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Umanistiche: L'UTOPIA:PENSARE UN'ALTRA SOCIETA' E' POSSIBILE

Rassegna stampa

L'UTOPIA: PENSARE UN'ALTRA SOCIETÀ È POSSIBILE

 

Per un percorso sull'utopia nella scuola superiore (come e perché)
di Roberto Lolli*

 

 

 

Un percorso sull’utopia è per certi versi il simbolo stesso dell’insegnamento della filosofia alle superiori. Di fronte all’insegnante ci sono giovani…(di Roberto Lolli,Treccani Scuola) alcuni dei quali sicuramente rivestiranno un giorno, a vari livelli, ruoli importanti nell’economia, nella politica, nella società. Ciascuno di essi dovrà allora assumersi una cruciale responsabilità: agire 'come si è sempre fatto', accettando passivamente prassi e mentalità, oppure 'come sarebbe meglio che si facesse', vale a dire ipotizzando soluzioni tese a migliorare eticamente e praticamente la realtà?
Siamo sicuri che il grigiore degli amministratori pubblici e l’ottusità etica di banchieri e imprenditori non si possa prevenire accendendo nei giovani il gusto per l’utopia, per l’astrazione e la fantasia politica?

Comunicare ai giovani che il cambiamento è possibile
L’utopia è solitamente presentata – dai non filosofi – come una specie di sogno a occhi aperti, di castello in aria, di favola. Ma se partissimo invece proprio da questo luogo comune e ne mostrassimo l’errore? Cosa c’era di più utopico della predicazione cristiana dell’eguaglianza nel mondo antico contrassegnato dalla schiavitù? O del vagheggiamento di una società tollerante per gli utopisti del Cinque e Seicento? Oppure, ancora, dei progetti seicenteschi e settecenteschi di democrazia che anticiparono la rivoluzione americana e francese? Più vicini ai nostri tempi, avvicinandosi il 60° e il 40° anniversario della loro uccisione, chi avrebbe giudicato realizzabile il progetto di secessione non violenta dell’India pensato dal Mahatma Gandhi o l’integrazione dei neri americani propugnata con gli stessi mezzi da Martin Luther King?
Mostrare che il nostro mondo attuale è il prodotto di una grande catena di utopie costruite nel passato potrebbe magari stimolare la riflessione politica degli studenti in funzione del futuro, identificando i bisogni da cui sono partiti gli antichi per arrivare al ragionamento sui bisogni di noi moderni.
Certo, il procedimento dell’attualizzazione sacrifica la scientificità dello studio, ma il problema fondamentale nella scuola superiore non è quello di creare dei piccoli studiosi già pronti per la ricerca accademica, bensì far scattare degli interessi e sottrarre i giovani alle mille seduzioni della banalità, tra le quali il disinteresse nei confronti della politica perché 'tanto non si può cambiare nulla', 'è tutto un mangia-mangia' e così via, sciorinando il repertorio del qualunquismo.

