Se è vero che
l’arte è una forma di rispecchiamento della realtà storicamente
determinata dalla varietà dei rapporti economici e sociali
intercorrenti fra gli uomini di un determinato periodo, e se è pur vero
che essa di codesta realtà umana riesce, a suo modo, a farsi
interprete, attraverso alla coscienza critica e problematica degli
scrittori più sensibili, dei mutamenti e delle esigenze reali del
proprio tempo, caratterizzandone gli aspetti più “ tipici” e
significativi in ordine alle tendenze reali e ideali della società;
allora possiamo intendere in che senso l’arte del realismo della
seconda metà dell’Ottocento è a suo modo, nelle sue varie fasi e nei
suoi vari aspetti, una forma di “rispecchiamento” della “ presa di
coscienza”, da parte degli scrittori, della complessa e mutata realtà
sociale e delle contraddizioni oggettive in essa indotte dai processi
di accumulazione capitalistica e di industrializzazione propri del
mondo borghese.
In effetti, il dibattito teorico sul romanzo nella seconda metà
dell’800 si fa sempre più ampio e articolato, sia in Francia come
in Italia, nella misura in cui, proprio in questi due paesi, come del
resto poi in tutta Europa, tra gli anni ’60 e ’80 avvengono profonde
trasformazioni economiche politiche e culturali, che impongono, anche
nel campo artistico – letterario, una rifondazione del ruolo
dell’intellettuale nella nostra società industrializzata e di massa, e
una rimeditazione del rapporto arte-società.
La diffusione delle dottrine positivistiche del marxismo e del
socialismo insieme con la maturazione politica della coscienza di
classe del movimento operaio, mentre da un lato creano modi nuovi, e
talvolta spregiudicati, di analizzare a fini conoscitivi la realtà,
espressi peculiarmente nel rifiuto di ogni metafisica a favore di
teorie che si limitano a scoprire le leggi e i vari fenomeni naturali e
storici, e a riconoscere, in codeste leggi, l’unica verità
dimostrabile; dall’altro, offrono agli scrittori nuove teoriche per un
approccio più scientifico con la realtà storico-sociale, espresso nel
rifiuto di ogni mitologia romantico-idealistica a favore di un’arte
oggettiva e realistica.
A ragione scrive Sipala che il realismo della seconda metà
dell’Ottocento è “ incardinato come movimento nella storia” e che “ la
coerenza della sua elaborazione intellettuale e poetica ha fondamento
nella coerenza stessa della sua ricerca del vero rivelato dalla scienza
e definito/costruito dalla storia”
Sarà, dunque, la scienza ad offrire alla letteratura gli strumenti per
la nuova indagine.
Ai postulati della Bellezza e della Verità ideali la nuova arte
contrappone il nudo e crudo vero con la “v” minuscola; al
soggettivismo, al dramma psicologico abbondantemente impiegati dal
romanticismo in letteratura sino alle forme più languide ed estenuate
del sentimentalismo edulcorato e lacrimoso, il nuovo
scrittore-scienziato contrappone la serietà di un impegno sociale
dell’arte intesa a prospettare e a realizzare un quadro organico del
mondo fenomenico ispirato a criteri di oggettività, razionalità e
sistematicità.
Il romanzo diventa una “forma d’inchiesta sociale”, un coraggioso atto
di accusa e di denuncia delle piaghe e delle colpe, delle miserie e
delle contraddizioni della civiltà borghese, “un documento umano”,
storia dei costumi e dell’ambiente ricostruiti e analizzati secondo il
metodo positivo proprio delle scienze fisiche e naturali. (1)
In tal senso, Balzac, Flaubert, De Goncourt segnano con i loro romanzi
i precedenti più immediati del naturalismo e del romanzo “sperimentale”
di Zola.
