I
precari sono 200 mila persone in carne e ossa, docenti e
personale tecnico. Hanno 39 anni in
media: troppo vecchi per rifondare la propria identità
professionale, troppo giovani per arrendersi. Si tratta del
maggior licenziamento di massa della storia, enormemente
superiore all’affare Alitalia, in prima pagina per settimane. Riduzioni
agghiaccianti: quasi 130 mila posti di lavoro, 82 mila docenti e 45
mila tecnici.
Redazione
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Riduzioni agghiaccianti: quasi 130 mila posti di lavoro, 82 mila
docenti e 45 mila tecnici. C’è chi rileva con pedanteria che il totale
non corrisponde a chi non lavorerà, perché una parte verrà assorbita
dai pensionamenti. Dobbiamo rallegrarci? La categoria precariato è così
fluttuante che non merita nemmeno un inquadramento specifico nei “meno”
del saccheggio di diritti costituiti dall’operazione Gelmini-Tremonti.
Duecento mila sono solo i supplenti con incarico annuale fino al 30
giugno, cui vanno aggiunti i circa cinquantamila reclutati per periodi
brevi. Abile creazione del sistema per mantenere la propria immobile
esistenza, prodotto da politica e amministrazione, mercificando vite e
consentendo alla scuola costi bassi ma senza garanzie, il precariato ha
visto il suo boom con la scolarizzazione di massa.
Tra il 1960 e ’75 il concorso non riuscì soddisfare la domanda di
insegnanti e così politiche economiche e amministrative stabili e
condivise fecero del precariato un metodo di reclutamento ispirato
dall’incapacità di concepire la scuola come luogo di cittadinanza. Non
si attuò un’attenta programmazione e non si selezionò il personale in
modo adeguato ai compiti richiesti dalla Costituzione: perfino per le
materie in sofferenza di organico furono attuati concorsi a distanza di
decenni.
Le cause: indisponibilità ad affrontare i problemi di gestione del
personale; mutato atteggiamento verso la spesa pubblica in istruzione.
In mezzo una giungla di provvedimenti, frutto di consociativismo spinto
e di dissennato e traversale disinvestimento su un modello di scuola
funzionale a un mondo in continuo cambiamento. Risposte occasionali,
provvisorie, “toppe” su situazioni sempre prossime a conflagrare;
estemporanee decisioni condizionate da tornate elettorali o da fasi di
maggiore rivendicazione da parte di chi – intanto – in una condizione
di precarietà economica, lavorativa, esistenziale, mandava avanti parte
della scuola italiana.
Uno dei molti possibili esempi di schizofrenia politico-amministrativa
è quello dell’istituzione nel 1998 delle Siss – Scuole di
Specializzazione per l’Insegnamento Secondario; nel 2000 è bandito un
megaconcorso per accesso a cattedra e conseguimento di abilitazione; in
parallelo, si dà vita a corsi riservati, rivolti a insegnanti (detti
“precari storici”) con almeno 360 giorni di supplenza, ancora per
l’abilitazione. Fu così abilitato un numero di insegnanti
sproporzionato, che generò peraltro un’incresciosa quanto ovvia
tensione tra “storici” e “sissini”.
Il consociativismo ha prodotto sanatorie, stabilizzazioni ope legis,
aggiustamenti di graduatorie, corsi abilitanti. In mezzo, donne e
uomini per cui, anno dopo anno, la cabala si compiva nei corridoi di
qualche provveditorato, in attesa di una chiamata tardiva per chissà
dove, ad anno scolastico già iniziato.
E non dimentichiamo gli studenti, di tutte le età, che negli anni, ogni
anno, hanno visto sfilare anche 3 o 4 supplenti e per i quali la
continuità didattica è stata formula suggestiva, mai praticata. “Non
pagheremo noi la vostra crisi” era uno degli efficaci slogan dell’Onda.
Invece quella crisi la stiamo pagando tutti. Ma loro più di tutti:
studenti precari e precari precarizzati.
(da Il Fatto- Boscaino)