Due studenti
modenesi di prima dell’Istituto tecnico Barozzi aiutano un medico a
salvare la vita a un anziano investito e sbalzato giù dal suo
ciclomotore. «Eravamo in tanti alla fermata l’altra sera - ricordano -
e nessuno degli adulti accennava ad avvicinarsi al poveretto steso per
terra. La dottoressa chiamava, siamo accorsi noi. Abbiamo girato su un
fianco il signore che sembrava avesse smesso di respirare, poi lui s’è
ripreso». Una studentessa di Castelfranco di una seconda classe si
ferma a scuola, a Modena, nel pomeriggio, per aiutare una compagna
neoitaliana a fare i compiti. «È stata contenta, mi voleva addirittura
pagare», racconta lei immaginando di raccontare una storia normale.
Poco tempo fa un alunno dell’istituto linguistico Selmi andava ogni
settimana a prelevare a casa il suo prof. di Italiano, cieco, lo
portava al campo di atletica, legava il suo braccio sinistro al braccio
destro di lui con un lungo laccio e insieme correvano sulla
pista.
Che succede a scuola? Sono diventati all’improvviso buoni, i
nostri studenti? Certo che no. Anzi, il disagio giovanile diventa
sempre più stringente nelle nostre aule. I ragazzi hanno compreso il
messaggio tetro che arriva loro: non avrete un lavoro, né un futuro e
neppure una pensione, visto che vi abbiamo rubato tutto. Prendiamoci
dunque il presente, sembrano rispondere: perché mai stancarci, ora, per
ottenere qualcosa da spendere nell’avvenire? In questa sindrome da
breve respiro si fa presto a diventare impulsivi, cinici e anche
egoisti. Eppure la colpa non è dei ragazzi. Quando si creano le
condizioni - familiari, sociali e scolastiche - i ragazzi danno il
meglio di loro stessi, ora come quarant’anni orsono. A fare la
differenza sono i modelli di riferimento. Come si può pretendere dai
più giovani di non sporcare per terra se dalle auto in corsa si vede
volare ogni genere di cose? Come si fa a chiedere che non fumino se i
genitori fumano anche in casa e se i prof. lo fanno di fianco a loro
nei cortili delle scuole? Come si fa a reclamare che siano curiosi e
intraprendenti se i loro genitori li trascinano con i loro Suv fin
dentro le aule e si caricano gli zainetti sulle spalle perché i
poverini non abbiano a ripetere lo sforzo sostenuto da loro negli anni
della scuola? Perché limitarsi a criticarli se guardano Maria De
Filippi o programmi dove gli adulti piangono in diretta invece che un
programma culturale o un film in bianco e nero sul Neorealismo o sul
Sessantotto, chiedendo poi loro il conto per l’ignoranza sui temi di
attualità? Basterebbe che le loro famiglie li indirizzassero e non
dessero per scontato che “si sa, sono giovani”. Una mattina una classe
è stata portata, fuor di programma, a guardare la registrazione di una
fiction Rai dedicata a Franco Basaglia, padre della legge 180 sulla
malattia mentale. Nessuno degli studenti aveva visto quel film in prima
serata, a casa. Tutti però hanno apprezzato il film e dopo essersi
commossi e istruiti, alcuni hanno pure pianto. L’iniziativa è stata
ripetuta con altre classi, con analoghe reazioni. I nostri ragazzi
sanno essere migliori degli adulti che questo mondo hanno costruito.
Vincenzo Brancatisano
vi.bra@fastwebnet.it