L’ultima riforma ha diminuito un po’ il tempo che gli studenti
trascorrono a scuola per frequentare le lezioni e ciò ha suscitato un
vivace dibattito. I detrattori della riforma affermano che questa
diminuzione comporta un attentato alla qualità della scuola e quindi
meno opportunità educative per le giovani generazioni. E’ facile
intuire che dietro questa affermazione, tutta da dimostrare, ci siano
anche altre comprensibili ragioni, in particolare la diminuzione dei
posti disponibili per gli aspiranti insegnanti e per gli insegnanti non
ancora di ruolo.
La situazione delle migliaia di insegnanti che non sono stati assunti
stabilmente nella scuola statale negli ultimi anni è sicuramente molto
penosa ma non sarebbe giusto risolverla perpetuando una situazione che
non permette di affrontare i veri problemi. Tutti gli studi
internazionali mettono in evidenza la principale contraddizione della
scuola italiana: tante ore di lezione alla settimana, tanti giorni di
scuola nell’anno, bassi risultati in termini di apprendimento degli
studenti, bassi salari degli insegnanti. Insomma: tanta scuola di bassa
qualità. L’orario di lavoro degli insegnanti è un tempo parziale:
18 ore in classe alla settimana per la secondaria e 24 per la primaria.
Diventa un tempo pieno se alla presenza in classe si accompagna un
adeguato lavoro per la preparazione delle lezioni, la correzione degli
elaborati degli studenti e lo sviluppo di adeguati strumenti didattici.
Tuttavia questo lavoro è scoraggiato dagli stipendi bassi, per cui,
nella maggioranza dei casi, il lavoro dell’insegnante resta un lavoro a
tempo parziale, che in genere convive con gli impegni familiari per le
donne e con un secondo lavoro per gli uomini. Non c’è da stupirsi se il
risultato è una scuola di bassa qualità. I migliori non puntano
all’insegnamento, chi ci arriva lo sente spesso come un ripiego e anche
i meglio intenzionati dopo qualche anno di eroici tentativi si adeguano
ad un basso livello di professionalità e ad un rapporto poco
significativo con gli alunni. Le eccezioni ci sono ma, come dice il
proverbio, l’eccezione conferma la regola. D’altra parte per la scuola
non si può spendere più di tanto senza mettere in crisi il bilancio
dello stato. La coperta è corta, quindi la scelta è fra tante ore di
lezione, tanti posti per gli insegnanti, stipendi bassi e pochissime
risorse per migliorare la didattica , oppure, a parità di spesa
pubblica, meno ore di lezione, meno posti per gli insegnati, stipendi
più alti e maggiori risorse per una didattica di qualità. Vediamo
ora il tempo scuola da un altro punto di vista, dal punto di vista
degli studenti. Occorre premettere una considerazione: l’apprendimento
è una responsabilità personale. Nessuno può apprendere al posto di un
altro. Molte operazioni possono essere supplite, una figlia gentile può
lavare i piatti al posto della mamma, una mamma premurosa può
rassettare la camera del figlio ma non potrà mai imparare le tabelline
al suo posto. La scuola ha perciò il compito di rendere possibile e più
facile lo studio degli alunni ma non può mai sostituirsi a loro.
Chiediamoci ora se molte ore di lezione di bassa qualità sono un aiuto
o un ostacolo all’apprendimento. Sono senz’altro un ostacolo. E’ ben
noto che il tempo durante il quale si può stare attenti è limitato,
però si pretende che i nostri studenti stiano attenti per un minimo di
cinque ore di fila per sei giorni alla settimana con brevissime
interruzioni fra una lezione e l’altra. Il risultato è che per molto
tempo, durante la mattinata di scuola, gli studenti fanno altro:
pensano agli affari loro, giochicchiano con qualunque cosa capiti loro
fra le mani, chiacchierano con il vicino di banco ecc. Insomma
ingannano la noia nell’impossibilità di seguire la lezione. Di più, e
questo è gravissimo, si abituano a non ascoltare l’insegnante.
Non basta più che l’insegnante sia presente e che parli: per essere
indotti ad ascoltarlo occorrono gli effetti speciali. Ma c’è ancora di
più. Per apprendere non basta partecipare in modo attivo alle lezioni
occorre anche del tempo da impiegare per un’assimilazione personale
degli argomenti trattati a scuola. Quanto tempo? Venti minuti per ogni
ora di lezione? Fanno dieci ore alla settimana, più le trenta a scuola
fanno quaranta ore. Se poi le ore di scuola fossero trentasei il totale
salirebbe a quarantotto. Pochi adulti lavorano tante ore!
Gli studenti perciò si autoriducono il lavoro scolastico, che così
perde di qualità e perciò di gusto: diventa disgustoso. Come stupirsi
allora che già alle medie i ragazzi maturino disistima e disaffezione
nei confronti della scuola, disistima e disaffezione che in molti casi
diventa ostilità, talvolta furibonda, come testimoniano i non rari casi
di grave vandalismo a danno delle strutture scolastiche.
Gli orari ipertrofici e gli insegnanti
con scarsa professionalità producono una scuola che, invece di favorire
l’apprendimento, lo impedisce. Naturalmente ci sono le
eccezioni, ma come abbiamo già detto, le eccezioni confermano la
regola. Che fare allora? Meno ore di
lezione e insegnanti con maggiore professionalità. Un orario di
servizio a tempo pieno, che copra tutte operazioni necessarie ad una
didattica di qualità. Uno stipendio adeguato che non faccia sfigurare
chi sceglie la carriera dell’insegnante nei confronti dei compagni di
università che scelgono altre carriere e che non induca ad un secondo
lavoro.
Questi sono solo alcune delle azioni necessarie per affrontare
l’emergenza educativa, sono però azioni indispensabili. Tutto ciò vale
al cento per cento per la scuola secondaria di secondo grado (dai
quattordici anni in su). Anche per la primaria e per la secondaria di
primo grado le considerazioni fatte mantengono tutta la loro validità.
Occorre però anche tener conto della necessità di un babysitting di
qualità per i bambini e i preadolescenti delle famiglie in cui entrambi
i genitori lavorano a tempo pieno. Questo è un altro discorso e non è
detto che soddisfare questa necessità sia compito precipuo ed esclusivo
della scuola, anzi non è detto che il fatto che più tempo a scuola sia
la migliore risposta a questo bisogno sociale.