Alla
fine del 1800 quasi tutti i monasteri e conventi della città di Catania
erano stati soppressi. Con uno stratagemma, il Monastero di San
Benedetto, che sorge in via Crociferi, centro del salotto barocco della
città, era riuscito ad andare avanti. Il Cardinale Francica Nava, nel
1910, riesce a farlo rifiorire, facendo venire da Ghiffa, attualmente
in provincia di Verbania, due monache benedettine dell’Adorazione
Perpetua. In risposta all’anticlericalismo della Catania del primo
Novecento, egli desiderava che le monache, pur rispettando la clausura
vescovile e avendo sempre al centro del loro carisma, l’Adorazione
Perpetua del Santissimo Sacramento, si dedicassero anche alla
formazione e all’istruzione delle ragazze, gestendo un educandato e una
scuola. Nasce così nel 1915 l’Istituto San Benedetto, che per quasi un
secolo ha formato a Catania generazioni di alunne, e dal 1987 anche di
alunni, dall’età prescolare fino al Liceo, chiuso nel 1997.
E proprio in quell’anno scolastico la mia storia si unisce a quella
dell’istituto.
Laureata da sei mesi, entro in classe per la prima volta a novembre con
un’emozione indescrivibile, dopo un breve colloquio con la Preside e la
segretaria con le quali cerco di mostrarmi serena.
Da quel momento diventa la mia seconda casa, non è facile spiegare
perché, e solo chi, come me, lo ha vissuto, può capirlo.
Non dico che non sia una scuola come le altre, anche i nostri alunni
sono ragazzi come gli altri, urlano, corrono nei corridoi, non sempre
hanno voglia di studiare, ma sanno che loro sono sempre considerate
persone. Sanno che la porta della presidenza è sempre aperta per
ascoltarli e mai per punirli, sanno che i loro prof li rimproverano,
pretendono tanto da loro, ma cercano sempre di capire cosa c’è dietro
uno sguardo che, a volte, chiede aiuto.
Centinaia di volti continuano ad inseguirsi nella mia mente, alcuni di
loro sono rimasti in contatto, vengono a trovarmi, altri sono solo un
ricordo lontano legato ad una foto di gruppo o a delle immagini viste
sui social network.
Cosa
è rimasto nella loro memoria della loro vecchia scuola?
Le
aule con i pavimenti dell’Ottocento, il cortile con la vasca dei pesci,
dove la regola del non correre è sempre stata impossibile da rispettare
e dove ora regnerà il silenzio?
La
biblioteca con tutti quei libri che adesso riposeranno in pace?
L’aula
insegnanti con quella porta invalicabile o la presidenza con quel falco
che vigila dall’alto dell’armadio e che ormai non si sa più da dove sia
arrivato?
Il
laboratorio scientifico con gli strumenti moderni che fanno compagnia a
quelli dell’inizio del Novecento o il laboratorio di informatica dove
si passavano dei pomeriggi dopo aver mangiato in fretta un panino per
poter andare a giocare in cortile?
Ma
perché scrivo al passato?
Perché da settembre quel portone di fronte la chiesa di San Benedetto,
molte volte ritinteggiato in fretta, per ovviare alla fantasia dei
writer notturni, rimarrà chiuso. La crisi economica ha colpito anche
qui. Le iscrizioni sono poche, non tutte le famiglie sono in regola con
il pagamento della retta e il ricavato non basta a coprire le spese.
Qualcuno dirà che è giusto così, che altre cose sono importanti; ma
perché mettere l’istruzione in secondo piano?
Altri ribatteranno che gli aiuti devono andare solo alla scuola
statale, ma avete mai provato a conteggiare i soldi che lo Stato
risparmia per ogni ragazzo che frequenta una scuola paritaria?
In un momento in cui la crisi dei valori investe ogni campo del nostro
vivere quotidiano, non si può non guardare con una certa ammirazione
stupita ad una scuola che si occupa incessantemente della formazione
dell’individuo e del suo arricchimento non solo culturale, ma anche
sociale.
Chi si è trovato a fare una passeggiata per la via Crociferi in una
mattinata qualunque, durante i mesi scolastici si sarà sicuramente
fermato ad ammirare la maestosa struttura architettonica dell’Istituto,
ma le orecchie saranno state attratte dalle vocine festose dei
piccolini della scuola dell’infanzia, le cui aule si affacciano proprio
sulla via suddetta; scendendo lungo la via San Francesco, avrà sentito
le voci materne delle maestre della scuola primaria e gli sarà sembrato
quasi di vedere le espressioni dei bambini che imparavano aprendo nuovi
orizzonti alle loro conoscenze; mentre i discorsi curiosi dei
ragazzi della scuola secondaria di primo grado e dei professori che
dialogano con loro avranno fatto allargare la bocca ad un sorriso. Avrà
respirato un’aria familiare dimenticando quasi di essere nel pieno caos
del centro storico catanese!
Qualcuno in questi cinque anni, da
quando sono stata assunta a tempo indeterminato nella scuola statale,
mi ha guardato con occhi stupiti, quando chiacchierando gli ho
raccontato di avere scelto il part-time per potere continuare ad
insegnare al San Benedetto, ma è lì che ho imparato ad essere
insegnante, è lì che mi hanno insegnato ad amare i miei alunni prima
ancora che a valutarli e spero di non dimenticarlo mai.
Un’insegnante “storica” del San
Benedetto