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Personale ATA: Statali, larghe intese antifannulloni:Il 70% degli italiani, sia a destra sia a sinistra, favorevole al licenziamento

Rassegna stampa

Tra gli italiani nel loro insieme l'idea suscita una larga approvazione. E, ciò che è più significativo, il consenso è presente tra tutte le categorie, con una accentuazione tra i più giovani e tra chi possiede un titolo di studio più elevato. Ancoramaggiore è l'adesione tra i residenti nel Nord-Est. Com'è ovvio, l'idea di licenziare trova minor plauso nell'elettorato di centrosinistra. Ma anche qui resta maggioritaria: persino tra chi si definisce di sinistra tout-court, il 62% condivide la proposta di Ichino. Unorientamento così diffuso trae origine dalla visione che, a torto o a ragione, gli italiani si sono fatti del settore pubblico. Giudicato dalla maggioranza (quasi il 60%) meno efficiente di quello privato (anche se il 14% - che diventa il 24% tra chi si dichiara di sinistra tout-court - lo ritiene viceversa più efficiente).
Al sostanziale accordo con l'idea di licenziare i «lavativi», si accompagna però la convinzione che il giudizio sull'efficienza dei singoli debba essere espresso da criteri oggettivi: la proposta, sempre avanzata da Ichino, concernente l'indicazione degli inefficienti da parte di altri lavoratori accusati di scarso rendimento, trova consenso solo in una minoranza (17%). Quasi tre italiani su quattro (anche in questo caso, specialmente i giovani), viceversa, suggeriscono una più estesa e puntuale applicazione dei sistemi di misurazione della produttività anche ai lavoratori pubblici.
Alcuni, pur condividendo il suggerimento di Ichino, ne hanno sottolineato la difficoltà - secondo qualcuno l'impossibilità - di implementazione, sia per le resistenze interne alla stessa P.A., sia per gli intrecci tra quest'ultima e il mondo della politica. Forse anche per questi motivi, gran parte degli italiani, benché persuasa dalla proposta in sé, non ritiene che la sua attuazione possa rendere davvero più efficiente il settore pubblico. Per questo, la maggioranza auspica, da subito, una più ampia riorganizzazione dell'intero comparto. Si tratta, certo, di una richiesta fondata.
E' del tutto evidente, infatti, che, oltre a sollevare conflitti sociali rilevantissimi, specie in certe zone del Paese (una larghissima parte della popolazione meridionale vive, come si sa, del «pubblico »), il licenziamento degli inefficienti non garantirebbe di per sé il ritorno al buon funzionamento del settore. Che necessita di interventi organizzativi e normativi di più vasta portata. Resta il fatto, però, che la reale introduzione, anche nel settore pubblico, della possibilità di licenziare, costituirebbe, secondo la maggioranza degli italiani - anche di quelli residenti al sud - un segnale forte di svolta e di rinnovamento.
Renato Mannheimer
31 agosto 2006
 

