Potrà
sopravvivere la poesia nell’universo della comunicazione della società
di massa? Postasi questa domanda nel discorso tenuto
all’Accademia di Svezia, il 12 dicembre 1975, in occasione del
conferimento del premio Nobel, Montale rispondeva: “[…] Se s’intende
per poesia la così detta bellettristica è chiaro che la produzione
mondiale andrà crescendo a dismisura. Se invece ci limitiamo a quella
che rifiuta con orrore il termine di produzione, quella che sorge quasi
per miracolo e sembra imbalsamare tutta un’epoca e tutta una situazione
linguistica e culturale, allora bisogna dire che non c’è morte
possibile per la poesia “. E noi siamo d’accordo. E il
perché è facilmente intuibile: è la poesia – quella vera,
quella che “sorge per miracolo”, che ci dà il senso profondo del
nostro esistere; che ci fa meno veloce e alienante il
tempo, che ci riconcilia con noi stessi, rendendoci più
umani, che ci spinge ad alzare in alto verso il cielo stellato il
nostro sguardo pieno di stupore, che ci fa indugiare a contemplare
un’alba o un crepuscolo sul mare, che ci salva dai lividi dei falsi
comfort del benessere connotati della disperazione, che tendono
di annientare ogni possibilità di solitudine e di riflessione.
L’atto di fede nella poesia “che sorge quasi per miracolo”, contro ogni
“ bellettristica”, e contro ogni forma di mercificazione,
ci apre il cuore alla speranza per un mondo migliore, e ci
invoglia a studiare e ad amare ancora di più i poeti, perché sono essi
la viva fonte irrinunciabile del nostro umanesimo , i
pastori –custodi in ascolto del nostro essere nella sua
determinazione e permanenza . La poesia può essere niente, come la
parola fuori del sentimento che la illumina e la riscalda, fuori
dell’idealità che l’alimenta, fuori del ritmo in cui vive e respira; e
può essere tutto, la vita stessa dell’umanità passata presente e
futura. Realtà e simbolo, canto e profezia.
Nuccio Palumbo
antonino11palumbo@gmail.com