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"Troverete un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia...". Chissà quante volte anche noi abbiamo assistito a questa scena, normale, semplice e sorprendente, la venuta al mondo di una nuova creatura. Un bambino con una mamma e un papà. E chissà quante volte abbiamo immaginato quella scena, "... lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché per loro non c'era posto in albergo". Forse per questo la natività di quel bambino per tradizione viene rappresentata nell'oscurità, al buio, di notte, "'nta la curina di lu friddu 'nvernu...", perché nel buio regna il mistero, l'inestricabile, l'incomprensibile. Tutto il resto è solamente dettaglio.
Ma allora dove sta la novità, l'evento clamoroso e soprannaturale, le scene di giubilo, l'esultanza del popolo, il faticoso e impervio cammino di alcuni uomini saggi "venuti dal lontano oriente". Tanto rumore per nulla? O c'era dell'altro in quella mangiatoia, c'era veramente qualcosa di nuovo, qualcosa di straordinario e di impensabile, qualcosa di inconsueto e di incredibile, qualcosa mai visto prima d'allora. C'era "qualcuno" laggiù, in quella povera mangiatoia, ai confini dell'impero. Qualcuno di inaspettato e di imprevisto, di incomprensibile anche per noi, che abbiamo sentito narrare quei fatti mille e mille volte. In quel luogo c'era la vita che nasceva e c'era la morte che moriva. Vita e morte che si toccavano nelle carni d'un bimbo, o forse c'era di più, vita e morte che si incarnavano in quel bimbo, l'infinito che diventava umano, immanente, tangibile.
Nella vita d'un uomo c'è la morte di dio, o è il dio che si curva e nasce bambino nella carne di un uomo. Di sicuro c'è un passaggio nella nascita, come nella morte, una "via" stretta che conduce a qualcosa e a qualcuno, una "pasqua" di liberazione, di trasformazione, di riconciliazione e di catarsi, incomprensibile per noi, uomini del nostro tempo.
Ne dobbiamo fare di strada noi per capire, ne dobbiamo fare ...
Angelo Battiato