Sembrerà
strano, però succede che alcune volte un bene culturale di grande
rilievo sia poco conosciuto o sia stato abbandonato al suo destino.
Durante le mie letture mi sono imbattuto in un personaggio, anche a me
sconoscito, Filippo Bentivegna di Sciacca, autore di un’opera, che
definerei del tutto singolare: ”Il Giardino o Castello incantato”.
Prima però di passare alla descrizione di questo bene, mi pare
opportuno parlare brevemente della vita del suo autore, perché questo
ci servirà a capire meglio la sua opera. Filippo Bentivegna nacque a
Sciacca il 3 maggio del 1888 e di umili origini: il padre era un
pescatore, la madre casalinga. Nel 1913 emigrò negli Stati Uniti sulle
orme di due fratelli e una sorella. Ma in America subì un grave trauma
cranico, essendo stato colpito da una bastonata in testa, che lo
tramortì per diversi giorni, forse ad opera di un rivale in amore. A
causa del colpo ebbe problemi di amnesia e non fu più in grado di
lavorare: considerato improduttivo e dichiarato inabile al lavoro fu
rimpatriato(1919). Tornato in Italia dopo la Grande Guerra Bentivegna
fu considerato disertore e condannato in contumacia a tre anni di
carcere, per cui una volta rientrato allo scopo di eseguire la condanna
venne sottoposto ad una visita psichiatrica e fu dichiarato pazzo, ma
non essendo considerato un pericolo sociale fu lasciato libero di
acquistare un appezzamento di terreno alle falde del monte Kronio, dove
si ritirò realizzando il suo “Giardino(o Castello) incantato”. Nel suo
feudo Bentivegna, grazie alle formazioni calcaree che riempivano il
fondo, iniziò a scolpire centinaia di teste umane. Teste accatastate,
affiancate e bifronti.
Artista dalla dolente, persino alienata visionarietà, trascorse
l’intera esistenza in una sorta di apartheid creativa
disseminando il suo podere di oltre tremila teste che sono ritratte con
deformante espressività, lontane da qualunque padronanza tecnica, ma al
contempo inquietanti nella loro fissità: spesso si aggruppano
come in grappoli, ricordando ancestrali presenze totemiche.
Nelle pareti della casupola del suo podere Bentivegna dipinse anche una
serie di grattacieli che rappresentano una specie di memoria ”genetica”
della sua esistenza d’artista. Alcune sue sculture sono esposte in una
sala a lui dedicata, nel museo dell’Art Brut di Losanna. Le teste che
per lunghi anni fino al 1967, anno della sua morte, Bentivegna venne
strutturando e scavando nella pietra locale, costituiscono il lascito
insolito e affascinante dell’artista che durante tutta la sua vita ebbe
la sola preoccupazione di compiere questo suo sconcertante lavoro, di
cui ben pochi, tanto in Italia che all’estero, sono al corrente
dell’esistenza di Bentivegna, anche perché non molti si sono accorti
dell’eccezionalità ma anche del fascino delle sue sculture. Sculture
che sono il frutto di un’attività finalizzata a una precisa meta
artistica. E’ evidente, infatti, che l’anomalia di Bentivegna non si
può far rientrare semplicemente in quella di un subnormale, o d’uno
schizofrenico, perché la sua integrità fisica, l’abilità nella sua
attività manuale finalizzata alle sculture, stanno a dimostrare
un’indubbia capacità ideativa ed espressiva, indirizzata tuttavia, a
senso unico, e da considerare perciò, almeno parzialmente delirante. Le
teste presentano tutte una certa “aria di famiglia” e che, proprio per
questo, risultano del tutto immaginarie, anche se il loro autore le
indicava con molti nomi di personaggi del luogo, o di personalità
storiche dell’epoca, battezzando alcune di esse con i nomi di
Garibaldi, Mussolini, Hitler ecc. Ma quello che costituisce un altro
motivo singolare è la costruzione, vagamente piramidali ma sinuose,
(oggi sostituite da blocchi di cemento) , quasi”impilate”,
moltissime teste, così che l’insieme appare come una formazione
unitaria, la cui sagoma ricorda un po’ le muraglie del Parco Guell di
Gaudì a Barcellona, dalle quali occhieggiano i volti, ora arcigni, ora
severi, ora stralunati delle sculture. A questo punto ci chiediamo
quale è stata la vera molla che ha messo in moto questa incessante
creazione. Quale è stato in realtà il significato che lo scultore
attribuiva alle sue invenzioni? E’ impossibile deciderlo con certezza,
né vogliamo creare parallelismi con altri personaggi come lo svizzero
Adolf Woelffli o il romano Fernando Nannetti. Possiamo però dire che la
“fissazione” di Bentivegna si limitava alla creazione delle infinite
teste e per questo ci pare giusto considerare il “Giardino” un’opera
d’arte anche se facente parte della grande famiglia dell’Art Brut. E
allora perché queste teste e questo giardino appaiono così conturbanti
ai nostri occhi?. Forse perché non sono stati mai succubi delle “mode”
del tempo, dei dettami d’un insegnamento accademico, delle imposizioni
e della corruttela di un mercato. Per fortuna Bentivegna non si è
lasciato mai travolgere da un giro di affari che avrebbe potuto
stimolarlo a produrre in maniera diversa. Per queste ragioni
probabilmente la genuinità delle teste riesce ancora a parlarci con un
linguaggio carico di efficacia. La casa (oggi un piccolo museo)e il
fondo” Il Giardino incantato” sono stati acquistati nel 1974 dalla
Regione Siciliana per salvaguardarli dalle depredazioni degli sciacalli
di turno (vestiti da studiosi) e sono stati aperti al pubblico.
Tommaso
Aiello - Heritage Sicilia
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