Diceva don
Milani, che nel ramo vantava una certa esperienza: «Fuori dai binari
no, ma dentro i binari faccio tutte le capriole che voglio». E qui la
capriola c'è tutta, perché l'ispirazione arriva niente meno che
dall'hockey su ghiaccio. «Avete presente come funziona l'espulsione in
quello sport?» dice Marco Rossi Doria, il maestro di strada che dalle
scuole dei quartieri spagnoli di Napoli è arrivato a fare il
sottosegretario all'Istruzione. No, come funziona? «Non vieni cacciato
dal campo per tutta la partita ma resti lì, seduto per qualche minuto a
guardare gli altri che giocano. Così puoi riflettere su quello che hai
combinato. E poi torni a giocare con gli altri».
L'idea è applicare lo stesso metodo per le sospensioni a scuola. Ed è
una delle proposte messe sul tavolo di «Tenere la classe, la
responsabilità degli adulti», convegno organizzato ai primi di dicembre
a Trento proprio da Rossi Doria. In realtà è più di un'idea perché, con
il nome di area gialla, è già stata sperimentata in nove scuole della
provincia di Trento per i ragazzi tra i 14 e i 17 anni. Come funziona
lo spiega Andrea Bortolotto che lo ha visto nascere come vice preside
dell'Istituto per la formazione professionale Sandro Pertini di Trento
e adesso prova a farlo crescere con il progetto
Campus:
«Il ragazzo sospeso per motivi disciplinari non resta a casa ma
viene a scuola. Solo che, per qualche giorno, viene separato dal resto
della classe». Per fare cosa? «All'inizio c'è una fase che possiamo
chiamare di lavori socialmente utili: cancellare una scritta sul muro,
carteggiare una panchina nel cortile...». Poi c'è un secondo momento,
il ragazzo torna a fare lezione ma ancora separato dai suoi compagni:
«È un modo per recuperare quello che la classe ha fatto in sua assenza.
Ma soprattutto il pretesto per parlare con l'insegnante del
comportamento che ha portato alla sospensione, per capire il perché».
Una sanzione alternativa e rieducativa che può scattare solo a patto
che ci sia il consenso dei genitori. Cosa tutt'altro che scontata visto
che papà e mamma, dice Rossi Doria, «sono spesso i sindacalisti dei
loro figli, pronti a difenderli anche davanti all'evidenza». Perché
tentare una strada del genere? «Se un
ragazzo difficile non lo fai venire a scuola non serve a niente. Quello
sta in vacanza, dorme, e quando torna fa ancora più casino di prima». Giusto
cambiare?
D'accordo fino ad un certo punto Paola Mastrocola, professoressa di
liceo e autrice di «Togliamo il disturbo» saggio fortunato e amaro
sulla libertà di non studiare: «Sono d'accordo sul trasformare la
sospensione da fisica in metaforica ma poi...». Ma poi? «L'insegnamento non è dovuto, uno se lo
deve meritare. Non mi piace che a chi è stato sospeso, e quindi l'ha
combinata grossa, concediamo pure qualche lezione privata gratis. No,
io gli darei tuta e guanti. Che venga pure a scuola, i lavori da fare
non mancano». Sguardo severo, e non è una sorpresa per chi
conosce gli scritti della Mastrocola. «Il
problema degli adolescenti è la costruzione della propria identità»
ribatte Anna Maria Ajello, che insegna Psicologia dell'educazione alla
Sapienza e a quel convegno ha partecipato. E allora? «Se ci
concentriamo solo sull'aspetto punitivo mettiamo al ragazzo
un'etichetta che non si toglierà più di dosso. Rischiamo di perdere uno
studente e pure un cittadino».
Come ogni possibile novità la sospensione modello hockey fa discutere.
Ma non è l'unico consiglio per tenere la classe che arriva dal convegno
di Trento. Sbagliato fermarsi ogni cinque minuti per riprendere chi si
distrae, a furia di ripeterlo il rimprovero non funziona più. «Se uno
fa sentire i ragazzi protagonisti — dice Rossi Doria — avrà meno
problemi di disciplina». E allora meglio puntare sui lavori di gruppo e
sulle attività di laboratorio, ma anche realizzare progetti che
diventino prodotti e alla fine possano essere mostrati all'esterno.
«Può essere un video, un piccolo robot costruito con il professore di
scienza, insomma qualcosa di cui andare orgogliosi», dice ancora Rossi
Doria. E i social network come Facebook? Sì, ma a patto di usarli come
bacheca per comunicazioni di servizio, tipo quando c'è il compito in
classe o quali capitoli studiare. «L'insegnante non
deve provare a fare l'amico dei ragazzi». E se lo dice un maestro di
strada c'è da crederci. (di Lorenzo Salvia
lsalvia@corriere.it)
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