Balzac, nella prefazione alla sua Comédie Humaine, aveva
già teorizzato che l’analisi sociale era il fine del romanzo,al posto
della ricerca dei valori assoluti e astratti, e che il romanziere
doveva farsi sociologo. La società umana andava studiata alla stessa
stregua di un sistema naturale e con metodo “scientifico”. Zola,
rincarando la dose, scriverà nella prefazione alla seconda edizione del
romanzo Therése Raquin :” …il mio fine nel comporre il romanzo è stato
soprattutto un fine scientifico…Ogni capitolo è lo studio di un curioso
fatto fisiologico…Ho semplicemente fatto su due corpi vivi il
lavoro analitico dei chirurghi sui cadaveri”. E ancora : “…per il
romanziere tutta l’operazione consiste nel prendere i fatti della
natura, studiarne il meccanismo agendo su di essi attraverso
modificazioni di circostanze e di luoghi, senza mai scostarsi dalle
leggi della natura”( Le roman expérimentale).Ecco formulata la teoria
del romanzo naturalista, del romanzo “sperimentale” le cui “pezze di
appoggio” saranno le leggi darwiniane sull’evoluzionismo, gli studi
sulla ereditarietà di Lucas, la fisiologia delle passioni di Letourman,
l’introduzione alla medicina sperimentale di Bernard, la filosofia
dell’arte di Taine, la sociologia di Comte (“ La circolazione sociale è
identica a quella vitale”) e, infine, il socialismo : “Ogni volta ormai
che intraprendo uno studio mi trovo di fronte il socialismo” ( Zola).
In altre parole, il metodo sperimentale porterà alla conoscenza
scientifica dell’uomo nella sua azione individuale e sociale. In più,
con Zola la battaglia per una letteratura “vera” e “sociale” coinciderà
con la scoperta degli effetti ideologici e politici che la
rappresentazione oggettiva comporta, con la convinzione cioè che solo
avendo il coraggio di guardare in faccia la realtà è possibile svellere
,o comunque risanare, le piaghe sociali e raggiungere,così, uno stadio
di reale progresso : “ Noi cerchiamo – scrive Zola – le cause del male
sociale : facciamo l’anatomia delle classi e degli individui per
spiegare i guasti che si producono nella società e nell’uomo. Questo ci
obbliga spesso a lavorare su soggetti corrotti, a scendere in mezzo
alle miserie e alle follie umane. Ma noi forniamo i documenti necessari
perché si possa, conoscendoli, dominare il bene e il male. Ecco ciò che
abbiamo visto, osservato e spiegato in tutta sincerità; ora spetta ai
legislatori far nascere il bene e svilupparlo, lottare contro il male,
per estirparlo e distruggerlo…La nostra virtù non è più nelle parole ma
nei fatti” ( Roman expérimentale )
.
La disposizione verso il popolo nel naturalismo, almeno con Zola, è
cambiata, perché mutato appare l’atteggiamento ideologico degli
intellettuali e degli artisti nei confronti delle classi oppresse.
Scrive Fortini che “l’antagonismo cosciente di classe si era
enormemente accresciuto nel trentennio che va dal ’48 alla fine degli
anni ’70; e che, da parte della intellighenzia borghese avanzata, gli
strumenti interpretativi erano mutati da strumenti volti a recuperare
le somiglianze a strumenti volti a sottolineare le diversità. Le
tecniche del naturalismo sono a un tempo la negazione del tardo
romanticismo rivoluzionario( I miserabili) erede a sua volta della
letteratura populista dell’età di Luigi Filippo, che cerca di
rinfrescare l’antico patto fra borghesia repubblicano-giacobina e
sanculotti; e sono l’affermazione di una possibile sintesi a un più
alto livello, quello rappresentato dalla ideologia della scienza, ossia
dall’incontro degli intellettuali radical socialisti e delle masse
organizzate: la sintesi da cui nascerà – e di cui morirà –
l’intellettuale militante della prima metà del XX secolo”.(2) Ciò
significa, nel caso specifico di Zola,- incalza ancora Fortini - che i
nodi di fato biologico e di determinazioni sociali entro cui sembrano
costretti a muoversi i personaggi, siano essi borghesi o proletari,
sono poi la molla che fa scattare la carica eversiva, la presa di
coscienza del personaggio, che acquista una caratterizzazione ben
precisa e, quindi, un “ruolo” e una funzione “ideologica”. A
esemplificazione di ciò, basterebbe leggere “Germinal”, che è una
vigorosa testimonianza sulle reali condizioni di lavoro nelle miniere e
una spietata denuncia contro gli egoismi padronali,ecc.ecc., oltre che
un romanzo “psicologico”.
In che rapporto sta il verismo del Verga con il romanzo naturalista
francese? Quali le affinità metodologiche e ideologiche con il realismo
“scientifico”?