Tagli di spesa ed efficienza nel pubblico impiegoIl sindacato e i nullafacentidi Pietro Ichino STRUMENTIVERSIONE STAMPABILEI PIU' LETTIINVIA QUESTO ARTICOLO
Alla proposta di individuare i dipendenti pubblici totalmente improduttivi e di incominciare a tagliare lì, piuttosto che tagliare sugli investimenti o sui servizi pubblici che funzionano (Corriere, 24 agosto), i sindacalisti del settore hanno risposto, come previsto, con un «no» secco: niente licenziamenti; semmai «mobilità» e incentivi. Però hanno riconosciuto che il problema esiste, e in misura non trascurabile. Questo è già un passo avanti notevole: tutti dunque concordano che nell'amministrazione pubblica c'è una quota rilevante di nullafacenti.
Allora, che cosa intende fare di questi nullafacenti il ministro della Funzione pubblica? Continuare a voltar la testa altrove e a pagar loro lo stipendio a tempo indeterminato, mentre si taglia sulla spesa utile e sugli investimenti, sarebbe oggi intollerabile: non dimentichi, il ministro, che non si tratta dei lavoratori deboli e poco produttivi, ma di persone che non fanno proprio nulla, non ci sono e quando ci sono è come se non ci fossero; una categoria che alligna solo nel settore pubblico. È giusto ascoltare con la massima attenzione quel che dice il sindacato, ma nella materia di sua competenza, cioè in quella della protezione dei lavoratori; i nullafacenti, per definizione, non sono lavoratori.
Esaminiamo, comunque, le tesi dei sindacalisti su questo problema. La prima: licenziare non si deve, mai. Ma non sono forse licenziamenti anche i prepensionamenti di impiegati anziani che il governo sta studiando in questi giorni, con il tacito consenso degli stessi sindacalisti? E licenziando gli anziani, non si rischia di privare indiscriminatamente gli uffici pubblici di competenze talvolta preziose e insostituibili? Se ridurre gli organici bisogna, non è meglio incominciare con l'impiegato totalmente improduttivo, riservandogli per due o tre anni un trattamento di disoccupazione pari alla pensione anticipata che verrebbe data altrimenti all'anziano produttivo, e ovviamente verificando che non abbia un'altra occupazione nascosta e che sia davvero disponibile a un'occupazione regolare? Veniamo alla proposta alternativa della «mobilità ».
I sindacati del settore pubblico fino a oggi si sono sempre opposti in modo fermissimo a qualsiasi trasferimento autoritativo di dipendenti pubblici: la «mobilità» che essi propongono è solo quella «volontaria ». Ma questa non risolve il problema: nessun impiegato nullafacente ha mai acconsentito a trasferirsi in un ufficio dove si deve lavorare sul serio. In molti casi, poi, anche il trasferimento autoritativo non risolve il problema: per esempio, se un professore non insegna, perché ha altre cose da fare o perché non conosce la materia che dovrebbe insegnare, trasferirlo altrove significa soltanto infliggere il danno ad altri studenti. I sindacalisti del settore pubblico sostengono poi che il problema potrebbe essere risolto con gli incentivi economici. Tutti noi, però, conosciamo la determinazione con cui loro stessi hanno sempre perseguito gli aumenti salariali indifferenziati e hanno di fatto impedito l'attivazione di sistemi retributivi capaci di premiare impegno e produttività.
È comunque evidente che non può essere un premio di produzione a sradicare il fenomeno dei nullafacenti. A me sembra che la sola soluzione efficace sia quella a) di un organo indipendente di valutazione che individui i nullafacenti, almeno quelli più smaccati (operazione relativamente facile); b) di una norma che stabilisca nella massima inefficienza e inutilità il criterio prioritario di scelta da applicare per la riduzione del personale pubblico, incominciando dai dirigenti; c) diunprocedimento giudiziale nelquale il giudice, quando annulli un licenziamentoimpugnato, accerti altempostesso chi altro debba essere licenziato secondo la corretta applicazione dei criteri stabiliti, previa, ovviamente, chiamata in causa del nullafacente interessato, a garanzia del suo diritto di difesa.
Questa soluzione ai sindacati del settore pubblico non piace? Ne propongano un’altra;manon le chiacchiere che si sono sentite fin qui: una soluzione vera, incisiva, efficace. Certo, per essere efficace qualsiasi soluzione comporterà maggior rigore in un sistemache per decenni è stato intollerabilmente lassista. D'altra parte, la lotta alle rendite—comesi è appenavisto nella vicenda del decreto Bersani — qualche durezza la richiede («la rivoluzione non è un pranzo di gala»). E la posizione di rendita dei nullafacenti del settore pubblicononmerita indulgenza maggiore rispetto a quelle, tutto sommato meno costose per la collettività, dei tassisti edi alcune categorie di liberi professionisti.
Da una parte c'è l'interesse dei nullafacenti a continuare a godere della rendita che finora è stata loro assicurata; dall'altra c'è l'interesse della maggioranza dei lavoratori pubblici—quelli veri—a una retribuzione adeguata, l'interesse dei precari a uscire dall'apartheid cui sono stati finora condannati, l'interesse della collettività a non veder tagliare gli investimenti necessari per lo sviluppo economico del Paese. In questo conflitto di interessi i sindacalisti del settore pubblico da che parte stanno?
29 agosto 2006

