Italo
Calvino, nato a Cuba il 15 ottobre 1923 e morto a Siena il 19 settembre
1985, scrittore e narratore italiano tra i più importanti del
Novecento, pubblicò la prima edizione del "Barone Rampante" presso
l’Editore Einaudi nel 1957. Lo scrittore, in questo libro, narra la
storia di un ragazzo che sale su un albero, si arrampica tra i rami e
passa da una pianta all’altra, da un albero di alce ad un carrubo,
diventando più inafferrabile di un animale selvatico. L’Autore, che al
momento della pubblicazione del romanzo aveva trentatré anni, vuole
esprimere, con quest’opera, la nostalgia verso le letture della
fanciullezza, d’un’età spensierata e senza responsabilità.
Il racconto si svolge nel secolo XVIII e rappresenta un nostalgico
intreccio di simboli, metafore, riferimenti; descrive un “gioco” che
rischia di complicarsi, trasformandosi in qualcos’altro. Il romanzo si
svolge in un paese immaginario, Ombrosa, che si trova in un punto
imprecisato della riviera ligure e descrive un mondo mai esistito ma
che contiene i nuclei di ciò che è stato e di ciò che avrebbe potuto
essere e, quindi, presenta le allegorie del passato e del presente e le
interrogazioni sulla propria esperienza. Il “Barone Rampante”, Cosimo
Piovasco di Rondò, il 15 giugno del 1767, sedette per l’ultima volta in
mezzo ai suoi, era mezzogiorno e aveva appena respinto un buon piatto
di lumache.
A tavola, oltre al fratello, che ne descrive il racconto, vi erano il
padre, Barone Piovasco di Rondò, l’Abate Fauchlafleur, la madre,
Generalessa Corradina di Rondò, la sorella monaca di casa Battista, e
il Cavaliere Avvocato Enea Silvio Correga. Cosimo, che aveva appena
compiuto dodici anni, decise all’improvviso di separare la sua sorte da
quella della famiglia. Rifiutando di mangiare le lumache, Cosimo uscì
fuori e corse verso il giardino, arrampicandosi su un grande albero di
alce: era già allenato a stare sui rami degli alberi e da quel giorno,
per ribellarsi ai suoi, decise di non scendere più dagli alberi,
passando il resto della sua vita da un ramo all’altro. Poi passò su una
magnolia, poi su un gelso, cibandosi dei loro frutti, passando da un
ramo all’altro, continuò ad esprimere la “sua rivolta” contro la
famiglia. Intanto le stagioni passavano e d’inverno, con gli animali
che cacciava, si fece un bel giubbotto di pelliccia per difendersi dal
freddo. Cosimo portò la ribellione fino allo stremo delle sue forze,
volle essere spietatamente se stesso fino alla morte.
Poi, all’improvviso, si ammalò, si trovava nel giaciglio sopra un
albero di noce, aveva 65 anni e, ormai, senza più nascondersi,
continuava a rimanere sugli alberi. La sua salute si aggravò, i
familiari, preoccupati, issarono un letto, lo misero sull’albero, dove
Cosimo si adagiò volentieri. Ma una mattina non lo trovarono nel letto
perché era salito in cima all’albero, di sotto sistemarono un gran
lenzuolo per far in modo di attutire un’eventuale caduta. Ad un certo
punto, sopra quell’albero, apparve una mongolfiera spinta da un forte
vento, Cosimo spiccò un balzo risoluto, si aggrappò alla corda e volò
via, trasportato dalla mongolfiera spinta dal vento. Cosimo,
agonizzante, scomparve, mentre volava sopra un golfo, ed i suoi non
ebbero nemmeno la soddisfazione di vederlo da morto. Così, sulla sua
tomba vuota, misero una stele con la scritto: “Cosimo Piovasco di Rondò
– visse sugli alberi – amò la terra – salì in cielo”.
Giuseppe Scaravilli
giuseppescaravilli@tiscali.it