Il Futurismo è
un esempio chiaro ed evidente di utopia del XX secolo. “Il manifesto
del Futurismo” di T. F. Marinetti del 1909 costituisce l’atto ufficiale
della fondazione del gruppo dei futuristi. L’operazione rinnovatrice
venne poi sviluppata nel 1912 con il “Manifesto tecnico della
letteratura futurista”. Viene teorizzata la poetica della
“disintegrazione della sintassi” (in realtà si tratta non solo della
distruzione della sintassi ma anche e soprattutto delle sicurezze
interiori e formali). Si rese obbligatorio l’uso del verbo
all’infinito, l’abolizione di aggettivi ed avverbi. La punteggiatura
classica venne bandita e sostituita da segni matematici più veloci ed
immediati . L’obiettivo finale era la morte dell’io letterario, in
altre parole l’abolizione del punto di vista umano per dar luogo
all’assoluta “oggettività della materia”. Dal punto di vista stilistico
vennero create le parole in libertà. Il Manifesto costitutivo del 1909
diede vita poi a tantissimi altri proclami.
Oggi, tutti gli insegnanti parliamo agli alunni di queste pubblicazioni
futuriste, ma pochi facciamo conoscere le idee del “futurista” Giovanni
Papini (1881-1956), sulla scuola italiana. Pubblicò nel 1914 "Chiudiamo
le scuole". Un testo, più che mai attuale, che esprime con decenni di
anticipo un malessere oggi dilagante. Una soluzione estrema ad un
problema reso cronicamente insolubile. Una proposta radicale che
tutt’oggi potrebbe far discutere se qualcuno avesse il coraggio di
esprimere un simile dissenso.
Il Manifesto della scuola Neo-futurista fa comprendere i difetti
che può sviluppare un sistema educativo mal gestito come spesso è
ancora il sistema scolastico italiano. Ovviamente, la scuola è molto
cambiata e molto migliorata. Ma rimane ancora da fare, perché i ragazzi
spesso vivono ancora la scuola come un carcere che mortifica le loro
aspirazioni, la loro libertà. Papini vuole eliminare le scuole per dare
maggiore gioia e maggiore libertà ai ragazzi. La lettura del libro
"Chiudiamo le scuole!" di uno scrittore italiano di cui forse si sono
perse le tracce troppo facilmente, mi ha dato lo spunto per una
riflessione sulla scuola che parte dal passato per arrivare ai nostri
giorni. Già dal titolo la provocazione appare evidente, come spesso era
nelle caratteristiche di questo scrittore. Ovviamente in quasi cento
anni di storia la scuola ha visto molti cambiamenti cercando sempre di
soddisfare le domande delle generazioni che si sono susseguite nel
tempo. Papini si augurava che la scuola potesse riconquistare
quell’immagine di "luogo della cultura", dove non solo il sapere è
"elargito", ma anche dove il sapere è sviluppato e scambiato tra
allievi e docenti.
"Chiudiamo le scuole!" tuonava Papini. Le definiva spesso delle
"prigioni di Stato" dove i giovani vengono rinchiusi "in stanze
polverose e piene di fiati" dove, oltre che alla loro mobilità fisica,
veniva soffocato anche lo spirito di ricerca e di apprendimento che può
venire solo da un contatto umano più diretto che nelle aule di una
scuola. Dichiarazioni del genere, ispirate al Futurismo più
distruttivo, potevano destare scandalo nel XX secolo, ma non sortiscono
lo stesso effetto oggi. Il concetto di scuola inutile, o meglio, utile
solo per il tanto chiacchierato pezzo di carta, è talmente diffuso che
una reazione del genere è prevedibile. Papini è attuale, purtroppo.
Fastidiosamente attuale.