 

Le reazioni dopo l'editoriale del professor Ichino sul Corriere della Sera Dipendenti nullafacenti, Prodi apre Cgil: «Diffamatorio come Berlusconi da premier. La Uil: «Non tocca al sindacato». Cisl: «Provocazione». Ma i lettori apprezzano STRUMENTIVERSIONE STAMPABILEI PIU' LETTIINVIA QUESTO ARTICOLO
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Pietro Ichino
dialoga con i lettori su recupero di efficienza del pubblico impiego, nullafacenti e sindacato


La proposta di Pietro Ichino, che sul Corsera del 29 ha scritto un editoriale dal titolo «Il sindacato e i nullafacenti», lanciando l'idea di una commissione che valuti quali lavoratori dello Stato sono i più nullafacenti e ne proponga il licenziamento (uno ogni cento era la proposta del giuslavorista) è arrivata anche alle orecchie del presidente del Consiglio.

Romano Prodi, intervistato alla festa dell'Udeur a Telese, apre a Ichino pur facendo dei distinguo: «In ogni mestiere servono i controllori- dice il premier- servono i controlli sui professori universitari che non fanno lezione o su chi si dà malato».

Insomma, «il discorso di Ichino sulla necessità seria di controlli anche nella pubblica amministrazione sia giusto, ma dando il diritto ai controllati di difendersi e perciò in questa commissione dovrebbero avere una parola, un ruolo, anche i sindacati». Certo è, conclude Prodi, che «non possiamo permetterci di avere degli intoccabili».

Dopo quella di Prodi, arriva la presa di posizione del ministro per le riforme e l'innovazione nella Pubblica amministrazione, Luigi Nicolais (Ds): «Il licenziamento non è la strada migliore per rendere più efficiente la pubblica amministrazione. È preferibile migliorare i sistemi di valutazione, dando la parola ai cittadini, che sono i fruitori dei servizi». «Nel disegno di legge che sto mettendo a punto è prevista proprio la possibilità per gli utenti di valutare l'efficienza e l'efficacia del lavoro della pubblica amministrazione», ha spiegato Nicolais, prendendo le distanze dalla polemica sui dipendenti pubblici nullafacenti, partita con i fondi di Pietro Ichino sul Corriere. «Come in tutte le amministrazioni esistono elementi di debolezza che non devono far dimenticare però i punti di eccellenza», ha detto il ministro, che ha ribadito l'importanza dell'elemento umano nel lavoro.

A difesa dei lavoratori della pubblica amministrazione è intervenuto anche Paolo Nerozzi della segreteria Cgil: «Non esistono nullafacenti - ha detto -. Le responsabilità dell'inefficienza dovrebbero essere ricercate piuttosto nelle dirigenze, non sempre idonee, e gli sprechi nel moltiplicarsi dei consigli di amministrazione e degli enti inutili, rispolverati nei cinque anni di governo Berlusconi».

L'editoriale dunque ha innescato un ampio dibattito nel mondo politico e sindacale italiano ma anche tra i lettori che approvano le posizioni del professore, come testimoniano le numerose email che sono giunte in redazione. Tanto che Corriere.it ha ritenuto opportuno aprire un forum sull'argomento, nel quale lo stesso Ichino risponde ai lettori.
Ichino propone di iniziare a tagliare dai dipendenti pubblici improduttivi e nullafacenti piuttosto che dagli investimenti o dai servizi pubblici che meglio funzionano. Ichino, tra l altre cose, propone un organo indipendente di valutazione che individui i nullafacenti, almeno quelli più smaccati. «La posizione di rendita dei nullafacenti del settore pubblico non merita indulgenza maggiore rispetto a quelle, tutto sommato meno costose per la collettività, dei tassisti e di alcune categorie di liberi professionisti», dice Ichino.
Sui dipendenti pubblici il professor Ichino «sbaglia e persevera nell'errore», commenta il segretario generale della Funzione pubblica Cgil, Carlo Podda. «Ichino non dà dati empirici, non fa confronti con il resto d'Europa, né segnala un caso in cui queste ricette abbiano dato risultati. Quella di Ichino è solo campagna diffamatoria, in linea con la posizione sui dipendenti pubblici di Berlusconi quando era presidente del Consiglio. Ichino è rimasto vittima di un colpo di sole».

