Correvo,
eppure il silenzio della notte mi attanagliava, quel silenzio, che
avvolgeva il paese dormiente, era per me pauroso.
Le stradine, illuminate da tenue luce di lampioni, che agli occhi di
giovani innamorati potevano sembrare un romantico contorno, diventavano
spettrali, proprio come i personaggi dei racconti di mia madre o della
nonna.
Ogni casa del paese aveva una storia fantastica e piena di mistero,
inventata dai grandi per farci paura.
Ed ancora adesso, che sono grande, non capisco perché gli adulti ci
ossessionavano con quelle storie. Forse così si sentivano potenti o
forse li divertiva incuriosire e, allo stesso tempo, vedere il terrore
nei nostri giovani volti.
Quella notte, mio malgrado, dovevo affrontare da sola tutte quelle
paure messe insieme!
Il paese, visto di giorno, era rassicurante, quasi protettivo,
dall’alto delle sue montagne dove sorgeva, sembrava guardarci tutti. La
Madonna dell’Alto era incaricata “ufficialmente”, dai paesani, di
proteggerci dalle calamità naturali, e tutti si rivolgevano a lei
fiduciosi per i loro bisogni.
Quella Madre, che già una volta li aveva salvati da un tremendo
terremoto, e che, secondo la tradizione, era arrivata a Petralia
Sottana, dopo essere stata ritrovata in un cassa, sulla spiaggia di
Cefalù, e messa su un carro, aveva scelto proprio questo luogo
per fermarsi.
Petralia Sottana, il mio paese natio, era proprio un bel posticino di
montagna, dove ci si conosceva tutti e dove noi bambini potevamo
giocare con spensieratezza, in mezzo alle stradine e alle campagne.
La strada principale era, per tutti, la “via del passìo”, si arrivava
passeggiando, avanti e indietro, dalla Chiesa Madre, fino al Collegio.
Quella strada era viva e brulicante di gente, con qualche bar, la
fontana, la Posta, il Municipio, la gente che s’incontrava, si
salutava, si scambiava qualche parola, nessuno poteva sentirsi solo,
escluso dalla società, era un bel modo di socializzare, dove il
contatto umano stava al centro di tutto,… altro che social network!
Le stradine, ancora lastricate, formavano gradoni e noi le percorrevamo
in gran velocità. Poi c’era la discesa di Pucci, dove rotolavamo seduti
sulle cartelle di cartone, quando nevicava.
Bellissimi gli scorci, appena appena illuminati dalla luce fioca dei
lampioni, un luogo dove il tempo sembrava essersi fermato, e dove
regna, ancora oggi, la massima tranquillità.
Ma quella notte, niente era bello, dovevo attraversare tutto il paese
per arrivare dalla mamma e chiedere aiuto. Peccato che avevo solo sette
anni, e ritrovarmi in quella situazione era per me spaventoso.
Quella casa, davanti a me, era quella della “vecchia” che puniva i
bambini cattivi, grattandoli con le sue unghia lunghe e affilate.
Ah,… poi c’era la casa dei fantasmi, dove di notte si udivano urla e
lamenti, di certo non potevo perdermi la fontana stregata, dove i
fantasmi si riunivano di notte, per spaventare i passanti.
Dovevo superare tutte quelle “prove”, ma la peggiore era aver lasciato
la nonna Peppina, morente nel letto.
Avevo dormito con lei quella notte, come spesso facevo, per tenerle
compagnia, dormivamo, insieme, nel letto grande, in una stanza dove non
c’era nient’altro, divisa dall’altra da una porta con una bellissima
vetrata colorata. Mi piaceva stare con lei, sentirla parlare, ma
dormirci non tanto, mi sapeva di “vecchia” e temevo sempre che morisse,
da un momento all’altro, e immaginavo… di ritrovarmi accanto al suo
cadavere!
