speciali, partendo da una drastica riduzione del numero degli alunni
per classe e dalla creazione di un organico stabile e funzionale in
ogni singola scuola, al quale venga garantito uno stipendio adeguato,
agevolazioni fiscali sull’acquisto di libri e materiali didattici,
condizioni di lavoro dignitose, una formazione pedagogico-didattica di
alto profilo.
Nel 2006, il Commissario europeo per
l’istruzione, la formazione, la cultura e il multilinguismo, Jan
Figel’, spiegò che “sistemi d’istruzione e formazione efficienti
possono avere un notevole impatto positivo sulla nostra economia e
società ma le disuguaglianze nell’istruzione e nella formazione hanno
consistenti costi occulti che raramente appaiono nei sistemi di
contabilità pubblica”.
Se il nuovo ministro e il nuovo governo non
riconosceranno nella necessità di risollevare radicalmente le sorti
della scuola italiana un obiettivo prioritario, una vera e propria
emergenza, i costi, sociali ed economici, che il nostro paese sarà
destinato a pagare saranno davvero insostenibili.
Anna Angelucci
Coordinamento scuole secondarie di
Roma