I
genitori cominciano a pensare che sia meglio una istituzione
specializzata piuttosto che un inserimento solo sulla carta, senza
servizi adeguati, nelle scuole normali. (da Il Corriere)
Invece di pensare a formare docenti
più qualificati per sostenere questi ragazzi, a finanziare le necessità
delle scuole si pensa al loro isolamento, a nuovi bagni civili per
toglierli perfino dalla vista e dalla solidarietà dei compagni di
classe il cui aiuto e sostegno è indispensabile per una vera e degna
integrazione. Dopo i terroni, gli immigrati, i docenti regionali si sta
aprendo il nuovo fronte dei disabili: quale sarà il prossimo?
p.a.
redazione@aetnanet.org
L'integrazione scolastica degli alunni con disabilità scricchiola? I
genitori cominciano a pensare che sia meglio una scuola specializzata
piuttosto che l'inserimento solo sulla carta, senza servizi adeguati,
nelle scuole normali? Il campanello d'allarme sta suonando da qualche
tempo, e una serie di interventi nel forum «Ditelo a noi», nel canale
Disabilità di corriere.it, ha rivelato come, sia pure a malincuore,
alcuni genitori — stanchi di combattere contro i mulini a vento, in una
scuola pubblica spesso in crisi di identità, di personale e di
strutture — cerchino per i propri figli con disabilità grave una
soluzione di ripiego, che si presenta però sotto forma accattivante di
specializzazione, competenza, presa in carico personalizzata.
Le cosiddette «scuole speciali», che non sono più previste dalla nostra
legislazione, stanno dunque riaffacciandosi: non sono mai del tutto
scomparse, e vivono in quest'ultimo periodo una nuova e imprevista
popolarità. Un fenomeno non particolarmente esteso dal punto di vista
numerico, si parla di qualche migliaia di alunni, ma quanto basta a
mettere in discussione uno dei pilastri della legislazione scolastica
italiana, una legge che risale al 4 agosto 1977, la n. 517, che per la
prima volta sanciva "«orme di integrazione a favore degli alunni
portatori di handicaps con la prestazione di insegnanti specializzati».
Sono trascorsi 33 anni, e l'Italia è divenuta un modello di
integrazione apprezzato in tutto il mondo. Un modello che ha
profondamente modificato la scuola nel suo complesso, migliorando
fortemente la socializzazione dei ragazzi disabili, e, di converso,
l'accettazione delle diversità (i compagni di classe diventano quasi
sempre amici degli studenti con disabilità). Anche l'insegnamento ne ha
tratto giovamento, per riconoscimento ampio e non contestabile.
Una scuola a misura di handicap è una scuola migliore, capace di
ascoltare, di mettersi in discussione, di valorizzare le capacità dei
migliori senza perdere di vista le difficoltà di apprendimento di chi è
più fragile. Ma la stanchezza di questo modello è evidente, nonostante
la sentenza della Corte Costituzionale che ribadisce il diritto a una
integrazione in classi non sovraffollate. Ma non è giusto che la
responsabilità della scelta ricada solo sui genitori, nel silenzio
delle istituzioni scolastiche, nel vuoto di un dibattito culturale, che
sembra inaridito. Un'ultima notazione, personale: sono nato con una
grave disabilità fisica, e senza l'inserimento nella scuola pubblica,
in tempi nei quali ancora le leggi non esistevano, la mia vita avrebbe
preso tutt'altra direzione e non sarei riuscito a raggiungere nessuno
degli obiettivi «normali» che invece non mi sono mai stati preclusi. Mi
dispiacerebbe vedere l'Italia tornare indietro. Non è giusto.
Franco Bomprezzi
E’ questa un’altra
di quelle notizie che ci prendono alla sprovvista, dopo il dibattito
lungo e intelligentissimo sulla integrazione scolastica degli alunni
disabili che all’epoca, a metà degli anni settanta, si chiamavano
andicappati. Fu anche una lotta culturale per fare passare il concetto
che questi ragazzi non bisogna inserirli in scuole speciali dove il
confronto, lo spirito di emulazione, il modello di “normalità” manca:
si parlava di scuola di tutti e di abolire il ghetto dove erano
costretti (ne abbiamo visitata qualcuna, da studente, all’epoca).
Ritornare a quelle esperienze sarebbe un regresso morale, educativo,
didattico e culturale del tutto gravissimo e fuori da qualunque
intendimento umanitario e sociale. Invece di pensare a formare docenti
più qualificati per sostenere questi ragazzi, a finanziare le necessità
delle scuole, si ipotizza quasi cinicamente il loro
isolamento, si immaginano nuovi bagni civili per toglierli perfino
dalla vista e dalla solidarietà dei compagni di classe il cui aiuto e
sostegno è indispensabile per una vera e degna integrazione. Dopo i
terroni, gli immigrati, i docenti regionali si sta aprendo il nuovo
fronte dei disabili: quale sarà il prossimo?
Pasquale Almirante