Ho riletto una
bellissima intervista rilasciata da Heinz von Foerster a Renato Minore
e apparsa alla fine degli anni Ottanta sul «Messaggero» di Roma (Lo
stregone di Vienna, «Il Messaggero», 5 luglio 1989). Von Foerster parla
di quanto fossero stati decisivi per la sua carriera di scienziato gli
incontri con lo zio, Ludwig Wittgenstein (tanto che arrivò a imparare a
memoria lunghi passaggi del Tractatus logico-philosophicus), ma dalla
sua ricostruzione viene fuori anche il carattere vario delle relazioni
tra i diversi membri della importante famiglia viennese. La vivacità
dell'ambiente familiare sembra essere alla base degli interessi e delle
passioni di un giovanissimo von Foerster che incontra suo zio a casa
della sorella di Ludwig, quella Margaret Stonborough-Wittgenstein, che,
qualche anno prima, nel 1905, era stata ritratta da Gustav Klimt,
grande pittore austriaco. Gli storici dell'arte sostengono che il
dipinto, olio su tela a grandezza naturale, non piacque particolarmente
e venne ritrovato in pessimo stato nella casa di campagna della
famiglia, per poi essere venduto nel 1960 da Thomas, il primo dei due
figli di Margaret.
Nel corso dell'intervista il luminare parla dell'importanza di
Schopenhauer nel suo processo di avvicinamento ad alcune importanti
questioni filosofiche, del suo scetticismo nei confronti dell'opera di
Freud (notissima ma, in fondo, poco letta dalla buona società) e di
quanto il padre della psicanalisi fosse al centro dei discorsi del ceto
intellettuale viennese degli anni Venti e, in tutt'altra luce, di
Musil, «uno scienziato che faceva letteratura, grande letteratura», e
di quanto la competenza scientifica dell'autore dell'Uomo senza qualità
fosse «importante per valutare l'eccezionalità di ciò che ha scritto».
È passando da questi crocevia che diventa più semplice afferrare il
modo in cui von Foerster maturò la sua idea di conoscenza come prodotto
di un soggetto attivo: abbiamo bisogno − dice − «non soltanto di una
epistemologia dei sistemi osservati ma anche di un'epistemologia dei
sistemi osservatori» (la prima traduzione italiana del suo Sistemi che
osservano, a cura di Bernardo Draghi, è del 1987). Proprio lungo il
percorso che passa da Musil, da Wittgenstein e arriva fino a von
Foerster (e persino a Edgar Morin) finisco per maturare una capacità di
vedere e comprendere che fa dell'auto-esame e dell'auto-riflessione un
mezzo per considerare in modo critico la mia persona e che, passando
anche dal rumore, dall'imprecisione e dall'errore, mi consente di
«sperimentare fino in fondo l'ordine dell'ignoranza».
Sempre alla luce di tali acquisizioni è possibile osservare il modo in
cui il ritratto di Margaret preso in considerazione (a cui lo stesso
Minore fa riferimento nel corso dell'intervista e che era stato
commissionato dal padre della donna in occasione delle nozze con
Stonborough) renda visibili i caratteri peculiari di quell'idea di
opera d'arte totale che sappia finalmente unire la specificità delle
arti applicate e della decorazione a una vena espressiva che sia in
grado di restituire l'inquietudine dei tempi, attraverso i toni accesi,
ossessivi e malati delle sue algide figure. In particolare, nella
Margaret di Klimt sembra quasi che la composizione ritmica, il
linearismo e la logica regolare dello sfondo prevalga sullo
sconcertante realismo del soggetto, quasi incastonato nei fregi
rilucenti, nell'oro, nei motivi geometrici. Anche il motivo floreale
del raffinato abito nuziale non è che il primo avamposto di un mondo a
sé, che non resta sullo sfondo e che si tramuta ben presto in una
rappresentazione lampante (non semplicemente decadente) dell'universo
ignoto dell'inconscio. Klimt che, come si sa, era stato, sin dal 1897,
tra le personalità dominanti della Secessione viennese, propugnando
un'idea di arte dinamica e dai forti contrasti cromatici, si pone come
precursore della modernità: proprio per questo, non è del tutto
peregrino immaginare Wittgenstein impegnato a desumere da un ritratto
di Klimt i passaggi più importanti del suo TractatusScritto da
Alessandro Gaudio.
