A migliaia e anche a decine di migliaia in processione
alle feste del Santo Patrono; fede non è, e spesso nemmeno vera
devozione. E solo folklore, tradizione che non riesce a renderci
migliori nemmeno per un giorno. Le feste nel passato avevano la duplice
funzione di rinsaldare i legami sociali di una comunità e di costruire
un'identità culturale e di costume attraverso l'esaltazione delle
figure paradigmatiche dei santi, proposti per le loro biografie, per le
loro virtù e per i loro miracoli. Le feste assolvevano ad un compito
importante di costruzione di legami sociali, di educazione popolare e
di riposo dalle dure fatiche della vita.
A tenere vivi questi legami si preoccupavano le confraternite,
composte da gente del popolo, che svolgevano il compito di tenere
accesa la fiaccola della devozione, elaborando le ragioni e il
significato dei riti, di cui esplicitavano il
contenuto religioso. A rinsaldare il sentimento di appartenenza
provvedeva l'attenzione per i casi umani che richiedevano
un impegno di solidarietà e di aiuto sociale.
Le confraternite erano vere e proprie strutture della società civile,
che dispiegavano tutto il loro potenziale sociale nelle processioni:
numero dei partecipanti, qualità e ricchezza dell'abbigliamento, della
festa e dei doni. Di fatto il gruppo dirigente assumeva ruolo e
rilevanza pubblici rispetto alla comunità della confraternità e
rispetto alla restante società. Non stupisce che il dispositivo di
mantenimento delle tradizioni, di secolarizzazione e di radicamento
popolare abbia consentito negli ultimi tempi, soprattutto nella società
meridionale, le infiltrazioni malavitose nelle vicende delle
confraternite e delle processioni, a garanzia della propria egemonia
sul territorio.
Il tempo che è passato ha stravolto il significato di queste
tradizioni, come ci insegnano le cronache. Sono state assunte dosi
massicce di mondanità che ne hanno travisato le fisionomie:
giochi, spettacoli musicali, abbuffate, spese smodate per giochi
pirotecnici, sfarzo, etc. Quel tanto o meglio quel poco di
religioso che resisteva nei riti delle feste, nella mescolanza
con questi elementi profani di grossolana qualità, è
andato a farsi benedire...
Mantenere le feste in queste condizioni è dal punto di vista
religioso insensato,anche se a parte del clero conviene per affermare
il carattere di fatto pubblico e sociale delle varie forme
dell'esperienza religiosa;bisognerebbe "cristianizzarle", sottrarle
allo spreco e al fracasso: ma non è facile.
Il confronto con i processi di secolarizzazione è una sfida seria e
importante e non può fermarsi all'eliminazione delle ridondanze di
mondanità dalle tradizioni religiose. L'opera di purificazione delle
espressioni di fede può condurre, infatti, ad un suo processo di
razionalizzazione, che finirebbe per confinarla in una zona residuale
delle preoccupazioni della vita quotidiana.
La ricollocazione del "sacro" nella società contemporanea è un'impresa
forse impossibile. Si tratta di far convivere una forma di "pensiero
primitivo", con una forma di pensiero razionale, operante a ritmo
pieno, di fattura sofisticata e portata ad escludere ogni forma di
diversità dall'orizzonte della coscienza individuale.
prof. Raimondo Giunta