L’età delle utopie
Ciò che accomuna le diverse epoche in cui si sono succedute, come ondate, le opere filosofiche del genere utopico è la percezione di una condizione di crisi apparentemente senza vie di uscita. Se la democrazia era il correttivo alla tirannide, con che cosa si poteva emendare la democrazia che aveva processato e condannato Socrate? Questa domanda è all’origine del tentativo di Platone di prospettare nella Repubblica il celebre modello della Città Perfetta, governata dai filosofi. Se la corruzione tocca i Re e i Pontefici, coloro ai quali si guarda per la salvezza dell’umanità, quale speranza può mai esserci in questo mondo? All’inizio dell’Età Moderna Thomas More ripropone nella sua Utopia il tema della Città Perfetta dando avvio a un fortunato filone del pensiero rinascimentale che include La città del sole di Tommaso Campanella, La Nuova Atlantide di Francis Bacon e una costellazione di opere minori legate al mondo protestante, come la Christianopolis del rosacrociano Valentin Andreae o La nuova legge della giustizia di Gerrard Winstanley, leader degli egualitaristi diggers durante la Rivoluzione inglese. Al filone utopistico, in una chiave raffinatamente ironica, si possono collegare anche I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift.
Tutte queste opere, a vari livelli di complessità e di articolazione, esprimono attraverso la lente deformante della finzione del viaggio, della scoperta di un’isola, del luogo-altro, un’approfondita analisi delle contraddizioni del proprio tempo. In generale, la radice della crisi in atto viene identificata dagli autori in una condizione di patologico dissesto morale e il luogo-non-luogo, nel quale è raffigurato il modello della Città Perfetta, si caratterizza come un teatro in cui tutto è rovesciato: l’oro, simbolo della ricchezza e del potere nel nostro mondo, nell’isola di Utopia di More è il marchio distintivo dei criminali; l’ignoranza e il disinteresse verso il sapere non hanno diritto di cittadinanza nella Nuova Atlantide di Bacon, che descrive una società di scienziati impegnati nelle rispettive accademie (Le Case di Salomone) a ricercare e sperimentare ciò che è necessario per il benessere della popolazione; il disprezzo dei potenti per il lavoro e per la cultura scompare nella società di Campanella, nella quale tutti lavorano e mentre lavorano imparano perché su ogni muro, su ogni mattone sono trascritte le conoscenze umane, come su un’enciclopedia di pietra, e solo chi più sa sarà destinato a governare.
Nell’analizzare l’utopia nell’età moderna, potrà essere interessante il raffronto tra il filone utopico di More, Campanella, Bacon e l’approccio più realistico di Machiavelli e Bodin. Tra le due correnti vi è una convergenza profonda sul tema della necessità di modificare un presente inadeguato allo scopo di costruire un futuro più stabile, più pacifico e giusto; la differenza sarà colta nel fatto che gli utopisti cercarono di elaborare modelli innovativi, mentre gli altri rimasero ancorati alla classificazione tradizionale delle forme politiche già collaudate.

Il tramonto dell’utopia
Nel Settecento non mancarono le opere appartenenti al genere, ma si può dire che nell’età dell’Illuminismo queste fossero già qualcosa di più (o di meno) di un’utopia, erano già un progetto politico, le bozze per una ventata di riforme.
Dopo l’Età delle Rivoluzioni, nell’Ottocento l’utopia sopravvive nelle grandi ideologie politiche e nel mito positivista del Progresso, celebrato nei libri di Jules Verne. Il XX secolo, invece, è l’epoca in cui il genere utopico declina nel suo contrario, la distopia o utopia negativa. A determinare questa svolta contribuiscono la crisi delle scienze, il crollo del mito del Progresso e il tramonto delle ideologie politiche di massa. In questo cupo scenario crepuscolare si ambientano libri come Noi di Zamjatin, Brave New World di Huxley, 1984 di Orwell e film come Metropolis di Lang e Blade Runner di Scott. Queste opere testimoniano il prevalere dell’angoscia, perché con le due guerre mondiali sono approdate al fallimento tutte le teorie in cui la ragione confidava per la rigenerazione della società.
Ma la lettura di qualche pagina de Il principio speranza di Ernst Bloch o forse anche solo un attento ascolto di Imagine di John Lennon possono rianimare lo studente nella ricerca di un’astrazione utopica che raggiunga il proprio esito non nel donare una formula stabile in grado di correggere i mali dell’umanità – queste hanno sempre fallito o hanno contribuito al male stesso – né nel prospettare una fuga dalla realtà bensì nella capacità di illuminare il nostro presente perché guardiamo al futuro come un orizzonte di possibilità.

*Insegna Filosofia e storia presso il Liceo scientifico A. Roiti di Ferrara. Ha curato con P. Salandini l'opera di storia della filosofia Filosofie nel Tempo, diretta da Giorgio Penzo, 4 voll., Roma, SpazioTre, 2000-2006.


 

 









Postato il Domenica, 30 settembre 2007 ore 15:27:52 CEST di Salvina Torrisi
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