Che cosa succede
quando l'anniversario dell'Unità d'Italia incontra le donne? Che cosa
succede quando le donne decidono di riprendersi il Risorgimento, di
scendere in piazza e dire 'la rimettiamo al mondo noi l'Italia'?
Succede che 150 anni di storia si ritrovano in un giorno, che non è il
17 marzo, nascita dell'Italia unita, ma l'8 marzo, data simbolo che
quest'anno per molte sarà il proseguimento di quel 'Se non ora quando'
che il 13 febbraio scorso ha visto la piazza (in tante città italiane)
riempirsi di un milione di donne (e di uomini). Succede che 150 anni di
narrazioni sul ruolo delle donne nella vita del Paese diventano
autonarrazione delle donne sul loro ruolo nella società
italiana.
Con un compito, che è anche l'appello della manifestazione:
'Rimettiamo al mondo l'Italia'. Già, perché non è la prima volta. Del
resto si dice madrepatria, la parola nazione si declina al femminile,
Italia è un nome di donna. Da dove viene e dove conduce una
identificazione così forte? Certo è che non sono state le donne a
sceglierla, così come non sono loro a decidere oggi di raccontarsi come
spesso fanno i mezzi di comunicazione.
Ma tra la retorica della donna prevalente (anche) nel Risorgimento e
l'immagine femminile che riempie i rotocalchi mai come in questo 2011,
c'è la narrazione che le donne in 150 anni hanno fatto della differenza
di genere. Una narrazione di cui questo 8 marzo rappresenta l'ultimo
capitolo. Non per tutte scritto bene.
Nadia Urbinati, Ida Dominijanni, Olivia Guaraldo e Maria Serena Sapegno
spiegano all'agenzia di stampa Dire che cosa c'è dietro l'immaginario
italiano del genere femminile e che cosa vuol dire (nel bene e nel
male) scendere in piazza martedì prossimo per riprendersi il
Risorgimento e rimettere al mondo l'Italia.
Nadia Urbinati - Professoressa di Scienze politiche alla Columbia
university di New York, è autrice di diversi saggi tra cui il recente
'Liberi e uguali. Contro l'ideologia individualista' edito da Laterza
"Non è dal Risorgimento che parte quell'immaginario secondo cui la
donna è solo madre da proteggere, ma può essere anche prostituta da
desiderare e condannare; donna che non merita di far parte della vita
politica e sociale del Paese. In Italia la matrice etica di questa
visione femminile è nel cattolicesimo, in una storia molto più vecchia
quindi. Non dobbiamo dimenticare che il Risorgimento è stato prima di
tutto laico. I democratici come Mazzini includevano le donne a pieno
titolo nella cittadinanza. I liberali non le inclusero, tuttavia i loro
argomenti erano morali, propri del loro retaggio cattolico; ma
politicamente la loro posizione era indifendibile poiché una volta
accettato il principio del consenso come base di legittimità del
governo (il sistema rappresentativo), l'esclusione delle donne dal voto
presentava una contraddizione facile da confutare, come infatti avvenne.
La narrazione delle donne cambia radicalmente con la conquista
antifascista e democratica del diritto di voto: da quel momento la
donna acquisisce libertà individuale a trecentosessanta gradi - le
grandi vittorie degli anni Sessanta e Settanta ne sono un esito
conseguente, scritto nella nostra Costituzione. Tuttavia, non
confondiamo i diritti legali e politici con il rispetto morale e il
riconoscimento: benché gli uni e gli altri siano teoricamente
correlati, la loro relazione sociale e storica é più complessa. Ancora
oggi il ruolo delle donne deve fare i conti con un'educazione dei
sentimenti e una cultura etica profondamente imbevuta di valori
cattolici, che assegnano alla donna una posizione cruciale nella sfera
della famiglia, ma non in quella socio-politica.
In questo senso le manifestazioni delle donne - quella del 13 febbraio
e quella in programma per l'8 marzo - possono essere importanti, perché
si tratta di manifestazioni che toccano il mondo dei valori, che
contestano un modello di donna (madre-prostituta) che in questi ultimi
anni ha conosciuto una straordinaria rinascita pubblicitaria. Quelle
date sono importanti segni dell'esigenza di recuperare un punto di
vista femminile differente, che faccia della libertà un segno
distintivo di emancipazione morale e rispetto, non di manipolazione e
corruzione. Ma non basta. Perché in Italia la situazione è grave,
sordida, e in più affaticata da una cultura diffusa che resiste alla
critica radicale dei costumi. È da qualche generazione ormai che le
donne hanno in mano il loro destino politico, e sarebbe il caso che
tirassero fuori gli artigli per mostrarlo e dichiarare la loro volontà
di prendere in mano anche il loro destino sociale e morale: di
pretendere rispetto e volere autonomia, una carriera costruita senza
bisogno di vendere il proprio corpo. Una manifestazione è un'esperienza
esistenziale importante, ma c'é il rischio che il giorno dopo tutto
rimanga uguale a prima. Occorre qualcos'altro: che cosa fanno le donne
in Parlamento? Non dovrebbero sentire il peso del loro ruolo? Il
premier ha costruito il suo potere anche grazie a molte di loro, che
ancora oggi gli sono fedelissime. Se questa rivolta di tipo etico (non
moralistico, come ci vogliono far credere i corifei del premier), di
affermazione della dignità delle nostre istituzioni, e quindi nostra
come cittadine, penetrasse oltre l'opposizione politica e diventasse
anche opposizione etica, allora sarebbe possibile avere un Parlamento
meno corrotto, meno sordido. Invece questo non avviene, perché i
modelli che noi abbiamo introiettato dopo trent'anni di tv spazzatura
sono quelli di donne possibilmente prostitute, sempre madri, qualche
volte colleghe, spesso adoranti, a volte subdole, ma comunque sempre in
una posizione subordinata, mai autonome e libere".