Lei, in genere, aveva un faccione colorito, rotondo e sorridente, gli
occhi marroni a cerchio, vivaci e furbi, i capelli raccolti, una
corporatura robusta, ma quella notte era riversa sul letto,
pallidissima, con gli occhi chiusi, si lamentava per dei fortissimi
dolori che accusava alla pancia, piangendo diceva che le sarebbe
toccato di morire da sola, senza il conforto delle figlie. Per questo
motivo, quindi, mi ero precipitata fuori nel pieno della notte.
L’unico rumore che percepivo era quello del mio cuoricino che batteva
all’impazzata, tanto da sembrare il suono di un tamburino che con il
suo bum, bum, bum,… spezzava quel silenzio!
La nonna vestiva sempre con delle lunghe gonne e con larghe camice
scure, a fiorellini, e sotto indossava ancora sottogonne e mutandoni.
Dormendo con lei mi era capitato di scrutare quegli indumenti intimi
per me strani, però mi incuriosivano, provavo ad immaginare, per
esempio, quanto fosse difficoltoso… andare a far pipì!
Ma era una donna simpatica e di carattere,… ci faceva filare tutti!
Ricordo che le si illuminavano gli occhi quando raccontava del suo
passato, si vantava di aver scritto, in tempo di guerra, persino a
Mussolini, per ottenere giustizia, perché, secondo lei, era stata
vittima di una grossa “truffa”, in quanto lavorava, come bidella, in
una scuola e da parecchi mesi non percepiva lo stipendio, e dovendo
mantenere i suoi figli, con rabbia e disperazione aveva scritto…
a “lui”, concludendo la lettera con la frase: “Son donna italiana e
voglio soddisfazione”! Ci ripeteva spesso una frase, “Cu ‘a
pecura fa, ‘u lupu sa mangia” e che dovevamo sempre lottare per i
nostri diritti, senza fermarci di fronte a niente e nessuno! Si
divertiva a recitare versi di vario genere ma quelli che ricordo ancora
sono: “Quando suona l’Ave Maria… ricordati della nonna di Petralia!”.
Oppure: “Vederti non posso, baciarti nemmeno… ti mando un bacio con il
fischio del treno!”. Ma questi versi cominciò a recitarli, immagino,
per nostalgia, quando io e la mia famiglia, ci trasferimmo nel catanese
per lavoro. Quella sera, intanto, lo stesso rumore dei miei passi mi
spaventava, mi giravo indietro a guardare, temendo di essere inseguita,
la mia stessa ombra risultava gigantesca, la osservavo incredula, non
poteva essere la mia, io ero così piccola! Forse era quella dell’uomo
nero? Che spuntava nelle notti per mangiare i bambini? Se mi fermavo,…
anche l’ombra si fermava! Che paura… e che tormento! Ma intanto dovevo
arrivare lungo la via principale e dopo fare la discesa verso casa,…
mancava poco ormai!
Possibile che non mi fossi mai accorta di quanto spaventosa fosse la
voce del silenzio? Tutto quel silenzio mi spaventava più di tutti quei
mostri che la mia fantasia riusciva a contenere. Il silenzio che non
era mai muto, fatto di rumori, di scricchiolii, di voci, di pigolii di
uccelli che di notte stridono, di grilli, di cani che abbaiano, di
finestre che sbattono, di pianti di bambini spaventati, di lamenti di
uomini che muoiono, di preghiere! Quel silenzio che mi entrava nel
cuore, che sapeva di morte, come un ladro irriverente che voleva
portarsi via la nonna, di notte, mentre tutti dormivano…
E cosa avrebbe fatto la nonna? Come avrebbe reagito? L’avrebbe
affrontata, come aveva sempre fatto nella vita o l’avrebbe temuta, come
l’avevo vista fare questa notte? Intanto, il mio cuoricino gridava,
“Nonna, non temere, t’aiuto io!”. E con la forza del coraggio, della
disperazione e dell’amore,… giunsi finalmente a casa!
Quella notte imparai un’altra lezione di vita, la nonna, tanto spavalda
e coraggiosa, non aveva saputo “affrontare” un semplice… mal di pancia!
Ins. Natalia
Rizza