Pochi giorni fa è stato
annunciato un nuovo programma del Presidente americano Obama che
prevede “buoni-scuola” (o “voucher”) per le famiglie di Washington che
vogliono mandare i loro figli negli istituti privati - soprattutto di
ispirazione religiosa - anziché in quelli pubblici. È stata una
concessione ai repubblicani (in maggioranza alla Camera) che difatti
hanno considerato questa come una importante vittoria simbolica, mentre
i democratici si sono infuriati. Difatti, dietro questa faccenda si
cela anche una battaglia ideologica. Il conflitto ha poco a che fare
con la qualità, in quanto le scuole private accessibili con i voucher
(che non possono superare il contributo federale di 7500 dollari)
risultano alla pari, nelle valutazioni, con quelle pubbliche. In
realtà, mentre i repubblicani preferiscono gli istituti privati,
inclusi quelli religiosi, i democratici hanno più simpatia per le
scuole pubbliche, i cui insegnanti sono in maggioranza progressisti e
sindacalizzati. Ricorda qualcosa
tutto ciò, pensando ai fatti di casa nostra?
Ma il nuovo guru dell’istruzione, l’ingegnere
Roger Abravanel, in un esilarante video disponibile sul sito
del Corriere della Sera
(http://video.corriere.it/voucher-pagarsi-scuola-serve-o-no/37f586e4-69da-11e0-890a-a1e6d714ad88:
meglio vederlo prima che venga eliminato), spiega che non abbiamo
capito un acca. Alla domanda del perché il Presidente del Consiglio
Berlusconi abbia parlato di concedere voucher per consentire alle
famiglie di accedere alle scuole private, ha spiegato che i voucher non
si danno per andare nelle scuole private («quelle uno se le paga di
tasca propria», ha osservato), bensì per scegliere tra le scuole
pubbliche… Sì, avete sentito bene. L’esimio esperto dell’istruzione non
sa che le scuole statali sono gratuite e quindi una famiglia italiana
di un voucher non saprebbe cosa farsene. Tutt’al più si potrebbero
eliminare del tutto i vincoli territoriali, che già sono largamente
allentati, ma l’idea di un genitore che si presentasse con un voucher
di 3000 euro per iscrivere il figlio nel tale liceo classico anziché in
un altro potrebbe essere materia di una barzelletta per i libretti di
Geronimo Stilton. Ma l’ingegnere insiste. La sua idea è questa: la
famiglia scopre che nel tale istituto la matematica si fa bene – in
quanto i test dell’ingegnere l’hanno rivelato – e allora va a
“spendersi” il voucher in quella scuola…
Non solo: ha aggiunto che all’estero fanno tutti così… Si vede che
Obama si è rimbecillito per le troppe telefonate con Berlusconi.
Ma come mai Berlusconi ha avuto l’idea
tanto balzana dei voucher da spendere nella scuola privata? Perché – spiega l’ingegnere con un
sorrisino allusivo – le scuole pubbliche sono tutte di sinistra e poi
non sono di orientamento cattolico, e quindi… Ma qual è il vero problema? È che gli
italiani, come Berlusconi, sono rimasti a un’idea primordiale, e cioè
che i figli «si mandano a scuola per imparare le idee degli altri».
Ma questa – dice sempre il Nostro – è roba di cinquant’anni fa. Oggi la
scuola non serve più a imparare le idee degli altri, ma a insegnare ai
giovani a ragionare con la propria testa e a produrre le proprie idee.
«Questa rivoluzione è cambiata», ha proclamato (voleva dire “è
avvenuta”, un classico lapsus freudiano), ma noi qui in Italia siamo
rimasti ai tempi di Checco e Nina. Invece,
l’ingegnere – cui lo sforzo di una simile pensata rischia di produrre
calvizie – ci spiega che la storia dell’umanità ha subito una
rivoluzione epocale. Platone
e Aristotele, dopo aver appreso le idee degli altri – è noto che
Platone altro non era che il megafono di Socrate – le trasmettevano ai
poveri studenti delle loro accademie che le imparavano a memoria.
