Prima ora:
lezione di federalismo. A partire però dal mitico «caso concreto».
Qualcuno potrebbe obiettarmi: in queste ore di urgenze ed emergenze, di
protesta del mondo della scuola che monta e cresce, tu te ne vieni
fuori con l’argomento più ammosciante, incomprensibile, da addetto ai
lavori che esista in Italia?
Vi riporto dal cielo alle fogne. A chi tocca aggiustare la mia scuola?
Come dire: è meglio approcciare il problema da un punto di vista
sistemico o cartesiano oppure meglio ancora ripartire dai vissuti
fenomenologici? Il fatto è che nel corridoio della succursale della
scuola dove insegno, e io insegno esattamente nella succursale, ebbene,
in quel corridoio esalano i tubi rotti che provengono dai bagni dei
maschi. Tra la questione «federalismo» e «il tubo rotto» ci sta in
mezzo tutta una galassia. Cominciamo dall’inizio e spero di farla
breve: a Palermo su 280 scuole di pertinenza comunale (ormai sono
ferratissima in materia: pertinenze, competenze , fondi, finanziamenti,
rimbalzi), e cioè elementari e medie, 81 sono in locali in affitto.
Quando va bene si va avanti, quando va male va malissimo. Il problema è
che va quasi sempre malissimo. La mia succursale è proprio in un locale
in affitto. Momentaneamente da quarant’anni: un ex magazzino
trasformato in scuola: un ingresso, due corridoi lunghi, ai due lati le
aule, in fondo i bagni. Potrebbe essere una camerata di un esercito, un
ospedale, un manicomio, un campo di concentramento. Con nera ironia
potrei dire che a volte è un po’ di tutto ciò.
Da quarant’anni nessuno si è preso la briga di effettuare manutenzione
ordinaria. Apri oggi, apri domani, anche l’infisso più bello si rompe,
l’intonaco si scrosta, i bagni diventano latrine. Lo scorso anno
abbiamo avuto la visita di diversi personaggi: scarafaggetti, un topino
morto, muffe, e poi riscaldamenti a singhiozzo, e vabbè. Vetri rotti, e
vabbè. Acqua dal cielo: sia ringraziato il cielo che ce la manda. Ed è
iniziato il minuetto delle responsabilità. Sotto a chi tocca aggiustare
tutto ciò: al proprietario? No. Al Comune. No. Alla Regione? No. Allo
Stato? No. Ricominciamo dall’ultimo banco. A chi tocca? Al
proprietario? «guardi che non vi paghiamo l’affitto», intima il Comune.
Ecco. Forse tocca al proprietario. Intanto siamo a febbraio. Piove,
fischia il vento, urla la bufera e noi stiamo lì.
Intanto il ministro ci manda due bellissime lavagne multimediali. Fatto
sta che non abbiamo in questo istante l’aula dove metterla, in
succursale almeno. La piazziamo nella sala professori? Ma sì, dietro la
fotocopiatrice guasta, accanto al tavolone, con intorno sedie tutte
diverse. No, non è design scandinavo: mancano proprio le sedie e a
volte mi capita di trascinarmela dietro, la mia sedia. A me come ai
ragazzi. E pure il banco. Manco fosse quello di Marx alla British
Library, ancora lì col suo nome e cognome. La preside inizia a far il
suo tipo di rumore: un fax dai toni allarmanti indirizzato al prefetto,
al sindaco, all’edilizia scolastica, al patrimonio, al consiglio
comunale, al presidente della regione Sicilia, eccetera, eccetera,
eccetera.
E poi viene maggio e giugno e la scuola è finita. Durante l’estate li
fanno questi lavori è vero, ma solo ieri abbiamo visto cosa, delle cose
che ci servivano è stato fatto... Si prospettano guai, doppi turni,
riunioni sindacali, genitori allarmati e fax. Fiumi di fax. Si
prospettano ragazzini dimenticati in modo ignobile. Qualcuno mi spieghi
meglio e bene: il federalismo, il titolo V della Costituzione Italiana
(quello della delega amministrativa delle competenze alle regioni anche
in materia scolastica), la questione meridionale (saremmo a statuto
speciale qua in Sicilia, speciale non si capisce bene in cosa... è una
battuta), l’antimafia, la furbizia, il senso del dovere, la saggezza e
l’umile buon senso. Entro cinque minuti però, sennò ve lo spiego io. E
altro che cinque in condotta. Sarebbero da espulsione da tutte le
scuole del regno, come si diceva una volta. Io invece in quella scuola
ci devo entrare e ci devo stare. Con 300 ragazzi dal 15 settembre.
(da l'Unità.it di Mila Spicola)
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