Mi ricordavo solo quel bacio, quel lunghissimo e appassionato bacio
finale tra la “maestra di ginnastica” e il “segretario”, atteso per
tutto il film ed arrivato inaspettatamente, e durato a lungo, fino ai
titoli di coda… e anche oltre! Arrivato proprio quando tutto sembrava
finito, quando il povero innamorato don Celzani, aveva già fatto le
valigie e salutato il suo “signor zio”, per andare lontano, “a Genova
forse, o nelle lontane Americhe, o a Novara, da quel suo cugino” e
anche per la signorina Pedani era giunto il momento del non ritorno,
rimasta sola nella casa, che condivideva fino a poco tempo prima con la
signorina Zibelli. E alla fine, come tutte le cose belle,… arriva il
bacio, “l’apostrofo rosa sulla parola t’amo!”. Quel “Dio grande!”,
l’esclamazione che suggella la storia d’amore, nata in un palazzo della
buona borghesia torinese alla fine dell’Ottocento del neonato Regno
d’Italia.
E l’altra sera il film l’ho rivisto con immenso piacere su youtube,
diretto dal regista Luigi Filippo D’Amico, con Lino Capolicchio, nei
panni di Simone Celzani, e la prorompente Senta Berger, la “mitica”
Maria Pedani, il film è del 1973 ed ha ancora la freschezza e la
sensualità dei giorni nostri! Tratto dall’omonimo romanzo breve di
Edmondo De Amicis (l’autore del famoso libro Cuore), pubblicato quasi
clandestinamente nel 1892, “Amore e ginnastica” è un racconto che
tracima d’humour, sensualità, malizia e acutezza psicologica. Siamo a
Torino, alla fine dell’Ottocento, il giovane Simone Celzani è
perdutamente innamorato della maestra di ginnastica Maria Pedani. Lui,
timido, ex seminarista, ha un fisico tutt’altro che da sportivo.
Lei, al contrario, è bella, moderna con un fisico impetuoso e, per i
tempi, molto all’avanguardia, quasi spregiudicatamente femminista. E’
un’insegnante di ginnastica che ama il suo lavoro, che lo considera
quasi una missione sociale, un dovere civile da compiere per
l’elevazione morale, e soprattutto “fisica” dei giovani e dell’intera
società. Società che all’epoca, siamo all’indomani dell’unità d’Italia,
con una scuola basata ancora sulla legge Casati, tanto per intenderci,
è ancora “sfrontatamente” retrograda, provinciale e bacchettona. E la
scuola appare come un campo di battaglia dove si contrastano forze
divise tra slanci ideali, piccoli segreti individuali e “dissapori”
(diciamo così) tra colleghi,… proprio come ora, va. In fondo, non è poi
cambiata granché la scuola! De Amicis racconta infatti i retroscena di
una passione collettiva per una maestra di ginnastica, la Pedani,
bellezza femminile atletica e dominatrice.
Tra i suoi tanti spasimanti spiccano un ex seminarista, “dotato di una
forte sensualità contenuta”, e uno studente, che non ama perdere tempo
e appena può allunga le mani. Intrigante anche il rapporto della Pedani
con la Zibelli, un’altra donna, “femmineamente” vibratile e passionale,
con cui convive in un ménage abitativo complicato e sorprendente.
Tutt’intorno c’è la città di Torino, la capitale della nuova nazione
italica, con i suoi umori e malumori, le speranze e le attese, le
aspettative e la realtà. Soprattutto c’è la ginnastica, questo nuovo
“mito”, che incarna il desiderio ancestrale di rinascita e di riscatto
della carnalità, del corpo, e anche della nazione, dove tutto è da
costruire, “fatta l’Italia bisogna fare gli italiani”, appunto! E poi
c’è l’amore, sopra tutto, come sempre, l’amore che nasce dovunque, dove
meno te l’aspetti, anche in un condominio, nelle scale, nei salotti
della buona borghesia, e tra i corridoi e le aule degli edifici
scolastici, tra la bella grafia dei registri delle elementari e gli
abbecedari. E la teoria dell’amore che deve “abbandonare i movimenti
ginnici inutili e lenti per diventare dinamica e plasmare un corpo
agile, svelto, scattante, tramite l’esercizio fisico e il duro lavoro
quotidiano”.
E anche l’Italia deve compiere la stessa attività per ottenere un
progresso forte e vigoroso. Ma a me interessa soprattutto la storia
d’amore appassionata, vissuta, sofferta di don Celzani (don soltanto
per il comportamento e per gli studi seminaristi), follemente
innamorato, che come tutti (noi) innamorati si comporta come un pazzo,
senza riuscire a gestire la sua normale vita quotidiana con
discernimento. Non è un uomo muscoloso con un fisico prestante, ma per
amore della signorina Pedani corre in palestra ad affaticarsi in
moderni allenamenti. (Quantu po’ ‘n pilu di fìmmina!). Il suo unico
scopo è fare colpo su di lei. Ci riuscirà? Lei, intanto, è tutta casa e
scuola e non vuol sentir parlare di uomini, tutta presa com’è dalla sua
“missione” di diffondere il “verbo” della ginnastica nella “mente”
della scuola e della giovane nazione italiana.
L’incontro “fatale” fra l’amore e la ginnastica conduce all’esaltazione
e alla sublimazione del pensiero di “Lei”, effetto d’un sentimento
smisurato e appagante ed anche ad azioni bizzarre e quasi ridicole. Il
contrasto cresce sempre di più senza trovare un punto di incontro.
Quando poi tutto sembra perso si ritorna nell’unica strada possibile.
La ginnastica e l’amore. Un racconto rinascimentale, scritto con
dolcezza d’altri tempi e con esilaranti particolari linguistici. I due
personaggi per tutto il film sembrano non incontrarsi mai (come i due
innamorati nel Cantico dei Cantici. Che coincidenza!), sono quasi degli
esempi di due categorie sociali distinte, di due blocchi contrapposti,
di due Italie, una maestra dedita alla missione d’insegnare, “un lavoro
fondamentale per la patria”, ed un borghese, con un lavoro “ereditato
dal facoltoso zio”, intento a far quadrare i conteggi mensili ed a
contribuire alla crescita economica della nazione.
Ma alla fine quel bacio mette d’accordo tutta la storia, la nascita
d’un nuovo amore e la crescita dell’Italia. Quel lungo incredibile
bacio… “Dio grande!”. Peccato che è solo un film, peccato davvero…
Angelo Battiato