Cartesio era soltanto in apparenza il filosofo del metodo – non vi
ingannate – bensì un cervello riempito con l’imbuto che riempiva le
idee degli altri. E così Galileo e Newton. Per non dire di Einstein,
che frequentò ignobili scuole trasmissive e, difatti, si limitò a
ripetere le idee altrui. Per secoli, dalle università medioevali alle
scuole pubbliche della riforma Ferry, generazioni di pappagalli hanno
afflitto l’umanità. Ma ora, come aveva già proclamato
l’ingegnere, profeta della scuola del futuro, «non conta più imparare le idee di un
altro, ma esser capaci di avere proprie idee», del che nessuno è stato
mai finora reso capace. Già, nell’occasione di quella
dichiarazione, commentai trattarsi di una sciocchezza talmente grande,
una manifestazione così clamorosa di ignoranza della storia della
cultura e della scienza da non meritare commenti. Chi l’ha detta dovrebbe per primo
sottoporsi a valutazione meritocratica, e di certo il risultato sarebbe
devastante. Casomai, si dovrebbe concluderne che questa è un’epoca di
singolare incapacità di avere idee originali e sensate se siamo
costretti a prendere sul serio affermazioni simili.
Ma torniamo al nostro video, perché l’ingegnere non si è fermato qui,
bensì ha spiegato anche che cosa sia una scuola eccellente. È una
scuola i cui insegnanti sono eccellenti, e questa eccellenza si rileva
con i test, quelli che lui ha suggerito di somministrare alla scuola
italiana e che presto mostreranno se siamo andati avanti o indietro
(non dubito che dopo il 10 maggio ci sentiremo dire che la cura
Abravanel ha già prodotto i suoi effetti positivi). Dei test ci
occuperemo a parte. Ma, per ora, dobbiamo rilevare che il nostro
rivoluzionario qui inciampa vistosamente. La sua rivoluzione rimane a
metà ed egli appare non sapere quel che noi – miseri reazionari
gentiliani dalla testa a forma di imbuto a due canne, una per l’entrata
e una per l’uscita – sappiamo da un pezzo: e cioè che l’eccellenza
proprio nel senso da lui predicato, non la fanno gli insegnanti. Anzi!
Per realizzare l’autoformazione, la capacità di pensare con la propria
testa, gli studenti debbono essere assistiti da un “facilitatore” e non
da un “insegnante”, tanto meno da un insegnante eccellente, che di
certo avrà il vizio di inculcare le proprie idee, magari a memoria.
Perciò, sfugge all’ingegnere un comandamento fondamentale della teoria
dell’autoformazione, e del paradigma delle “teste ben fatte e non ben
piene”: l’insegnante deve essere sostituito da un facilitatore e, come
proclamò un teorico di questa pedagogia, «la parola insegnare deve
essere cancellata dal vocabolario».
Concludiamo con un’osservazione
“politica”.
Questa vicenda
è un paradigma di due aspetti: la miseria culturale di un certo mondo
confindustriale e il modo di governare del centrodestra.
Quanto al primo aspetto, è desolante che quel mondo confindustriale
pretenda di dettare legge circa il modo di riformare l’intero sistema
dell’istruzione e poi si affidi a simili “esperti”, patrocinandoli
presso il governo. Per parte sua, il governo li recluta supinamente e
si mette nella posizione incomoda di realizzare le loro sgangherate
ricette e di subirne le conseguenze. Il
peggio del peggio è che questi “esperti” non soltanto non hanno alcuna
prossimità o simpatia politica con il governo che generosamente
conferisce loro posizioni di controllo, ma sono veri e propri nemici. Si
guardi quel video, prima che qualcuno lo cancelli – per parte mia, l’ho
prudentemente registrato, casomai si dicesse che quelle parole non sono
state mai pronunciate –, e si osservi
tutta la prosopopea antigovernativa che esso esala, assieme a un
disprezzo supremo per l’imbecillità di quei milioni di italiani che
seguono il governo e che credono che i voucher si diano per scegliere
le scuole private e che si pongono miserabili questioni di orientamento
culturale o religioso. Gli americani questi errori non li fanno
mai: sono pura razionalità. Dobbiamo piuttosto essere felici di aver
avuto il dono di “esperti” venuti a raddrizzare le gambe di questo
paese disgraziato a base di test, di voucher per le scuole statali e
della rivoluzione epocale del pensar con la testa
propria. (da http://www.loccidentale.it/ di Giorgio Israel)
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