Quando leggiamo che la scuola “non insegna quasi mai ciò che un uomo
dovrà fare effettivamente nella vita, per la quale occorre poi un
faticoso e lungo noviziato autodidattico” non possiamo che essere
d’accordo. Papini inquadra il rapporto scuola-individuo, prendendo in
esame la prospettiva dell’insegnamento, o meglio, indottrinamento, e
dei suoi protagonisti, e non quella di apprendimento: gli approcci del
singolo all’istituzione sono tali e tanti che la tesi di Paini risulta
persino offensiva nei confronti dell’allievo. Non saranno tutti degli
stupidi indottrinati! Non saranno tutti robot pronti a ingurgitare
centinaia e centinaia di pagine senza un perché… La vera utilità del
rapporto scuola-allievo non sta di certo in ciò che si apprende – si
tratta, il più delle volte, di puro e sterile nozionismo, così come
chiarisce Gramsci in uno scritto del 1919 – ma in ciò che si fa per
apprendere, nel percorso e nel metodo che porta alla conoscenza.
Gli aforismi più significativi del testo di Papini sono i seguenti:
1. Diffidiamo de' casamenti di grande superficie, dove molti uomini si
rinchiudono o vengono rinchiusi.
2. Ma cosa hanno mai fatto i ragazzi, gli adolescenti, i giovanotti che
dai sei fino ai dieci, ai quindici, ai venti, ai ventiquattro anni
chiudete tante ore del giorno nelle vostre bianche galere per far
patire il loro corpo e magagnare il loro cervello?
3. Non venite fuori colla grossa artiglieria della retorica
progressista: le ragioni della civiltà, l'educazione dello spirito,
l'avanzamento del sapere… Noi sappiamo con assoluta certezza che la
civiltà non è venuta fuor dalle scuole e che le scuole intristiscono
gli animi invece di sollevarli e che le scoperte decisive della scienza
non son nate dall'insegnamento pubblico ma dalla ricerca solitaria
disinteressata.
4. La scuola può essere il laboratorio di nuove verità.
Essa non è, per sua natura, una creazione, un'opera spirituale ma un
semplice organismo e strumento pratico. Non inventa le conoscenze ma si
vanta di trasmetterle. E non adempie bene neppure a quest'ultimo
ufficio - perché le trasmette male o trasmettendole impedisce il più
delle volte, disseccando e storcendo i cervelli ricevitori, il formarsi
di altre conoscenze nuove e migliori. L'unico testo di sincerità nelle
scuole è la parete delle latrine.
5. Per i genitori, nei primi anni, le scuole sono il mezzo più
decente per levarsi di casa i figliuoli che danno noia. Più tardi entra
in ballo il pensiero dominante della "posizione" e della "carriera".
6. Per i maestri c'è soprattutto la ragione di guadagnarsi pane, carne
e vestiti con una professione ritenuta "nobile" e che offre, in più,
tre mesi di vacanza l'anno e qualche piccola beneficiata di vanità.
Aggiungete poi a questo la sadica voluttà di potere annoiare,
intimorire e tormentare impunemente, in capo alla vita, qualche
migliaio di bambini o di giovani.
7. Lo Stato mantiene le scuole perché i padri di famiglia le vogliono e
perché lui stesso, avendo bisogno tutti gli anni di qualche battaglione
di impiegati, preferisce tirarseli su a modo suo e sceglierli sulla
fede di certificati da lui concessi senza noie supplementari di
vagliature più faticose.
8. Aggiungete che sulle scuole ci mangiano ispettori, presidi, bidelli,
preparatori, assistenti, editori, librai, cartolai e avrete la trama
completa degli interessi tessuti attorno alle comunali e regie e
pareggiate case di pena.
9. L'uomo, nelle tre mezze dozzine d'anni decisive nella sua vita (dai
sei ai dodici, dai dodici ai diciotto, dai diciotto ai ventiquattro),
ha bisogno, per vivere, di libertà all'aria aperta: nelle scuole si
rovina gli occhi, i polmoni, i nervi (quanti miopi, anemici e
nevrastenici possono maledire giustamente le scuole e chi l'ha
inventate!)
10. L’uomo ha bisogno di libertà per imparare veramente qualcosa perché
non s'impara nulla di importante dalle lezioni ma soltanto dai grandi
libri e dal contatto personale colla realtà. Nella quale ognuno
s'inserisce a modo suo e sceglie quel che gli è più adatto invece di
sottostare a quella manipolazione uniforme ch'è l'insegnamento.
Allora: resettiamo tutto? Il dibattito è aperto.
Giovanni Sicali