Ho riletto una bellissima intervista rilasciata da Heinz von Foerster a
Renato Minore e apparsa alla fine degli anni Ottanta sul «Messaggero»
di Roma (Lo stregone di Vienna, «Il Messaggero», 5 luglio 1989). Von
Foerster parla di quanto fossero stati decisivi per la sua carriera di
scienziato gli incontri con lo zio, Ludwig Wittgenstein (tanto che
arrivò a imparare a memoria lunghi passaggi del Tractatus
logico-philosophicus), ma dalla sua ricostruzione viene fuori anche il
carattere vario delle relazioni tra i diversi membri della importante
famiglia viennese. La vivacità dell'ambiente familiare sembra essere
alla base degli interessi e delle passioni di un giovanissimo von
Foerster che incontra suo zio a casa della sorella di Ludwig, quella
Margaret Stonborough-Wittgenstein, che, qualche anno prima, nel 1905,
era stata ritratta da Gustav Klimt, grande pittore austriaco. Gli
storici dell'arte sostengono che il dipinto, olio su tela a grandezza
naturale, non piacque particolarmente e venne ritrovato in pessimo
stato nella casa di campagna della famiglia, per poi essere venduto nel
1960 da Thomas, il primo dei due figli di Margaret.
Nel corso dell'intervista il luminare parla dell'importanza di
Schopenhauer nel suo processo di avvicinamento ad alcune importanti
questioni filosofiche, del suo scetticismo nei confronti dell'opera di
Freud (notissima ma, in fondo, poco letta dalla buona società) e di
quanto il padre della psicanalisi fosse al centro dei discorsi del ceto
intellettuale viennese degli anni Venti e, in tutt'altra luce, di
Musil, «uno scienziato che faceva letteratura, grande letteratura», e
di quanto la competenza scientifica dell'autore dell'Uomo senza qualità
fosse «importante per valutare l'eccezionalità di ciò che ha scritto».
È passando da questi crocevia che diventa più semplice afferrare il
modo in cui von Foerster maturò la sua idea di conoscenza come prodotto
di un soggetto attivo: abbiamo bisogno − dice − «non soltanto di una
epistemologia dei sistemi osservati ma anche di un'epistemologia dei
sistemi osservatori» (la prima traduzione italiana del suo Sistemi che
osservano, a cura di Bernardo Draghi, è del 1987). Proprio lungo il
percorso che passa da Musil, da Wittgenstein e arriva fino a von
Foerster (e persino a Edgar Morin) finisco per maturare una capacità di
vedere e comprendere che fa dell'auto-esame e dell'auto-riflessione un
mezzo per considerare in modo critico la mia persona e che, passando
anche dal rumore, dall'imprecisione e dall'errore, mi consente di
«sperimentare fino in fondo l'ordine dell'ignoranza».
Sempre alla luce di tali acquisizioni è possibile osservare il modo in
cui il ritratto di Margaret preso in considerazione (a cui lo stesso
Minore fa riferimento nel corso dell'intervista e che era stato
commissionato dal padre della donna in occasione delle nozze con
Stonborough) renda visibili i caratteri peculiari di quell'idea di
opera d'arte totale che sappia finalmente unire la specificità delle
arti applicate e della decorazione a una vena espressiva che sia in
grado di restituire l'inquietudine dei tempi, attraverso i toni accesi,
ossessivi e malati delle sue algide figure. In particolare, nella
Margaret di Klimt sembra quasi che la composizione ritmica, il
linearismo e la logica regolare dello sfondo prevalga sullo
sconcertante realismo del soggetto, quasi incastonato nei fregi
rilucenti, nell'oro, nei motivi geometrici. Anche il motivo floreale
del raffinato abito nuziale non è che il primo avamposto di un mondo a
sé, che non resta sullo sfondo e che si tramuta ben presto in una
rappresentazione lampante (non semplicemente decadente) dell'universo
ignoto dell'inconscio. Klimt che, come si sa, era stato, sin dal 1897,
tra le personalità dominanti della Secessione viennese, propugnando
un'idea di arte dinamica e dai forti contrasti cromatici, si pone come
precursore della modernità: proprio per questo, non è del tutto
peregrino immaginare Wittgenstein impegnato a desumere da un ritratto
di Klimt i passaggi più importanti del suo Tractatus.
Alessandro
Gaudio - Ecodeimonti.it