Per una maggiore efficienza della pubblica amministrazione bisognerebbe «semplificare le procedure» piuttosto che «criminalizzare i lavoratori». Lo sostiene il segretario confederale della Uil Antonio Foccillo. «Se le cose non funzionano e ci sono i nullafacenti bisogna vedere perché si permette loro di esserlo. Ci sono modi per verificare chi lavora e chi no. Spetta ai capiufficio e ai dirigenti individuare chi non lavora. Non si capisce perché debba toccare al sindacato». Il segretario generale della Uil pubblica amministrazione, Salvatore Bosco, dice di «non capire il nesso tra le problematiche sollevate e la posizione del sindacato. Non è con i tribunali speciali o con la logica delle delazioni che si può realizzare l’obiettivo di una pubblica amministrazione più efficiente, ma con la corretta applicazione della normativa che già esiste».
«Ichino utilizza un luogo comune con frasi trite e ritrite», secondo il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni. «Ooccorre un nuovo piano industriale per la pubblica amministrazione».

«È una provocazione che spero e credo non abbia ispiratori nel governo», replica il segretario confederale e responsabile del pubblico impiego della Cisl, Gianni Baratta. «Un atteggiamento di moralizzazione ogni oltre limite che non dà un contributo serio al problema di migliorare l’efficienza dei servizi nella pubblica amministrazione. E poi le purghe appartengono alla cultura bolscevica».

«Invece di discutere sull'inefficienza di lavoratori, che giornalmente con il loro impegno consentono alla macchina statale di non fermarsi», afferma Fulvio Depolo dell'Ugl statali, «sarebbe più opportuno attivare un osservatorio con il fine di avviare un serio controllo sugli sperperi nella pubblica amministrazione».

Ma la posizione del professor Ichino ha trovato estimatori tra i lettori, come lo testimoniano le numerose email che sono giunte in redazione. «Mi auguro che il governo voglia finalmente affrontare il problema storico degli impiegati pubblici 'inesistenti' nullafacenti o meglio attivissimi in lavori produttivissimi solo per il medesimo», scrive Luca Biliotti. «Lo faccia per rispetto dei dipendenti pubblici che lavorano, questi sì che devono essere tutelati dai sindacati».
«Mi viene da pensare che ci sia sempre un'eterna volontà a lasciare le cose così come stanno», è l'amara considerazione di Ludovico, 26 anni, laureato precario a 830 euro al mese. «A lasciar cadere e sprofondare questo Paese che sta perdendo tutte le sfide della globalizzazione giorno dopo giorno. Un Paese che ha veramente paura di investire nei giovani».

«Non capisco perché non si estende ai lavoratori del settore pubblico la legislazione che regola i rapporti di lavoro nel settore privato», si domanda Alfredo Ancora, di Lecce. «Compreso il licenziamento per giusta causa e giustificato motivo prevsito dallo Statuto dei lavoratori, che gli stessi sindacati, giustamente, hanno difeso strenuamente pochi anni fa».
«Ichino quantifica i nullafacenti intorno all’1%, ma è ottimistico», porta la sua esperienza Sara Smarti, 36 anni, laureata con 110 e lode, titolo di avvocato, vari master e corsi post universitari. «Nella mia amministrazione (lavoro in un ministero) adocchio e croce io licenzierei il 20% del personale perché assolutamente inutile, improduttivo, incapace. Sono di sinistra, ma quello che ho visto in cinque anni di amministrazione mi ha reso spietata con questa categoria di persone. Ma ci sono anche quelli che non hanno perso ancora del tutto l’entusiasmo di lavorare e vorrebbero trovare il modo di farlo».
30 agosto 2006

 









Postato il Giovedì, 31 agosto 2006 ore 20:24:27 CEST di Salvatore Indelicato
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