Diciamo subito che le ascendenze metodologiche del verismo verghiano ci
riportano, prima ancora che a Zola, a Balzac e a Flaubert. Il discorso
sulla ideologia comporterebbe un altro tema a parte e, quindi, lo
tralasciamo come un “caso” da studiare in altra sede.
Qui possiamo dire questo: per Verga l’incontro col naturalismo e la
grande narrativa francese fu decisivo ai fini della maturazione delle
sue istanze realistiche, nel senso che da questi autori derivò la
unitarietà di ispirazione per un intero ciclo di romanzi e la
chiave per una rappresentazione vera e schietta della realtà
“contemporanea”. Il piano dell’opera verghiana risponde alla
aspirazione di una rappresentazione globale della società, e l’ottica
che presiede alla organizzazione di questa totalità è modellata
sulla sociologia deterministica; la realtà è vista come un organismo
naturale il cui motore è la lotta per l’esistenza che ne dirige il
corso vitale. Lo stesso ordine della distribuzione narrativa del ciclo
dei “Vinti” segue uno schema evoluzionistico, che dal basso sale verso
l’alto.
Senonché, il concetto di romanzo come rappresentazione scientifica
della realtà contemporanea corrisponde pienamente in Verga
soprattutto alla scoperta di un metodo con cui esprimere la
propria virile e fatalistica accettazione della realtà storica, un
metodo che era insieme punto di arrivo “sia ideologico che estetico di
un lento processo di maturazione di antiche esigenze realistiche e di
superamento di irrisolte vocazioni idealistiche”.(3) E’, cioè,
l’acquisizione di una teoria del romanzo grazie alla quale realizzare
una conoscenza realmente scientifica della realtà, oggettiva nella
misura in cui non appariva più legata alla sua ottica umanamente
passionale( Si legga la lettera al Farina ) .
Allora, il canone della impersonalità come metodo da realizzare nella
scrittura dell’opera d’arte, appare lezione mutuata più che dal
naturalismo di Zola, dal realismo flaubertiano. Si ricordi quanto
scrive Flaubert in una lettera a Louis Colet del 1852 a proposito della
“impassibilità” dello scrittore:”..l’autore deve essere nella sua opera
come Dio nell’universo: presente dovunque, non visibile in nessun
luogo. Bisogna che in tutti gli atomi, in tutti gli aspetti dell’arte (
che è come una seconda natura) si senta l’impassibilità ascosa e
infinita. L’effetto, per lo spettatore, deve essere quello di uno
sbalordimento. Deve dire: “Come è stato fatto tutto ciò?” Deve sentirsi
annichilito senza sapere il perché”.
E’ questa la formula estetica che fa propria il Verga nel momento in
cui risolverà il problema della oggettività e con esso la questione
dell’arte verista con la teorizzazione della impersonalità, eliminando
così ogni intervento “estraneo”, costringendo la complessità oggettiva
della materia e l’analisi soggettiva, se pur scientifica, dell’autore
entro i limiti di una entità estetica autonoma, vivente di moto proprio.
Anche per Verga, come già per Flaubert, la mano dell’artista nella
composizione dell’opera “doveva rimanere invisibile”, e l’opera d’arte
doveva prendere “l’aria di un avvenimento reale, quasi si fosse fatta
da sé e avesse maturato e fosse venuta fuori spontanea senza portare
traccia della mente ove germogliò, né dell’occhio che la intravide, né
delle labbra che ne mormorarono le prime parole”.
Scrive Spinazzola . “ …la poetica della impersonalità media e racchiude
tutti i motivi di forza del naturalismo verghiano…Per Verga l’arte è
essenzialmente una metodologia ; non forma ideologica di conoscenza, ma
forma artistica di rappresentazione, “forma” il cui scopo supremo è
quello di restituire l’uomo alla realtà e la realtà all’uomo”.(4)
…
Note:
1) G. Debenedetti, Verga e il naturalismo,
2) E.Zola, Germinale.Traduzione di C. Sbarbaro.Introduzione di
F.Fortini- Oscar Mondatori,1976
3) Musitelli Paladini, Nascita di una poetica:il verismo. Ed. Palumbo.
4) Spinazzola, Verismo e positivismo. Ed. Garzanti.
Nuccio Palumbo
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