Ida Dominijanni - Editorialista de 'il manifesto', ha curato per Franco
Angeli il volume 'Motivi della libertà'. Collabora con il corso di
laurea in Filosofia dell'università di Roma Tre e con la comunità
femminile Diotima dell'università di Verona
"Mi pare che dietro le quinte della manifestazione del 13 e delle
celebrazioni del 150^ dell'Unità d'Italia si stia giocando un conflitto
non dichiarato sulla figura della madre. Se si richiama l'immaginario
che identifica la donna con la nazione, l'ideale onnipotente della
donna che può far 'rinascere' l'Italia, il rischio è di ritornare alla
figura tradizionale della madre garante dell'ordine patriarcale, così
come etimologicamente suggerisce la parola madrepatria: madre del
padre. E' una mossa inversa rispetto a quella del femminismo della
differenza, che ha ridisegnato la figura della madre come
autorizzatrice di libertà femminile, in conflitto con l'ordine
patriarcale.
La differenza fra queste due versioni della figura materna è sottile ma
decisiva: la prima ristabilizza l'ordine socio-simbolico che la seconda
destabilizza. Per capirlo, proviamo a guardare la situazione dalla
parte degli uomini. A me pare evidente che il Berlusconi-gate, mettendo
in scena l'estrema miseria di un certo modello di virilità, colpisca la
dignità degli uomini prima che quella delle donne, e dovrebbe
costringerli a mettersi di fronte alle proprie responsabilità e
complicità rispetto a quel modello. Alcuni cominciano meritoriamente a
farlo, ma molti preferiscono saltare il problema e scendere in piazza
come accompagnatori e paladini delle donne, le quali a loro volta li
accolgono maternamente. Le piazze del 13 febbraio erano piene di
istanze diverse, e certamente c'era l'esigenza positiva di far sentire
una forza femminile collettiva; ma io ho avvertito il timbro prevalente
di una potenza materna tradizionale e rassicurante, una potenza tanto
grande da rimettere al mondo l'Italia. È il paradigma della donna
brava, che lavora, mette al mondo dei figli e salva la comunità in
pericolo, contrapposto alle presenze perturbanti delle 'donne permale'
che circondano il Sultano.
Questa contrapposizione rassicura certamente gli uomini, che da sempre
dividono le donne in madri e puttane: ma serve a noi donne? Io credo di
no. Non solo perché il femminismo lotta da sempre contro questa
contrapposizione. Ma anche perché non credo che possiamo liquidare con
un giudizio morale queste 'donne permale', che sono invece degli
indicatori preziosi per un'analisi seria del Berlusconi-gate. Che a sua
volta non si può ridurre a un insieme di comportamenti immorali o poco
decorosi. Proprio se analizziamo le vite e le parole della 'ragazze
permale', vediamo che dietro l'immagne della donna-oggetto c'è la
pervasità della forma di merce, c'è la tragedia di un precariato che
porta i corpi al mercato del sesso, c'è il potere di un post-fordismo
selvaggio e di un bio-capitalismo spietato, c'è il disincanto di una
generazione di giovani donne che non possono permettersi di fare le
brave madri. Di tutto questo non ho mai sentito parlare le donne che
vogliono rimettere al mondo l'Italia. Ma senza parlare di tutto questo
e senza combattere contro tutto questo, non c'è nessuna possibilità di
rimetterla al mondo".
Olivia Guaraldo - Professore aggregato di Filosofia politica
all'università di Verona, è fra gli autori di 'Filosofia di Berlusconi'
edito da Ombre corte
"L'idea della nazione implica una sorta di comunanza, di condivisione.
