Ho
ancora un brivido di emozione pensando e ripensando alla bellissima
giornata di domenica 12 settembre 2010, quando tantissimi precari della
scuola come me hanno sfilato per le vie di messina.Unica nota poco
piacevole e' stata quando il clima con la polizia e' diventato caldo
all'imbarcadero dei traghetti.
Il motivo? Quella risposta da parte delle forze pubbliche c'e stata
perché tutti volevamo solo per un momento attirare l'attenzione, fare
sentire la nostra disperazione e la rabbia che ognuno di noi ha per
aver perso, o forse per non aver mai avuto, il "posto" tanto ambito e
che ha tanto sudato, nel settore della scuola. Invece siamo stati
scambiati per terroristi, per facinorosi. Nessuno di noi ha minimamente
reagito con atti provocatori che possano giustificare una o piu'
denunce di qualsiasi genere o natura. Siamo educatori, tutti, lo
sottolineo: i docenti, che ogni giorno hanno a che fare con la fascia
sociale piu' sensibile che e' quella dei futuri uomini e donne di
questa societa', "i ragazzi; il personale ata che, tra l'altro,
assicura la vigilanza dei ragazzi nelle scuole garantisce il buon
funzionamento dei servizi di supporto alla didattica.
Non siamo lottatori abituati a fare atti sconsiderati o violenti, siamo
solo persone disperate, ognuno con il peso della propria storia
privata, molto provata sia dal punto di vista economico che anche dal
punto di vista della propria gratificazione professionale. Molti di noi
continuano a passare la maggior parte del loro tempo sui libri ad
accrescere la propria formazione professionale.
Io per prima, iscrittami alla seconda laurea dopo due abilitazioni e
vari master conseguiti, mi chiedo di continuo che senso abbia tutto
questo; perche' continuo a sperare di poter rientrare nel comparto
della scuola quando, assieme a tutti gli altri, siamo stati definiti
"precari-fantasma", una zavorra sociale … Mah! Forse perche' stare con
i ragazzi, trasmettere saperi, cultura anche empatia, é quello che oggi
mi rendo conto riesco a fare meglio, dopo tanti anni di lavoro.
Da quando ho iniziato a fare l'insegnante prima come pendolare, lontana
molti chilometri dalla mia provincia, mi sono sempre chiesta se gli
sforzi fisici, economici e psicologici alla fine avrebbero avuto un
ritorno positivo; ma questo me lo chiedo ancor di piu' oggi, quando da
un anno sbatto contro un muro formato dall'indifferenza della gente
(che e' poco sensibile al problema che sta devastando la scuola ) e da
un gigante dalle dimensioni mastodontiche: una politica sorda non solo
al problema di noi precari, ma anche al problema scuola, intesa come
integrazione e formazione di individui sociali.
Tra breve saro' definitivamente disoccupata. Partecipo ai famosi
"progetti regionali", famosi non di certo per la loro bella nomea , e
il 30 novembre dovro' salutare quei ragazzi con i quali ho instaurato
un sereno rapporto di rispetto reciproco, ai quali trasmetto ogni
giorno sapere, gli stessi che si chiederanno fra qualche mese che fine
avro' fatto e perche' li ho dovuti abbandonare dopo aver trovato la
chiave per poter interagire con loro.
Risanare il debito pubblico con i soldi risparmiati dalle risorse umane
della scuola non mi sembra proprio una grande manovra economica in un
paese che si vuole tenere al pari degli altri paesi europei, sopratutto
perché nazioni come Germania o Danimarca investono proprio nel settore
dell'istruzione e della formazione. Io dal mio canto, continuero' a
dare voce alla mia categoria; lo faccio per la mia dignita'; in primo
luogo come individuo di questa societa', in secondo per la mia
famiglia, perche' un giorno, comunque, possa dire a mio figlio che non
ho subito passivamente che qualcun altro decidesse del mio futuro.
La nostra e' una repubblica democratica fondata sul lavoro, vorrei che
per me, per noi, non fosse solo un'utopia.
Paola Migliaccio
(docente precaria catanese in lotta
per la difesa della scuola pubblica e del posto di lavoro. -da
Flc_Catnaia)
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