L’ errore blu era il
più grave, quello che automaticamente faceva precipitare il voto finale
verso il basso. Quello rosso, invece, non era preoccupante, spiccava
sulla pagina senza incutere timore. Nel mondo della scuola, quei due
colori, due estremità di un’unica matita, avevano un senso preciso.
Come tante altre convenzioni, il registro, l’appello, il compito in
classe, condivise dalla comunità degli alunni e dei professori,
sopportate, odiate, rifiutate, in ogni caso vissute come una pezzo
incancellabile dell’esistenza: «Avrei detto, fino a poco tempo fa, che
la scuola non è più il luogo centrale della formazione e che la maggior
parte degli insegnanti ha perso il senso della propria missione. Poi,
prima d’iniziare a girare, ho fatto sopralluoghi, ho conosciuto
docenti, ho assistito a lezioni, e mi sono convinto che quelle aule
sono tuttora importanti, perchè è lì che, nel bene e nel male, i
ragazzi, per la prima volta, si confrontano con il loro futuro. Il
punto è non trasformare l’esperienza scolastica in un’occasione
mancata».
In una scuola romana a due passi dal Gianicolo, Giuseppe Piccioni gira
in questi giorni Il rosso e il blu , ispirato al libro omonimo di Marco
Lodoli (Einaudi), prodotto da Biancafilm in collaborazione con Rai
Cinema, e dedicato a una delle istituzioni più problematiche e discusse
d’Italia. Non è un film sulla Gelmini e nemmeno un manifesto in favore
della scuola pubblica, però ogni personaggio e ogni storia parla di
oggi e dice quanto sia importante, nonostante tutto, conservare quei
banchi, quelle vecchie lavagne, quelle tecnologie che non funzionano,
quei professori che portano in classe, insieme a libri e conoscenze, il
carico delle loro vite: «Lodoli è un insegnante-scrittore, le sue
annotazioni riportano sempre a temi d’attualità, io, però, non sono mai
stato un autore che batte cassa sul sociale. Ho sempre pensato che
Guerra e pace sia un capolavoro perchè parla della vita e non di guerra
e di pace».
Fondamentali, quindi, i profili umani, disegnati dai tre attori
protagonisti, Margherita Buy, la preside Giuliana, Riccardo Scamarcio,
il giovane supplente, Roberto Herlitzka, il vecchio professore. Intorno
a loro si muove una scolaresca che diventa spesso detonatore di
esplosioni cruciali: «Con la scuola - racconta Buy - non ho mai avuto
un buon rapporto, sono sempre stata rimandata o bocciata. E’ curioso,
adesso, ritrovarmi nei panni di una preside, una donna che non ha avuto
figli e che, paradossalmente, vive dalla mattina alla sera in mezzo ai
ragazzi». L’incontro con un quattordicenne, abbandonato da una madre di
cui sembrano essersi perse le tracce, le riproporrà il nodo centrale
dell’esistenza: «E’ un evento che sta lì a ricordarle un errore,
Giuliana farà molto, molto di più del necessario, per aiutare l’alunno,
e, alla fine, la riflessione sulla sua vita non sarà del tutto
negativa». Il professor Scamarcio («la scuola per me era un incubo») è
invece animato da un tenace ottimismo della volontà, ma non è facile
risolvere problemi annosi: «Vivo il mio incarico - racconta l’attore -
come una grande opportunità, voglio insegnare qualcosa di importante,
soprattutto comunicare positività, capacità di non arrendersi.
Se c’è il videoproiettore rotto faccio di tutto per farlo funzionare,
sono quasi ossessionato dalla mania di risolvere i problemi». Una
tensione destinata a scontrarsi con l’atteggiamento di alcuni studenti,
ma anche, e soprattutto, con quello di altri professori, a iniziare dal
cinico insegnante di storia dell’arte, un monumento di sapere che ha
smarrito il senso della professione: «Le speranze spiega Herlitzka - mi
ritornano grazie a un’ex-alunna, vivo con lei una specie di redenzione
personale nella quale la tragedia della cultura non ha molta parte».
Quella resta. E con essa, dice l’attore, la spinta a ribellarsi contro
il «degrado della scuola, che è indice del più ampio degrado della
società. I ragazzi sono un terreno da coltivare e gli insegnanti, se
realmente lo vogliono, dispongono di tutti gli strumenti adatti a
sollecitarli. Per questo la loro categoria andrebbe coltivata e non
depauperata come invece avviene».
Dentro quell’universo comune, fatto di «rosa-rosae, di Leopardi, di
Dante, di Foscolo», si consuma, riflette Piccioni, il primo,
fondamentale faccia a faccia tra «ordine e disordine, dove
l’adolescenza rappresenta il secondo. Credo ci siano insegnanti che
hanno sbagliato professione, ma anche che ce ne siano tanti altri,
mille volte più validi degli intellettuali che tengono banco in tv. Il
ricordo più bello dei miei anni di scuola è legato a loro, a quei
professori che hanno tentato di farmi studiare cose come il De bello
gallico , cose di cui allora non capivo assolutamente nulla».
(da http://www3.lastampa.it/)
redazione@aetnanet.org