Infanticidio,
violenze in famiglia.
Luca Giustini, 34 anni, macchinista ferroviere, ha accoltellato a morte
la figlioletta di soli 18 mesi. La tragedia è avvenuta in un
appartamento di Collemarino, ad Ancona. L'uomo è stato arrestato.
Subito dopo il delitto si è parlato di un «raptus».
«Ci avrei giurato»
Cosa?
«Che anche questa volta si sarebbe usato il termine "raptus"». Succede
spesso.
«Troppo spesso, direi. Sotto il cappello del raptus, o alcune volte
della follia, si mette la violenza inaudita, quella imprevista,
impulsiva. E non si considera mai che, guarda caso, quella violenza ha
come oggetto i più fragili, i deboli, le persone indifese e quindi le
più esposte. Lei ha mai sentito dire di qualcuno colto da raptus che ha
assalito un uomo grande e grosso?».
Claudio Mencacci è l'ex presidente della Società italiana di
psichiatria oltre che il direttore del Dipartimento di Neuroscienze del
Fatebenefratelli di Milano. E dice che «noi, in psichiatria, tendiamo a
escludere l'esistenza del raptus».
Sta dicendo che è un termine senza senso psichiatrico?
«Esattamente. Serve molto a chi fa le perizie per giustificare le
azioni di grande violenza e attenuare la gravità del fatto e la colpa
di chi le commette. Servirebbe invece un impegno culturale e civile
perché questo non succedesse. Per non giustificare mai la
prevaricazione, la prepotenza, la violenza esplosiva e cruenta. Perché
giustificare in un certo senso è come avallare l'idea che sui più
deboli si possa accanire la violenza».
Perché chiamare in causa la follia davanti alle cronache più nere?
«Perché si vedono le cose dal fondo e non si riflette su ciò che c'è
dietro. Bisognerebbe imparare a capire che ci sono individui che covano
malvagità, crudeltà, cattiveria. Che quando accade un fatto di violenza
apparentemente improvvisa c'è sempre una spiegazione, un motivo che si
è costruito nel tempo. Non è mai un fulmine a ciel sereno e tendere a
giustificare non aiuta nemmeno a cogliere i segnali di un eventuale
pericolo».
Pensa a un caso in particolare?
«Penso alle donne che muoiono uccise dai propri partner perché
scambiano per amore quel che amore non è. Oppure al padre di Motta
Visconti che ha sterminato la famiglia: tutti a dire che era la persona
migliore del mondo ma la famiglia per lui era diventata un peso
insopportabile e, come si fa con i pesi, lui l'ha eliminata. È la
banalità del male. E poi ci sono anche le statistiche che ci aiutano a
capire».
Quali statistiche?
«Per esempio quelle che ci dicono che gli uomini che fanno del male ai
propri figli hanno tendenzialmente fra i 30 e i 45 anni e utilizzano
quasi sempre un coltello o una pistola. A differenza delle donne che
commettono invece infanticidi usando oggetti casuali, a volte per
annegamento o soffocamento».
Quali sono le condizioni che possono aumentare il rischio?
«L'alcol e la droga possono di sicuro aumentare l'impulsività, ma c'è
anche l'odio che si accumula e cresce nell'individuo in modo latente
per poi esplodere».
Nessuno pensa mai che fatti gravi come questa bimba uccisa possano
capitare nella propria famiglia...
«È così. Spesso pensiamo che il seme del male cresca a casa degli altri
perché cerchiamo di espellerlo dai luoghi e dalle persone più care. E
invece il male può essere ovunque, la cattiveria alberga anche a un
passo da noi. Riconoscerla mentre cresce può voler dire salvarsi».
Giusi Fasano