E non è un caso che spesso le immagini della nazione siano femminili,
come la madrepatria. Ma il rischio è quello di strumentalizzare il
femminile per un riconoscimento quasi carnale all'interno della
nazione. Detto questo, la mobilitazione delle donne può essere letta
come una presa di coscienza della necessità di un nuovo Risorgimento
per l'Italia. Sono d'accordo nel dire 'se non ora quando' perché se c'è
un momento in cui bisogna scendere in piazza è proprio questo, anche se
i toni usati per convocare la manifestazione del 13 febbraio erano
troppo tradizionali: dire 'la dignità delle donne è la dignità della
nazione' significa mettere in campo un'equivalenza che appunto può
essere strumentale, perché le donne vengono prese e usate quando c'è
bisogno di rafforzare la nazione. Ma proprio per questo, rievocare
un'immagine come quella che suggerisce l'appello 'Rimettiamo al mondo
l'Italia' può voler dire per le donne riappropriarsi di un simbolico
femminile che è sempre stato decretato da altri. Si è visto durante la
manifestazione del 13 febbraio, che ha dato a tante la possibilità di
esprimere un disagio, ognuna in modo individuale. L'autonarrazione di
molte di quelle donne è proprio questa: 'Ci sentiamo simbolicamente non
rappresentate in questo Paese, ci sentiamo simbolicamente travisate
nell'immagine che nei media compare delle donne'. Questo momento di
mobilitazione può davvero avere un impatto sulla società nella sua
interezza perché sono le donne a sottrarsi a un'immagine che è stata
buttata loro addosso da altri, sia in passato, come donna simbolo della
nazione, sia ora, con l'immagine della donna liberata parodiata nei
programmi televisivi in cui le donne stanno lì a sedurre gli uomini e
allora sono liberate.
In questo senso, il Risorgimento evocato oggi potrebbe essere la
necessità di mettere in discussione questi modelli che non sono slegati
da un modo di intendere la politica, nel senso alto del termine.
Significa far capire alla società che non ci può essere una democrazia
compiuta senza le donne considerate non come cosa accessoria (per cui
'i diritti li diamo anche alle donne'). Una democrazia compiuta al cui
centro ci deve essere l'autodeterminazione femminile e la libertà
femminile. Ma per rimettere al mondo l'Italia è necessario coalizzare
diversi soggetti: non solo ed esclusivamente le donne, ma tutte le
persone che non si riconoscono in questo Paese".
Maria Serena Sapegno - Professoressa di Letteratura italiana
all'università di Roma La Sapienza, fa parte del comitato 'Se non ora
quando?'
'"Rimettiamo al mondo l'Italia', perché in piena celebrazione dei 150
anni dell'unità, bisogna dire che questa Italia è stata fatta un po'
male. A partire dalla narrazione della nazione che ha la meglio nel
Risorgimento, identificata con una donna violentata, brutalizzata e
bisognosa che i suoi figli la liberassero dall'oppressore. E se da un
lato questa lettura femminile ha un ruolo unificante, perché gli
italiani sono uniti dal fatto di essere figli, dall'altro questa
immagine, con i rischi razzisti che comporta evocare il sangue, implica
sempre che qualcuno è dentro e qualcuno è fuori. Ma non solo. Perché le
donne, durante il Risorgimento così come negli anni successivi,
diventano madri dei patrioti, e sulla base di questo chiedono una
cittadinanza: 'Perché siamo madri', questa è la coscienza del tempo.
Poi arriva il primo femminismo suffragista, la partecipazione alla
Resistenza e il diritto di voto, premio per il loro contributo. Ma non
basta. Le cose cambiano completamente con il movimento delle donne.
Un'operazione veramente rivoluzionaria, perché le donne per la prima
volta si pongono come soggetto autonomo, a cui però - e questa è la
nostra analisi -non seguono sufficienti misure: la società civile
italiana non è in grado di recepire fino in fondo la portata di questo
cambiamento. Non solo, c'è addirittura un ritorno indietro. Ancora oggi
fare figli è un fatto privato: 'Sono fatti tuoi, lo fai e non lavori, o
comunque non fai carriera'. L'obiettivo di questa mobilitazione allora
è ricominciare, e riaprire una grande stagione che sia il più possibile
unitaria, trasversale, di tutte le donne. Anche coinvolgendo gli uomini
che siano interessati. Ma questa è e deve rimanere una battaglia di
genere, devono essere le donne a guidarla.
Questo 8 marzo significa portare avanti il clima di unità e di
trasversalità della manifestazione del 13 febbraio, che ha mostrato la
forza e le potenzialità infinite del movimento: 'Ma allora possiamo'.
Dire 'rimettiamo al mondo l'Italia' è un fatto simbolico, perché
bisogna proprio cambiarla l'Italia, e devono cambiarla le donne. Serve
una nascita simbolica di un'altra Italia. Vuol dire questo, non 'siamo
tutte madri'. Non vuol dire siamo di nuovo costrette in quel ruolo, ma
che l'Italia ha bisogno che anche le donne la producano, perché fino ad
ora non è stato così. E poi c'è questo gioco verbale sul mondo: a causa
di questa cultura orrenda tutto il mondo ride di noi. Ma se le donne
possono raccontarla in un mondo diverso, allora l'Italia si riapre al
mondo. Oggi, dopo 150 anni, la rifacciamo noi, perché c'è bisogno di
una nazione più giusta e più egualitaria per tutti". (a cura di
Nicoletta Di Placido da www.dire.it)